Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, rappresentanti del Governo, parlerò di welfare, cominciando il mio intervento con una domanda che gira in molti luoghi: il welfare oggi è un problema? È un problema per la nostra società? La sostenibilità del nostro sistema di protezione sociale è stata finora affidata ad una raccolta fondi basata sulla solidarietà fiscale, solidarietà tra i lavoratori, sulle imposte ai consumi. Poveri, esclusi, disoccupati, ammalati, bambini, non autosufficienti ricevono aiuti con soluzioni alimentate da queste modalità, in una logica, spesso meramente amministrativa, del raccogliere e del redistribuire. Ma i tassi di povertà persistenti e in aumento condannano l’Italia, che pure ha un invidiabile sistema di protezione sociale, tra i Paesi meno capaci di trasformare in valore sociale le risorse a disposizione. La Costituzione non limita i potenziali della responsabilità al solo raccogliere e al solo distribuire: ingiustizie e disuguaglianze vanno ben oltre la capacità redistributiva dei fondi a disposizione. Quindi, non si tratta di redistribuire o ridurre, ma di far fruttare il capitale a disposizione. E le istituzioni, dopo aver raccolto le risorse con la solidarietà fiscale, devono evitare che siano consumate da aventi diritto senza doveri. Colleghi della Lega e colleghi del Movimento 5 Stelle, bisogna, a nostro avviso, riconsiderare la capacità del rigenerare, ed è una sfida che può essere affrontata da tutti noi nelle condizioni difficili nelle quali ci troviamo. Vedete, per noi il lavoro è dignità, e lo è anche per quelle 67.000 persone che abbiamo spesso citato, perché ogni aiutato è un moltiplicatore di valore, e gli esempi non ci mancano: il lavoro socialmente utile nell’assistenza alle persone anziane ancora autosufficienti, il servizio civile, le molteplici forme di lavoro del volontariato sociale. Dobbiamo quindi ripensare lo Stato sociale, piuttosto, come un servizio stabile e universalistico, rendendolo più leggero, ma allo stesso tempo salvaguardandolo, utilizzando comunque criteri selettivi a favore dei più deboli. L’obiettivo si può raggiungere se si riflette nell’ottica di utilizzare le politiche sociali per far ripartire la crescita, mentre diminuire le risorse sia sociali che sanitarie destinate al sistema dei servizi alle persone deprime ulteriormente l’economia e peggiora le condizioni di vita dei cittadini. Un bellissimo esempio è dato dalle 12.000 cooperative sociali presenti in Italia e dai loro consorzi, che occupano 380.000 persone, le quali, con i loro servizi, raggiungono ben 6 milioni di cittadini. Ridurre pesantemente le politiche sociali e, più in generale, il welfare vuol dire rinunciare a posti di lavoro diffusi sul territorio e accessibili ad una vasta platea di giovani e di donne, fino ai disabili. In Italia, l’occupazione femminile è ferma al 46 per cento, venti punti in meno rispetto a quella maschile; è più bassa che in quasi tutti i Paesi europei, soprattutto nelle posizioni più elevate e per le donne con i figli: una su tre, infatti, è costretta a lasciare il lavoro alla nascita del primo figlio, per carenza di servizi. La disparità di retribuzione, a parità di istruzione e di esperienza, raggiunge anche il 30 per cento. Sappiamo che una donna su cinque non lavora, e al Sud il tasso di disoccupazione è davvero elevatissimo. Per questo abbiamo predisposto un emendamento che va ad incentivare l’assunzione delle donne. Non si può quindi ridurre il welfare e far gravare sulle famiglie, e dunque sulle donne, i tagli al tempo pieno nelle scuole, alla non autosufficienza, ai servizi alla persona, all’infanzia e alle famiglie. Si devono supportare maggiormente le famiglie; sì, le famiglie sono considerate come il maggior ammortizzatore sociale. Sul tema dei disabili e del lavoro ritengo importante l’ordine del giorno del PD, di cui sono prima firmataria, accolto in Commissione, per rivedere la posizione espressa dal Dipartimento della funzione pubblica in merito alla sospensione dell’obbligo di copertura della quota di riserva, vale a dire dell’entità di lavoratori disabili che i datori di lavoro soggetti ad obbligo devono avere alle dipendenze. È stabilito dalla legge n. 68 del 1999. Vi è la richiesta di rivedere il parere espresso dal Dipartimento della funzione pubblica e prevedere, considerando anche la gravità della situazione economica e sociale nel nostro Paese, misure mirate, specifiche ed urgenti volte a promuovere l’incremento dell’occupazione stabile delle categorie protette, anche per contrastare forme di marginalizzazione aggravate dall’attuale contesto di crisi economica. Al riguardo abbiamo presentato l’emendamento 5.0.1, che prevede anche lo stanziamento di risorse economiche importanti, perché nessuno sia lasciato indietro; e so che anche i senatori del Movimento 5 Stelle sono d’accordo dal momento che in Commissione ci confrontiamo spesso su questi argomenti. Le politiche degli ultimi decenni hanno tenuto poco conto delle realtà sociali in movimento, limitandosi a gestire gli strumenti giuridici ed economici già esistenti, senza spingere sulla leva dell’innovazione e dello sviluppo. Non si è investito sul rendimento. Non sono state cercate soluzioni più capaci di affrontare il rapporto tra bisogni e risorse. A forme più efficaci di aiuto e sviluppo umano e sociale, si sono preferiti sistemi assistenziali di tipo ordinario, senza una prospettiva futura. Al contrario, la richiesta di aiuto aumenta ogni giorno e non tenerne conto vuol dire non dare risposte, accettare che la sofferenza diventi disperazione, abbandono, conflitto, sfiducia, che