Noi e gli 8mila e più fanciulli uccisi nelle guerre nel mondo islamico
Mentre pareva che potessero aprirsi, a Est, nuovi fronti per un altro conflitto, oggi abbiamo qualche buon motivo per non doverci allarmare più di quanto la realtà ci consenta; qualcosa del genere, scrivono i pessimisti, inclini ai presagi, accadde nel 1939, ma non andrà così; la ‘ragione’, ovunque stia, non potrà non farsi ragionevole. C`è da temere, invece, per i fanciulli quasi dimenticati in una sorta di inaudita, inaccettabile irrilevanza: muoiono uccisi a migliaia, senza che la storia, così sembra, li tenga in conto. Sotto un titolo di giornale, Il sangue dei bambini, abbiamo visto l`immagine di quattro fanciulli, tra loro cugini, uccisi mentre giocavano sulla spiaggia a una specie di guerra che, senza la tregua, avrebbe dato alle fiamme, in un solo falò, i decaloghi di tutta l`etica morale vanamente tenuta invita dai grandi codici religiosi e laici presenti nell`umanità. Quella foto, cui ne seguiranno tante altre, da una parte e dall`altra della contesa, cioè non solo da Gaza, superava i limiti di previdente avvedutezza della diplomazia politica, specie occidentale, avvalorando l`ipotesi che ovunque persista, e addirittura si aggravi, la sbugiardata promessa di una pace finalmente possibile, e quindi reale. Un osservatore luciferino direbbe che l`aula ovattata delle Nazioni Unite a volte sembra un deposito di dinamite a cui fa la guardia un`associazione di esperti in fuochi artificiali. Ma sono più di ottomila i fanciulli uccisi nelle guerre del mondo islamico da un estremismo religioso, ideologico e politico che non esita a chiamare ‘strategici’ quegli eccidi, in quanto ‘devono provocare il terrore e quindi indurre alla sottomissione’. Intanto l`Unicef denuncia il numero crescente delle creature scomparse in una parte del mondo dove ‘l`orrore ha già esploso la quantità di plastico della prima guerra del Golfo’. Sorgono da ogni parte inedite, temerarie domande: i fanciulli hanno forse perduto la predilezione di Gesù, il Dio non solo dei cristiani, sebbene ad essi si volga, oggi, la persecuzione più diffusa? Mai; nell`indifferenza pressoché generale, si era prodotto un orrore così vasto, le cui vittime più innocenti continuano a essere i bambini. Se «siamo nati per vivere, non per morire» – richiamo le parole di papa Giovanni – perché le vestali dei ‘diritti umani’ non dicono che il primo rispetto del suo ordinamento assegna quel ‘diritto’ ai più indifesi? Non avremmo motivo di celebrare, ogni sera, una sorta di lutto universale per i bambini uccisi, complice la nostra inettitudine, aggiungendoli ai ‘ventiseimila’ che tutti i giorni – è ancora l`Unicef a dircelo -muoiono di fame, di malattia e di inedia nel Sud della Terra? Ci si chiede perché i Paesi democratici non rispondono con una solenne, inderogabile condanna al clamoroso silenzio che circonda tanta indifferenza per la sorte dei ‘figli degli altri’, e gli intellettuali non uniscono le loro voci – nelle scuole, nelle università, nelle chiese, nelle televisioni, alla radio, insomma nei tanti luoghi della mente e dell`anima per ricordarci che il massimo presidio del ‘vivere insieme’ è la vita stessa, cioè il dovere, non soltanto sacro, di rispettarla. Perché ci lascia indifferenti questo morente sentimento dell`indignazione? Se «la politica è uscirne insieme», come diceva don Milani, perché non ci guardiamo intorno per capire con chi uscirne, da che cosa, per andare dove? Siamo certi di poter chiedere, increduli e allarmati, perché non compiamo un atto riparatore – in nome della pace e della democrazia – se non si è ancora in grado di vincere la battaglia contro i fabbricanti di armi? È possibile conciliare una così abnorme contraddizione con il trascorrere indisturbato del nostro ‘essere per la vita’, anziché ripeterci le parole del salmista, più laiche di qualunque ideologia, che dicono: «L`uomo ha il dovere di far nuove, anch`egli, tutte le cose», perché la creazione non è mai conclusa, e anzi ci invita, persino ci esorta, a concepire e indirizzare, responsabilmente, le nostre seminagioni? Sono miliardi le parole che in un minuto