Diventa legge oggi, con il via libera del Senato, l’assegno unico e universale per i figli, già approvato nel luglio 2020 dalla Camera. “Unico” perché va a sostituire tutte le attuali forme di sostegno alle famiglie (detrazioni Irpef, bonus bebè, bonus mamme, bonus terzo figlio), “universale” perché sarà corrisposto ogni mese a tutti senza distinzione tra lavoratrici e lavoratori dipendenti, autonomi, capienti o incapienti con una maggiorazione per chi ha figli con disabilità.

Una riforma attesa, necessaria, positiva che il Partito Democratico promuove fin dalla precedente legislatura, che semplifica un sistema complesso e composito, chiude la stagione dei bonus a pioggia e introduce uno strumento strutturale sicuro e continuo per venire incontro ai bisogni delle famiglie.

Un intervento che ha tra i suoi principali obiettivi il sostegno alla natalità mai finora così bassa (nel 2019 in Italia sono nati circa 400mila bambini un numero che secondo l’Istat è destinato a calare ulteriormente).

Adesso è importante che il governo faccia presto e bene i decreti attuativi superando alcune criticità già messe in evidenza.

Tra queste sicuramente quella relativa all’ancoraggio dell’assegno all’indicatore Isee che rischia di snaturarne l’universalità. Condizionare l’importo al reddito intacca infatti il principio che ispira analoghi strumenti a livello europeo come il “child benefit” inglese o il “kindergeld” tedesco per i quali la differenza la fanno i figli come valore sociale in sé e non la condizione economica della famiglia.

Secondo alcune stime, inoltre, circa 1,3 milioni di soggetti rischierebbero di ricevere meno di quanto percepiscono oggi con i bonus attuali. In particolare risulterebbero svantaggiati i lavoratori dipendenti rispetto a autonomi e incapienti e famiglie monoreddito composte da donne sole con figli che, secondo l’ultimo rapporto Caritas, rappresentano il nuovo volto della povertà.

Dopo questo importante intervento a sostegno della natalità è assolutamente prioritario investire sull’aumento dell’occupazione femminile, anche alla luce degli ultimi dati del Ministero del Lavoro e di Banca d’Italia sull’incremento del gap di occupati tra donne e uomini: a fine febbraio le posizioni lavorative occupate da donne risultano 76mila in meno rispetto a un anno prima. Quelle occupate da uomini sono invece 44mila in più.

Servono un sistema di welfare e di infrastrutture sociali in grado sostenere le responsabilità di cura che impattano sulle famiglie, un’organizzazione del lavoro più paritaria per il superamento dei molteplici divari che colpiscono le donne rispetto agli uomini sia dal punto di vista salariale che delle opportunità di carriera e che, soprattutto in questi ultimi mesi, hanno visto penalizzate soprattutto le lavoratrici per l’aumento dei carichi familiari e la difficoltà di condivisione degli stessi con la vita professionale.

Inoltre, politiche che vadano appunto oltre il solo concetto di conciliazione che presuppone che il lavoro di cura sia e resti tutto sulle spalle delle donne e introducano quello di condivisione. È questa la parola chiave per il superamento delle discriminazioni e stereotipi di genere e per mettere concretamente le donne in condizioni di lavorare, di essere autonome e quindi anche libere di scegliere di essere madri e lavoratrici.

Il lavoro delle donne, le loro competenze e capacità, aumentano competitività, Pil nazionale e benessere generale quanto un rapporto equilibrato tra popolazione attiva e anziana che solo un tasso di natività adeguato può garantire.

La rinuncia da parte di una donna alla maternità o alla realizzazione di sé attraverso il lavoro non mortifica solo la persona ma impoverisce l’intera collettività.

Ecco perché servono più donne al lavoro. Ecco perché serve investire su congedi obbligatori e paritari di paternità. Sulle infrastrutture sociali che incrociano virtuosamente la possibilità di liberare il tempo delle donne e di poter contare su strutture certificate e riconosciute con competenze qualificate e formate.

E, strategicamente, nell’aumento su tutto il territorio nazionali degli asili nido come prima tappa del sistema integrato di educazione e istruzione e leva fondamentale per il superamento delle disuguaglianze di partenza per tutte le bambine e i bambini.

Bene quindi l’avvio dell’assegno unico per le famiglie con figli. Ma come elemento di un processo complesso e complessivo di innovazione e cambiamento positivo a sostegno della genitorialità, delle donne e quindi dell’intera società.


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