generano assenza di prospettive con tutte le conseguenze del caso. È importante sottolineare in questo caso anche il ruolo del terzo settore. Detto questo, il disegno di legge oggi all’esame dell’Aula rappresenta un primo importante passo per il Governo al fine della predisposizione di misure urgenti e semplificate in tema di lavoro, in particolare per ciò che concerne i giovani, e di coesione sociale, in linea anche con le politiche e le iniziative assunte a livello europeo e con la situazione economica e sociale che sta affrontando il nostro Paese. È importante anche quanto previsto all’articolo 3, la cosiddetta Carta acquisti sperimentale, che integra la social card e rappresenta una misura importante contro la lotta alla povertà minorile, a partire dalle famiglie più marginali rispetto al mercato del lavoro. Ricordiamo che nel Rapporto annuale del Garante dell’infanzia e dell’adolescenza, presentato il 10 giugno scorso, si dice che in Italia vivono in situazione di povertà relativa 1.822.000 minorenni, il 17,6 per cento dei bambini e degli adolescenti. Il 7 per cento dei minorenni poi vive in condizioni di povertà assoluta. La sperimentazione della Carta acquisti sperimentale va incontro al fenomeno descritto con l’intento di superarlo. Essa consiste in un trasferimento monetario riservato a famiglie in condizioni di povertà residenti nei 12 Comuni con più di 250.000 abitanti. Senatore Puglia, questa non è ‘fuffa’, questo è un aiuto concreto. L’efficacia del programma si misura confrontando i risultati raggiunti dal gruppo dei soggetti beneficiari. L’articolo 3 del disegno di legge in oggetto dispone un’estensione, nei limiti di 100 milioni di euro per il 2014 e di 67 milioni per il 2015, a tutti gli altri Comuni delle Regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia). L’articolo 7 riguarda poi il lavoro accessorio, e quindi la possibilità dei voucher che stabiliscono condizioni, modalità e importi dei buoni orari. Si prevede tra l’altro, che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali con decreto possa stabilire specifiche condizioni, modalità e importi dei buoni orari in considerazione delle particolari e oggettive condizioni sociali di specifiche categorie di soggetti correlate allo stato di disabilità, di detenzione, di tossicodipendenza o di fruizione di ammortizzatori sociali per i quali è prevista una contribuzione figurativa, utilizzati nell’ambito di progetti promossi da amministrazioni pubbliche. Infine di particolare importanza è l’articolo 10 che riguarda la composizione ed il funzionamento della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP). Per ciò che concerne i fondi pensione che coprono rischi biometrici (legati alla morte o all’invalidità) o che garantiscono un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni, si consente che le fonti istitutive di tali fondi, qualora essi procedano all’erogazione diretta delle rendite e non dispongano di mezzi patrimoniali adeguati (in relazione al complesso degli impegni finanziari esistenti), rideterminino la disciplina del finanziamento e delle prestazioni, con riferimento sia alle rendite in corso di pagamento sia a quelle future. Infine si chiariscono, in relazione a recenti incertezze amministrative e giurisprudenziali, che i requisiti reddituali per la pensione assistenziale di inabilità in favore dei mutilati e degli invalidi civili sono computati soltanto con riferimento al reddito imponibile IRPEF del medesimo soggetto, con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare. Tale criterio si applica anche alle domande di pensione già presentate, senza, tuttavia, il riconoscimento di importi arretrati e fatti salvi i casi in cui le domande siano state già definite con provvedimento definitivo e i casi di procedimenti giurisdizionali già conclusi con sentenza definitiva. In conclusione, c’è bisogno di riportare le politiche sociali all’interno del sistema socioeconomico, al mondo del lavoro e della produzione, come peraltro suggerisce l’OCSE. Mi riferisco ad un nuovo modello di sviluppo sostenibile, fondato sul principio della sussidiarietà, della solidarietà, sulla crescita qualitativa, piuttosto che quantitativa, legato ai territori legato e fondato sulle istituzioni, sulle imprese e sui cittadini. Ciò deve comportare la riorganizzazione del mercato del lavoro ed in particolare del lavoro di cura. Esso, che deve comunque essere garantito, sarà organizzato con regole diverse, in modo da far emergere il lavoro sommerso e il lavoro svolto senza alcun riconoscimento dai membri della famiglia, con particolare riferimento alle donne. Infine, questo moto di rinnovamento e rivitalizzazione deve coinvolgere anche il nostro modello di sussidiarietà orizzontale. Non si possono aggiudicare servizi sociali e servizi di cura al massimo ribasso, ma si deve valorizzare qualità, organizzazione e professionalità dell’offerta. I rapporti contrattuali con i soggetti che collaborano al sistema devono essere più improntati alla costruzione di un disegno comune che alla sola esternalizzazione di attività in regime di risparmio. Il problema delle nuove politiche sociali non può essere affrontato in termini semplicistici. La spesa per il welfare, è infatti in crescita in quasi tutti i Paesi europei, perché essa è rispondente a bisogni primari della collettività e non si può comprimere. È necessario, oggi, senza titubanze e con la massima condivisione e corresponsabilità, far fronte a questi problemi dando loro una efficace soluzione. È un dovere di cui non possiamo non farci carico.

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