E se la soluzione per il cosidetto ‘caso Marò’ fosse semplice semplice e a portata di mano? Ovvero, potesse risultare raggiungibile grazie a quell`atto elementare che è la derubricazione di un reato?
In altre parole: se ai due fucilieri della Marina militare italiana venisse imputata quella fattispecie penale che – secondo la stessa ricostruzione degli investigatori e della polizia indiana si qualifica propriamente come omicidio colposo, Salvatore Girone e Massimiliano La Torre potrebbero attendere l`inizio del processo in condizioni di piena libertà.
So che una simile proposta può apparire una follia ma – allo stato attuale delle cose – è la più ragionevole delle follie. E, infatti, lo stallo in cui si trova la vicenda dei fucilieri italiani viene affrontato attraverso due strategie. La prima, ancor più macchinosa e vischiosa di quanto è stata finora, si affida alla riproposizione delle tradizionali procedure politico-diplomatiche; la seconda, nell`ipotesi più auspicabile, punta su un arbitrato internazionale, fatalmente complesso e lento. Eppure, in altri tempi e in altri scenari si sono sperimentati percorsi totalmente diversi che hanno puntato, con risultati talvolta eccellenti, sulla fantasia di soluzioni non convenzionali.
 In apparenza ingenue e dunque destinate all`insuccesso, quelle soluzioni si sono rivelate in realtà assai callide perché capaci di aprire spiragli inediti all`interno di meccanismi delle relazioni internazionali, interamente dipendenti da una sintassi ormai logora. Una sorta di mossa del cavallo che spiazzava e disorientava, movimentando schemi irrigiditi e linguaggi consunti. Anche nel caso dei due fucilieri italiani, una mossa del cavallo non è impossibile.
 A suggerirla, non troppo paradossalmente, è l`Unione induista italiana, espressione di una religione che è culto di maggioranza in India, e che annovera nel nostro paese qualche decina di migliaia di adepti. presidente dell`Unione induista italica, Franco Di Maria, ha indirizzato una lettera al primo ministro indiano e al presidente del consiglio italiano in cui illustra un`ipotesi di soluzione.
Ipotesi che «consentirebbe a entrambi i paesi di fare un passo indietro senza rinnegare i propri legittimi punti di vista». Ciò permetterebbe di rinunciare a una «sia pur comprensibile disputa su sovranità, giurisdizione e complesse questioni di diritto internazionale» e di entrare, finalmente, nel merito della questione. La proposta è così riassumibile: i fatti imputati ai due fucilieri (risa- lenti al 15 febbraio 2012), sia nell`ordinamento penale italiano che in quello indiano, possono ragionevolmente essere rubricati come omicidio colposo, dal momento che è accertata l`assenza di intenzionalità nell`azione che ha determinato la morte dei due pescatori.
Non a caso la prima imputazione sollevata dalla Corte del Kerala era esattamente questa: omicidio colposo. E, nell`ordinamento penale indiano come nell`ordinamento italiano, quell`omicidio colposo imputabile ai due fucilieri consentirebbe loro già oggi di riavere la propria libertà. Ciò in virtù della scadenza dei termini della misura di custodia cautelare, prevista per quella fattispecie penale.
Le pene fissate per l`omicidio colposo sia in Italia che in India non superano – nel massimo – i cinque anni e in India è esclusa la possibilità che le misure cautelari privative della libertà possano andare oltre la metà della pena comminabile. Su questo, insieme al senatore Lucio Malan, ho presentato un`interrogazione al ministro degli esteri, ma la questione oltrepassa palesemente i confini della ordinaria dialettica parlamentare. E sollecita una riflessione: quella fantasia ardimentosa alla quale prima facevo riferimento può, in questo caso, coincidere con la più elementare presa d`atto della realtà.
E con il riconoscimento dei nudi fatti per come la stessa parte offesa (la Repubblica indiana) li qualifica, attribuendo a essi un`equa soluzione alla luce di principi condivisi di di ritto penale. Come già detto: semplice, no?

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