La fisiologia di un sistema democratico efficiente esige una legge elettorale votata dal Parlamento.

Si tratta di questione fondamentale, il cui rilievo non risulta attenuato dal fatto che oggi, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 e delle censure di incostituzionalità che così profondamente hanno inciso sulla legge n. 270 del 2005, sia in vigore una normativa ‘complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo’. Non potrebbe essere diversamente, dal momento che la legge elettorale è – in base ad un orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte – legge costituzionalmente necessaria, in quanto indispensabile per assicurare il funzionamento e la continuità di organi indefettibili, che non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. In un passaggio significativo della stessa sentenza n. 1 del 2014 si legge: ‘la normativa che rimane in vigore stabilisce un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che consente l’attribuzione di tutti i seggi, in relazione a circoscrizioni elettorali che rimangono immutate, sia per la Camera che per il Senato’.

Ogni discorso sulla legge elettorale non può prescindere da un duplice ordine di valutazioni, che costituiscono il binario entro cui siamo chiamati a procedere.

Un primo complesso di valutazioni dovrà collocare la scelta in riferimento alla rappresentatività in un sistema nel quale – nella prospettiva di una riforma costituzionale che mira a superare il bicameralismo perfetto – residuerà una sola Camera eletta direttamente dai cittadini. E’ tema sul quale molto si è soffermata la discussione nel corso dell’esame del disegno di legge di revisione costituzionale, ed a ragione. Non può infatti ignorarsi la necessità di garantire – a fini di bilanciamento – una composizione plurale della Camera dei deputati, specie in relazione all’elezione di organi di garanzia, e all’esercizio delle funzioni di controllo, oltre che all’esercizio della funzione legislativa.

Il secondo ordine di valutazioni si riferirà alla indicazione delle questioni scriminanti ai fini della costituzionalità, evidenziate nella sentenza n. 1 del 2014 e nella precedente giurisprudenza della Corte costituzionale.

Nessuno può peraltro ignorare come sia convinzione comune, maturata da lungo tempo nel dibattito politico italiano, che la legge elettorale debba essere finalizzata a garantire la governabilità del Paese, che la stessa Corte costituzionale considera valore meritevole di tutela. Nella stessa sentenza n. 1 del 2014, in riferimento all’attribuzione del premio di maggioranza, si afferma che quelle disposizioni ‘sono dirette ad agevolare la formazione di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale, ciò che costituisce senz’altro un obiettivo costituzionalmente legittimo’.

Occorre dunque applicare al disegno di legge che è al nostro esame il duplice criterio valutativo che ho richiamato, allo stesso tempo considerando che il perseguimento dell’obiettivo della governabilità è criterio orientativo parimenti essenziale.

Riassumo brevemente le censure di incostituzionalità contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, le questioni ritenute scriminanti ai fini della costituzionalità del modello elettorale e, di seguito, i punti essenziali del disegno di legge di riforma al nostro esame.

La prima questione riguarda le modalità di attribuzione del premio di maggioranza che, in base alla legge n. 270 del 2005, veniva assegnato alla lista o alla coalizione di liste che aveva ottenuto il maggior numero di voti. La disposizione è stata censurata dalla Corte soprattutto in riferimento ai suoi effetti, in quanto il sistema previsto, nel trasformare una maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto esigua, in una maggioranza assoluta di seggi, è suscettibile di produrre ‘un’oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica’, in quanto determina una eccessiva sovrarappresentazione della lista di maggioranza relativa.

Nel tentativo di perseguire l’obiettivo di garantire stabilità all’azione di governo, il meccanismo premiale garantiva l’attribuzione di seggi aggiuntivi alla lista o coalizione di liste che avesse ottenuto anche un solo voto in più delle altre, pure nel caso in cui il numero di voti fosse molto esiguo, dal momento che non era prevista una soglia minima. Ciò determinava pertanto una sproporzione grave e irragionevole e configurava una violazione del principio di rappresentanza e del principio di uguaglianza nell’espressione del voto (comma secondo, articolo 48), determinando un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione. Il principio di eguaglianza del voto – come ha affermato la Corte costituzionale – ‘pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato sistema, esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi’.

