Se il Pd ha finito per accapigliarsi sul Jobs act, la colpa è di Maurizio Landini e della Cgil, per aver proposto un referendum di cui «non si sentiva il bisogno», dice Alessandro Alfieri, senatore e responsabile Riforme del Pd, tra i più vicini a Stefano Bonaccini. «Il tema della precarietà del lavoro è prioritario – spiega – ma si poteva scegliere strumenti e un momento più opportuno, dopo le elezioni europee».
Più opportuno per chi? Il sindacato non partecipa alle Europee…
«Ma così si rischia di spostare l`attenzione dalla decisiva battaglia sul futuro dell`Europa, mentre sarebbe giusto impegnarsi in Parlamento su possibili aggiustamenti e miglioramenti di quelle norme, che dopo dieci anni hanno ovviamente bisogno di una revisione. Per quello noi siamo pronti, ma non può diventare un referendum sul Pd tra il 2013 e il 2018. Sbaglieremmo bersaglio».
Schlein ha sbagliato ad annunciare la sua firma sul referendum?
«Per lei è una scelta naturale, segue un suo profilo di coerenza. Lo stesso, però, vale per una parte importante del Pd, che quella riforma ha sostenuto e che ritiene non sia tutto da buttare, visto che il Jobs act su alcuni temi è stato innovativo: dall`intervento sui Co. co. pro al contrasto alle dimissioni in bianco e alle finte partite Iva, fino all`introduzione della Naspi. Senza dimenticare che altri punti sono stati già modificati, con interventi della Corte costituzionale, o rimasti inattuati».
Allora ha sbagliato i tempi, come sostiene qualcuno? Ha dato l`impressione di farsi strattonare da Conte, che ha firmato per primo?
«Non mi permetto di dare giudizi, il suo ruolo di segretaria non è semplice, deve tenere conto di molti aspetti. Dico, però, che noi non abbiamo bisogno di guardare al passato, ma al futuro. E dobbiamo puntare su battaglie che uniscano il partito: la legge di iniziativa popolare sul salario minimo, quella a prima firma Schlein in difesa della sanità pubblica, il rafforzamento delle misure di sicurezza nei luoghi di lavoro. Su questi punti qualificanti siamo tutti impegnati, perché definiscono la nostra identità».
Anche la lotta ai contratti precari è una battaglia identitaria per il Pd, no?
«Senza dubbio, ma si può combattere in Parlamento. Nelle mozioni congressuali c`erano delle proposte: ripartiamo da lì coinvolgendo i gruppi parlamentari e i nostri organismi dirigenti».
Mi pare di capire che lei non firma…
«No, rispetto chi deciderà di farlo, ma io non firmo sul passato. Firmerò per il futuro: per il salario minimo e per dare più risorse alla sanità pubblica».
Ma, ora che si apre la stagione delle feste dell`Unità, dobbiamo aspettarci di trovare anche lì i banchetti della Cgil per la raccolta firme?
«Io penso che nelle feste e nei circoli del Pd si debba partire con il raccogliere le firme a sostegno delle iniziative del Pd e delle battaglie unitarie di cui parlavo, a cominciare da quelle per la legge di iniziativa popolare per il salario minimo».
Intanto, Matteo Renzi attacca a testa bassa e se la prende con voi riformisti, che rinnegate la vostra storia politica…
«Lui fa la sua campagna elettorale, ha bisogno di alzare la voce per superare il 4%. Il modo migliore è rispondere con i fatti, concentrandoci sulle battaglie unitarie, per dimostrare che, per fare le riforme, è meglio stare dentro un grande partito plurale, com`è il Pd, piuttosto che in un piccolo partito, meno in grado di incidere».


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