Una lettrice azzarda il dubbio che lo sperare, oggi, sia privo del presente; e ipotizza che lo scenario quotidiano di una vita spesso ridotta a un`avventura solitaria – con il sospetto che non ci sia più nulla da immaginare e da volere perché tutto, ormai, si risolve nel compromesso e quindi nella resa di ogni giorno possono avere indebolito quell`antica, fiduciosa parola. Forse potremmo sostituirne il suono, l`involucro, il costo, ma non il senso. Si stenta a capire che sperare non ha più il significato lenitivo, promettente, di un tempo, non è affidarsi, già un po` esauditi, a qualcosa che dovrà accadere comunque, è affrontare le prove che ci aiutino a costruire un nuovo destino, come prendere coscienza del pericolo, capire che la speranza è fidarsi anche di se stessi, e che il suo nuovo verbo è agire, cioè nutrirla, non solo consegnarsi, e aspettare. «La sola che mi rimane» scrisse lo scrittore ebreo Saul Bellow «è la speranza di non averne più bisogno. Perché tutto accada prima tra noi, pagando ciascuno il proprio debito, esigendo la riparazione». Ne sappiamo qualcosa ancora oggi.

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