Peraltro, come noto, con particolare riguardo alla modalità di attribuzione dei premi di maggioranza al Senato, la Corte sollevava un ulteriore difetto di costituzionalità. Dal momento che l’attribuzione del premio avveniva su scala regionale, la maggioranza in seno all’assemblea del Senato finiva con l’essere il risultato casuale di una somma di premi regionali, così da favorire la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell’insieme sostanzialmente omogenea. Lo dico incidentalmente poiché, come noto, il disegno di legge di riforma contempla esclusivamente il sistema elettivo della Camera dei deputati, in coerenza con il percorso di revisione costituzionale di superamento del bicameralismo perfetto.

In risposta a questa prima censura di incostituzionalità, cioè quella relativa alle modalità di attribuzione del premio di maggioranza, al fine di assicurare un congruo bilanciamento tra le esigenze della governabilità e il rispetto del principio di rappresentanza, il disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati e ora all’esame della Commissione contempla, per l’attribuzione del premio, un sistema di doppia verifica.

E’ prevista una prima verifica del raggiungimento, da parte della lista o della coalizione vincente, di una soglia di almeno il 37 per cento dei voti, condizione che è stata ritenuta dalla Camera dei deputati sufficiente a soddisfare quanto richiesto dalla Corte costituzionale circa la necessità ‘di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio’. Se la prima condizione è rispettata, si procede alla verifica della seconda condizione, ovvero quella della ‘maggioranza sufficiente’, raggiunta la quale non si ha diritto al premio. Essa è individuabile attraverso due parametri diversi e alternativi: a) il conseguimento di almeno 340 seggi; b) il raggiungimento di una percentuale di seggi pari almeno alla percentuale della relativa cifra elettorale nazionale dei voti, aumentata di 15 punti percentuali.

Nel caso in cui la verifica della prima condizione (il raggiungimento del 37 per cento dei voti conseguiti) dia esito negativo, il disegno di legge prevede il ballottaggio tra le due liste o coalizioni che hanno conseguito i migliori risultati elettorali.

Il vincitore del ballottaggio consegue una maggioranza fissa di 321 seggi.

Non mi soffermo diffusamente sulle modalità di riparto nazionale e circoscrizionale dei seggi, dal momento che il disegno di legge non ha innovato in misura significativa rispetto alla normativa vigente, salvo alcune differenze. Il riparto nazionale dei seggi tra le liste o le coalizioni che superano le soglie di sbarramento avviene – come è noto – sulla base di un quoziente nazionale calcolato tra i voti conseguiti dalla lista nelle diciotto circoscrizioni (sono escluse la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige) e i seggi, mentre la distribuzione circoscrizionale viene effettuata attraverso un sistema piuttosto complesso. Esso opera circoscrizione per circoscrizione, attraverso un articolato meccanismo di indici, volto a ‘calare’ i seggi nazionali nelle circoscrizioni. Deve essere comunque rispettato l’esito della distribuzione nazionale. Se così non fosse, si procede ad individuare le liste cosiddette ‘eccedentarie’ e quelle cosiddette ‘deficitarie’ (rispetto al numero di seggi che le liste hanno ottenuto circoscrizione per circoscrizione, a fronte di quanto risulta dalla distribuzione nazionale). Se la somma totale dei seggi cui un competitore ha diritto – circoscrizione per circoscrizione – non coincide con la distribuzione nazionale, si corregge progressivamente la distribuzione circoscrizionale, fino a che non vi sia totale coincidenza. Le modifiche apportate sul punto dal disegno di legge n. 1385 sono essenzialmente due: a) è previsto un tentativo ulteriore di attribuire un seggio nella circoscrizione nella quale il competitore ne avrebbe diritto, prima di attribuirlo in una diversa circoscrizione allo stesso competitore; b) è escluso il computo delle cosiddette ‘liste locali minori’. Le liste eccedentarie e quelle deficitarie sono individuate sulla base dei seggi conseguiti con i decimali minori e sulla base dei decimali non utilizzati.

