Le Regioni, compresa la Lombardia, potevano intervenire con le chiusure indipendentemente dal governo». E questo uno degli elementi chiave della perizia per la Procura di Bergamo sulla zona rossa a firma di Andrea Crisanti, 68 anni, romano, allora professore ordinario di Microbiologia all`Università di Padova, da cui poi si è dimesso per fare a tempo pieno il senatore del Pd.
A tre anni dalle bare portate via dall`esercito sono arrivati i rinvii a giudizio per epidemia colposa sulla base anche del suo studio.
Che ne pensa?
«Non mi sento in dovere di dire nulla, anzi mi trovo in imbarazzo perché si tratta ancora di una fuga di notizie». Non ha firmato lei la perizia?
«Sì, perla parte epidemiologica. E ho cofirmato la ricostruzione degli atti di quei giorni con Daniele Donato, ex direttore sanitario di Padova. È la Procura poi ad aver tratto le sue conclusioni sulla base delle indagini. Tutto il mio rispetto va alle persone indagate, che non hanno ancora modo di difendersi».
Cos`ha scritto nelle oltre 10 mila pagine della perizia?
«Erano anche 12-13 mila, ma per fortuna non le ho dovute scrivere tutte io, c`erano molti atti da allegare. Non posso aggiungere altro».
Non si ricorda più?
«Me lo ricordo bene. Non si può dire però. Quello che la Procura mi ha autorizzato a raccontare è che sono emerse delle criticità di rilevanza minore rispetto al ruolo del pronto soccorso di Alzano Lombardo come amplificatore dell`epidemia. Problemi invece più consistenti ci sono stati sull`attivazione del piano pandemico e sulla tempistica dell`implementazione della zona rossa».
Archiviamo l`ospedale e parliamo dal piano pandemico allora?
«L`Italia aveva un piano pandemico con forza di legge che prevedeva determinate decisioni in caso di emergenza. La Procura evidentemente ha deciso che non è stato eseguito. Io ho dimostrato che un piano esisteva e che c`erano una modalità di attuazione e degli organi preposti a questo».
Quali?
«Il comitato per il controllo delle infezioni del ministero della Salute».
E il piano pandemico non era aggiornato?
«Sì, ma questo è risultato ininfluente perché c`era comunque quello precedente di cui tenere conto».
Ma l`Oms non ne richiese l`aggiornamento?
«Sì, ma anche se fosse stato ascoltato non sarebbe cambiato molto per quel tipo di situazione. Anzi, la revisione avrebbe trasferito più responsabilità ai singoli Stati».
Questo alleggerisce la posizione di Ranieri Guerra, ex dirigente dell`Oms e del ministero della Salute, incolpato di non aver aggiornato il piano?
«Non lo so, e comunque fa parte delle conclusioni della Procura e non mie».
Veniamo dunque alla zona rossa?
«La questione è se fosse stata attivata tempestivamente o meno. I criteri erano il Dpcm del 23 febbraio 2020 e la cornice legislativa attorno a quel decreto, che stabilivano che poteva essere attivata dal governo o dalle Regioni».
Le Regioni in seconda battuta?
«Indipendentemente. Le Regioni, compresa la Lombardia, potevano agire in alternativa al governo».
Da cui la corresponsabilità?
«Ancora una volta non spetta a me tirare le conclusioni e la mia interlocuzione con i magistrati non ha mai toccato aspetti di responsabilità».
In passato però lei ha lanciato diverse accuse…
«Ho sempre detto che i magistrati dovessero verificare se le criticità si traducessero in problemi penali, e lo penso ancora oggi».
Perché la Procura si affidò a lei per la perizia?
«Forse si fece l`idea che sarei stato in grado di ricostruire la verità resistendo alle pressioni. È stato un duro lavoro di 18 mesi. Ho dovuto studiare, incrociare i dati e ricostruire gli eventi giorno per giorno con dei modelli matematici».
E ora la vecchia vita da epidemiologo la rincorre mentre fa politica col Pd?
«Vivo tutto con serenità. Sono stato imparziale, e questo non dipende da quel che penso ma da se agisco in modo integro. La fuga di notizie su questo caso dimostra che la mia perizia non ha guardato in faccia a nessuno». Con l`università italiana ha chiuso?
«Sì, mi concentro sul Senato e poi mi resta ancora l`antica collaborazione con l`Imperial college di Londra».


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