vengono pronunciate su questioni di carattere e interessi comuni, ed è il grandioso concerto cui partecipiamo in nome dell`esistenza singola e collettiva; ma perché ci giunge soltanto l`eco di una tragedia quotidiana che dovrebbe colpire la coscienza dell`umanità? L`elenco dei bambini uccisi in nome dello Stato islamico, ma anche in Libia, nel Sahel, nell`Alto Volta, in Sudan – ha raggiunto cifre impressionanti, e ancora più paurosa è la notizia dell`uso che, a fini propagandistici, si fa dei fanciulli ingaggiati per addestrarli all`odio facendoli assistere a torture, decapitazioni, fucilazioni singole e collettive perché imparino come punire un infedele per poi mostrare al ‘pubblico’ la sorte toccatagli. Scrive un inviato del Corriere: «Non si tratta solo dei minorenni (maschi e femmine) rapiti in massa in Iraq, e delle bambine yazide sparite, ma anche dei ragazzini decenni inquadrati insieme con i volontari islamici per formare i futuri battaglioni della ‘guerra santa’. Come all`aeroporto di Raqqa, dove hanno riunito soldati e ufficiali dell`esercito di Assad e fucilato 250 lealisti; mostrando ai bambini, chissà se in un doposcuola del corso di addestramento al terrorismo, almeno trenta vittime del nuovo radicalismo sunnita appese alle cancellate, una continuazione della tragedia toccata alle popolazioni cristiane, yazide, sciite e turcomanne nell`Iraq settentrionale. Il coinvolgimento dei fanciulli ha fini pedagogici, ed è una sorta di delirio assimilabile a quello dei bambini kamikaze imbottiti di esplosivo persino dalle madri, che sacrificano un figlio, spesso il prediletto, perché diventi ‘martire’, e il fanciullo salta in aria insieme con le sue vittime; oppure dei ragazzini combattenti, che nelle lotte addirittura fratricide di alcune etnie africane vengono preparati all`uccisione del ‘nemico’. Non troviamo le parole per giudicare o è più prudente tacere? La nuova velocità del tempo, e quindi del pensiero, dell`apprendere e del riflettere, della politica e dell`economia, della scienza e della tecnologia, della psicologia e dei sentimenti, cioè della mente e dell`animo, relega sempre più lontano dalle nostre responsabilità la natura, la durata e il costo dell`’essere per la vita’. Ciò significa che ai nostri conti provvederanno le risorse di una irresistibile vittoria umana, la modernità, con le parole ancora errabonde del web, nondimeno autorizzato a decidere la qualità e lo scopo del nostro andare incontro al futuro, per giunta immemori degli scempi trascorsi? Aiuteranno a fermare la silenziosa violenza prima che, da ogni parte, continui ad abbattersi anche sui bambini il micidiale strumento della ‘morte a sorpresa’, cioè i razzi, eredi delle V2 lanciate dai tedeschi su Londra nella Seconda guerra mondiale, che sorprendono le loro vittime ovunque, e le madri se li trovano tra le braccia dilaniati da una guerra silenziosa e invisibile? Oppure quando, sfuggiti all`abbraccio delle madri nei barconi ricolmi, prossimi a naufragare, quanti bambini, a volte persino neonati, sono i primi a cadere in mare, dove rimarranno a dondolare nelle culle aperte dalle onde di fronte alle nostre coste? Forse, tentati dal disperare, occorrerebbe rivolgersi a una nuova natura della speranza. Se ne coglie il senso nelle parole dì Elias Canetti, propizie non solo all`utopia: «Certe speranze, quelle che nutriamo non per noi stessi, e il cui adempimento non deve tornare a nostro vantaggio, le speranze che teniamo pronte per tutti gli altri, che procedono dalla bontà della natura umana, perché anche la bontà è innata, queste speranze bisogna nutrirle, e difenderle, quand`anche non dovesse mai giungere l`istante in cui si compiano. Perché nessun inganno è altrettanto sacro, e da nessun altro inganno dipende, a tal punto, la nostra possibilità di non finire sconfitti».
Si sente riecheggiare la parola di Francesco, pronunciata davanti al mare, a Lampedusa, il luogo di una nuova speranza: «Dov`è il sangue di tuo fratello, che grida fino a me? Quanti di noi, m`includo anch`io, non siamo più capaci di custodirci l`un l`altro?».

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