Nonostante lo sforzo di razionalizzazione compiuto dalla Camera, continua a persistere un problema che ‘affligge’ ogni modello elettorale di impianto proporzionale che preveda criteri di distribuzione circoscrizionale dei seggi. Infatti è certamente possibile, in ragione dell’operare dei quozienti elettorali, che il voto espresso in un determinato collegio possa essere utilizzato per contribuire all’elezione di un altro parlamentare della medesima lista in una diversa circoscrizione. Probabilmente, in una fase più avanzata dell’esame occorrerà compiere una riflessione tecnica approfondita, per verificare l’effettiva congruità del meccanismo e per valutare l’esigenza di introdurre ulteriori correttivi.

Anche il sistema delle soglie di sbarramento, benché non direttamente investito dalle censure di incostituzionalità della Corte, è stato oggetto di un parziale intervento di modifica da parte della Camera dei deputati.

Rispetto alla normativa vigente, la soglia per le coalizioni, il cui superamento è condizione necessaria per partecipare al riparto dei seggi, è duplice: a) la coalizione deve aver conseguito almeno il 12 per cento dei voti a livello nazionale; b) almeno una delle liste coalizzate deve aver conseguito, a livello nazionale, non meno del 4,5 per cento dei voti (le liste rappresentative delle minoranze linguistiche devono invece aver conseguito almeno il 20 per cento dei voti in una delle Regioni ad autonomia speciale, il cui Statuto prevede una particolare tutela di quelle minoranze).

Per le liste non coalizzate e per le liste coalizzate in coalizioni sotto la soglia del 12 per cento, la soglia di accesso diventa invece pari all’8 per cento a livello nazionale, mentre resta pari al 20 per cento per le liste rappresentative delle minoranze linguistiche, le quali abbiano superato la soglia in una delle Regioni ad autonomia speciale, il cui Statuto prevede forme particolari di tutela per quelle minoranze.

Il sistema così configurato, risultante dal combinato disposto del meccanismo delle soglie per accedere al riparto dei seggi e dei requisiti previsti per l’attribuzione del premio di maggioranza, presenta, a mio avviso, ancora alcune criticità rispetto al quadro costituzionale di riferimento e, in particolare, in ordine alla garanzia del principio di rappresentanza.

La Corte, infatti, non si è limitata genericamente a richiamare il canone della ragionevolezza come limite alla scelta legislativa in favore di misure dirette ad agevolare, ai fini della stabilità del governo, la formazione di adeguate maggioranze parlamentari. Ha invece chiaramente affermato che quell’obiettivo, pur legittimamente perseguibile, non può in nessun caso determinare ‘una compressione della funzione rappresentativa dell’Assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente’.

Dopo la sentenza n. 1 del 2014, in altre parole, l’esigenza di non guardare esclusivamente alla ‘governabilità a tutti i costi’ non costituisce più solo una richiesta politica delle minoranze, ma rappresenta un vero e proprio vincolo costituzionale.

Il legislatore elettorale, pertanto, pur godendo della massima discrezionalità nella scelta delle soluzioni più idonee ed efficaci in ragione del contesto storico, deve tenere conto delle indicazioni che la Corte costituzionale gli ha indirettamente rivolto.

Per evitare che il nuovo sistema elettorale possa incorrere nelle medesime o in più gravi censure di incostituzionalità, occorre dunque ragionare sulla opportunità di elevare la soglia necessaria per ottenere il premio di maggioranza, allo scopo di rendere compatibile con i canoni costituzionali la divaricazione – inevitabile per garantire la governabilità – tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto. Occorre verificare cioè che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi – in questo caso il principio rappresentativo – in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale.

