Sono convinto che le fedi religiose esercitino un peso rilevante non solo nella vita degli individui, ma dei popoli. È possibile che questa influenza sia di segno positivo, di fronte alle sfide cheha davanti a sé l’umanità. L’esito dipende da quello che faranno le confessioni religiose, la cultura, la politica. In questi anni le religioni stanno compiendo passi importanti, alcuni storici, sulla strada di un reciproco dialogo e di un’intesa. Mi vengono in mente l’incontro, dopo mille anni, tra papa Francesco e il patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill; la visita degli ultimi tre pontefici a sinagoghe e moschee; la continuità di un rapporto dei cattolici con gli evangelici; l’apertura per la prima volta di un Giubileo, quello della misericordia, sempre ad opera di papa Francesco, non a Roma ma nella cattedrale di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, nel continente più povero del mondo. Il dialogo tra le religioni dà un contributo fondamentale alla costruzione della pace e all’affermazione della non violenza, dal momento che per segnare una profonda discontinuità è necessario saper coinvolgere le coscienze, affermare il perdono nelle relazioni tra i popoli. Le religioni stanno muovendo passi concreti in un avvicinamento che si fonda, esplicitamente o di fatto, sul riconoscimento che ognuna di esse tende a Dio, rappresenta una via di salvezza e dunque reca in sé un nucleo di verità. Su questa base le religioni possono contribuire a far assumere centralità a quel comandamento che è in ognuna di esse e che prescrive la fraternità tra gli uomini, l’amore verso il prossimo, l’accoglienza dello straniero. Nel mondo contemporaneo, attraversato da terrorismi, fondamentalismi, intolleranze, questo apporto è indispensabile. La pace tra le religioni non è più soltanto, come ha detto Hans Kiing, condizione necessaria e indispensabile alla pace tra le nazioni, ma anche alla pace nelle nazioni: alla coesione di società formate da una pluralità di fedi, culture, etnie. La politica e la cultura non possono tuttavia restare inerti, indifferenti, rispetto agli esiti del dialogo interreligioso. Si tratta di affermare – in particolare nell’Occidente europeo – tratti nuovi nella secolarizzazione e nella laicità: la prima deve ridefinire i reciproci confini tra istituzioni dello Stato e religioni, non bandire queste ultime da una cittadinanza nella modernità. La laicità, pilastro inamovibile della democrazia moderna, deve non temere ma saper organizzare la dimensione pubblica del pluralismo religioso, rafforzando la reciproca autonomia tra Stato e religioni e il carattere non totalitario dello Stato: pensare di confinare ancora la fede nel privato dei cuori non soltanto è illusorio ma rischierebbe di indebolire proprio la sfera pubblica democratica. L’Occidente finirebbe così prigioniero di un autoreferenzialità che ci sta rendendo ciechi di fronte ad un processo di mercificazione che non è circoscritto più all’economia, ma sta invadendo l’insieme dei rapporti umani. Non più economia di mercato, che ha una sua ragione d’essere, purché accompagnata da regole di finalità sociale, ma rischio di vivere in una società di mercato. I1 cattolicesimo può avere un ruolo da protagonista nel dialogo interreligioso e nell’orientare le differenti religioni a contribuire, senza ingerenze che rendano subalterni Stato e società civile, a costruire una convivenza umana più giusta e avanzata, quello che io definisco nuovo umanesimo. Il cattolicesimo ha queste potenzialità, dopo il Concilio Vaticano II e per le riforme realizzate da papa Francesco, riguardo in particolare ai compiti del vescovo di Roma come guida della Chiesa universale, al ruolo del Sinodo dei vescovi per le decisioni più rilevanti, a quello di clero e laici, al dovere di coerenza tra messaggio evangelico e Chiesa per i poveri e dei poveri. È in questo quadro che già sono venute alla politica sollecitazioni per uno sviluppo ecologico, per l’affermazione della priorità della persona e della sua dignità, per il rinnovamento della democrazia.


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