Per richiamare la pronuncia della Corte, il sistema elettorale deve garantire che ‘ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi’ e non consenta ‘una diseguale valutazione del peso del voto in uscita, ai fini dell’attribuzione dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzione dell’organo parlamentare’.

In questa ottica, anche la previsione di un’elevata soglia di sbarramento per l’accesso al riparto dei seggi potrebbe presentare non poche criticità: il ‘peso’ dei voti dati ai partiti che non raggiungono quella soglia risulta infatti sostanzialmente annullato, con il conseguente sacrificio del principio di eguaglianza del voto. Peraltro, tale sacrificio della rappresentanza non avrebbe nessun effetto virtuoso sulla governabilità. Le forze alle quali, prevedendo soglie più basse, potrebbe essere garantita rappresentanza partecipano esclusivamente al riparto dei seggi che residua alla minoranza. Semmai, il rischio per la governabilità potrebbe provenire dalle liste coalizzate che, beneficiando di soglie di sbarramento più basse, possono, ove la coalizione risultasse vincente, accedere al riparto dei seggi in misura disproporzionale e condizionare concretamente l’azione di governo.
Si potrebbe pertanto ragionare su alcune modificazioni del testo approvato dalla Camera dei deputati, orientate: a) ad innalzare la soglia oltre la quale si ha diritto al premio di maggioranza; b) a limitare alla sola lista – e non anche alla coalizione di liste – l’assegnazione del premio; c) a ridurre sensibilmente le soglie per l’accesso al riparto di seggi. Nello stesso tempo, appare opportuno compiere una riflessione anche sul ballottaggio tra le due liste che hanno conseguito i migliori risultati elettorali, previsto qualora nessuna lista raggiunga, al primo turno, la soglia che dà diritto al premio di maggioranza. Il disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati sembra infatti solo prefigurare la soluzione, senza definire compiutamente l’istituto, che andrebbe comunque regolato entro l’alveo dei due valori che la Corte chiama a bilanciare: il valore della governabilità e quello della rappresentanza.

Intervenendo su questi aspetti, potrà essere raggiunto un punto di equilibrio ragionevole tra i molteplici valori costituzionali coinvolti e sarà possibile mettere al riparo il sistema da censure di incostituzionalità analoghe a quelle che la Corte ha rivolto alla legge del 2005.

La seconda questione riguarda il voto di preferenza, sul quale la Corte solleva un rilevante dubbio di costituzionalità: un sistema elettorale che consente di votare solamente la lista, senza poter esprimere una preferenza per un candidato, può considerarsi incompatibile con il quadro costituzionale di riferimento, in particolare con i principi della libertà di voto e del suffragio diretto.

Questa particolare censura di incostituzionalità è sempre fondamentalmente determinata dal fatto che, con il sistema predisposto dalla legge n. 270 del 2005, si è sostanzialmente privato l’elettore di ogni margine di scelta dei proprio rappresentanti, scelta che è stata rimessa integralmente ai partiti, in quanto conseguente non solo al numero di seggi ottenuto dalla lista di appartenenza, ma anche all’ordine di presentazione dei candidati nella stessa, ordine che appunto è sostanzialmente deciso dalle forze politiche. Le disposizioni censurate sono destinate – come specifica la sentenza n. 1 del 2014 – a determinare per intero e, dunque, per tutti i deputati e per tutti i senatori, la composizione delle Camere, con un voto indirizzato esclusivamente alla scelta della lista, tale da escludere ‘ogni facoltà dell’elettore di incidere sulle elezioni dei propri rappresentanti‘, così da ‘alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti’.

La soluzione adottata dal disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati ed ora all’esame della Commissione è quella di prevedere, per l’elezione dei deputati, una ripartizione territoriale per circoscrizioni, che corrispondono al territorio di ogni Regione e in un numero di collegi non superiore a 120. Ogni collegio eleggerà da tre a sei deputati, salvo eccezioni. Vengono pertanto previste liste ‘corte’, in quanto il numero dei candidati è rapportato al numero dei seggi del collegio.

La scelta compiuta dal legislatore si basa sulla convinzione che il vizio che ha portato a dichiarare incostituzionali le norme censurate si sostanzia nel solo divieto di riproposizione di liste ‘lunghe’, vizio che potrebbe essere superato adottando un qualsiasi altro meccanismo di scelta dei parlamentari, compresi quei meccanismi che, mantenendo il divieto di preferenza, si limitano a ridurre il numero dei candidati inseriti nelle liste, in modo da favorire la conoscibilità dell’eletto da parte dell’elettore.

D’altra parte, a indurre tale valutazione è anche un significativo passaggio delle sentenza della Corte, la quale esplicitamente rileva che il sistema delle liste bloccate definito dalla legge n. 270 del 2005 ‘non è comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quale il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)’.

Può dunque ritenersi che la stessa Corte abbia aperto la strada al legislatore, attraverso un obiter dictum con il quale si sarebbe sostanzialmente ammessa la legittimità costituzionale delle ‘liste brevi’ in piccole circoscrizioni.

Pur tuttavia, occorre, anche su questo aspetto, un supplemento di riflessione. L’argomento che collega il principio di preferenza alla conoscibilità effettiva dei candidati non è esente da alcune aporie. La riduzione del numero dei candidati e la ridotta dimensione territoriale delle circoscrizioni possono essere considerate condizioni necessarie, ma forse non sufficienti per assicurare il diritto di voto nelle forme e secondo quanto descritto dalla Corte costituzionale, potendo rimanere ancora indeterminato il rapporto tra eletto ed elettore. Nel momento in cui si afferma l’illegittimità costituzionale di modelli elettorali che non consentono all’elettore di scegliere i propri rappresentanti, in quanto impediscono di esprimere preferenze individuali, potrebbe non rivelarsi sufficiente l’argomento che collega il principio di preferenza alla conoscibilità effettiva dei candidati. Una volta affermato il principio di preferenza, dovrebbe conseguirne il vincolo al legislatore di assicurare il diritto dell’elettore di esprimersi direttamente in favore di un candidato di sua fiducia tra quelli presenti nella singola lista, l’espressione di una preferenza individuale costituendo parte integrante del diritto di voto.

Sulla questione le soluzioni possibili e costituzionalmente coerenti restano aperte, ma fin d’ora ritengo possa essere percorsa una soluzione di mediazione, che contemperi la possibilità che una quota di seggi sia assegnata attraverso lo strumento della preferenza, anche per superare l’obiezione, più volte emersa nel dibattito pubblico, dell’attenuata legittimazione di un Parlamento di ‘nominati’. Il nostro ordinamento ha peraltro conosciuto la composizione ‘mista’ della Camera dei deputati vigente il cosiddetto ‘Mattarellum’, allorché il 75 per cento dei deputati veniva scelto con il sistema maggioritario nei collegi uninominali e il 25 per cento con sistema proporzionale su liste bloccate circoscrizionali.

Nello stesso tempo, potrebbe conseguentemente essere compiuta anche una riflessione sulla opportunità di ridurre il numero dei collegi, attualmente fissato in 120.

Particolarmente apprezzabile è la soluzione adottata in materia di rappresentanza di genere, in quanto si prevede che, a pena di inammissibilità, nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore al 50 per cento e che, nella successione interna delle liste, non possano esservi più di due candidati consecutivi del medesimo sesso.

Non mi soffermo sulle modalità di elezione dei dodici deputati eletti nella circoscrizione estero, perché il disegno di legge all’esame non apporta modifiche alla normativa vigente. Al contrario, il sistema con il quale sono eletti i deputati della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige è stato innovato dal disegno di legge n. 1385: l’unico collegio in Valle d’Aosta e otto collegi nel Trentino-Alto Adige sono eletti con un sistema uninominale, mentre i restanti seggi nel Trentino-Alto Adige sono assegnati con un sistema proporzionale.

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