A distanza di un anno dal primo lockdown l`Italia è tornata a chiudere le scuole, compresi i nidi e le scuole dell`infanzia. Una scelta grave, una responsabilità che tutto il sistema Paese, complessivamente, si assume rinunciando a un`analisi oggettiva delle differenti condizioni locali e senza aver operato, nell` arco di molti mesi, le scelte necessarie a fare della scuola, nel concreto, una priorità assoluta da garantire in totale sicurezza. Lo spiegava bene Ferruccio de Bortoli in un editoriale del 5 dicembre scorso pubblicato su Il Corriere della Sera e di cui cito l`incipit «se la scuola fosse un`attività economica, avesse un suo fatturato, l`avremmo trattata certamente meglio. Almeno al pari di altri settori colpiti dal virus». Se ci fossimo preoccupati di quanto vale davvero un`ora di lezione, di come la qualità degli apprendimenti, la socialità dei nostri ragazzi, incida sul livello e la qualità del nostro benessere sociale, della nostra convivenza democratica, della nostra competitività come sistema Paese, probabilmente non avremmo permesso che per un anno intero fosse, di fatto, completamente trascurato o eluso o rimandato il tema della costruzione delle condizioni essenziali per il mantenimento delle scuole aperte, come di altre attività e servizi, anche nelle zone rosse. E quindi il tema di un sistema di trasporti all` altezza, di una rapida ed efficace formazione digitale per corpo docenti, personale scolastico e famiglie, della necessità all`interno delle scuole di operatori sanitari in grado di condividere con i dirigenti la responsabilità di garantire la sicurezza sanitaria della popolazione scolastica, di un piano di vaccinazioni che coinvolga anche gli studenti. La sospensione delle lezioni in presenza provoca danni di natura sia cognitiva, che formativa, che psicologica, che relazionale, le quali non impattano solo sulla vita individuale delle nostre bambine e bambini, delle ragazze e dei ragazzi, ma sul destino collettivo di un Paese. Le conseguenze di una tale sottovalutazione della funzione dell`istruzione e della formazione, dell`importanza di un investimento continuo e permanente del capitale umano, non possono e non devono essere considerate secondarie, un male tutto sommato sopportabile, ma la prima e più profonda causa del rischio di arretramento sociale, culturale ed economico che corre la nostra nazione. La pandemia deve poter rappresentare l`occasione storica per ristabilire la priorità degli interventi e riconoscere che l`intera filiera della conoscenza, dagli asili nido all`università, non è un settore tra gli altri, ma l`infrastruttura immateriale essenziale e trasversale a tutti gli altri. L`investimento su tutto il sistema educativo, d`istruzione e formazione permanente è strategico non solo in sé ma per gli effetti che innesca e che produce per il superamento di tutte le disuguaglianze, le diverse transizioni da compiere sul fronte del digitale e delle sostenibilità, il progresso e la crescita del pil generale. Ecco perché asili nido, scuole, università devono restare aperti; ecco perché nemmeno un`ora deve andare persa; ecco perché è fondamentale garantire il diritto non solo allo studio ma anche all`apprendimento: perché è su questo che si determinano le condizioni per un lavoro di qualità per tutte e tutti e per una crescita solida, duratura, sostenibile e paritaria. Esattamente un mese fa, era il 17 febbraio scorso, il presidente del Consiglio Mario Draghi otteneva in Senato una larghissima fiducia dopo aver enunciato un discorso program- matico di grande valore, concretezza e visione politica. In quel discorso, al primo posto degli interventi strategici su cui innestare la ripresa del Paese, il premier indicava l`investimento strutturale e strategico sulla scuola e la filiera della conoscenza quale prima infrastruttura immateriale per cogliere e vincere la sfida della globalizzazione, della transizione digitale ed ecologica e far fronte al cambiamento che sta investendo il mondo del lavoro. In quell`intervento il premier indicava come assolutamente urgente e propedeutico a ogni successivo ragionamento il ritorno a un orario scolastico «normale», il recupero delle ore di didattica in presenza perse e il ritorno a scuola in sicurezza. Si trattava di un impegno in cui avevo riposto grande fiducia.

Purtroppo, invece, da lunedì quasi 7 milioni di studentesse e studenti, di ogni ordine e grado, compresi i nidi, sono rimasti a casa. In quasi tutta Italia le scuole hanno sospeso le lezioni in presenza e nonostante fosse ampiamente annunciato e previsto un nuovo incremento dei contagi, non si è fatto in modo di creare le condizioni per scongiurare questo ennesimo stop, per mettere la scuola aperta al centro dell` attenzione generale del Paese e del suo governo.

Il problema non è la didattica integrata digitale che rappresenta una risorsa fondamentale già prevista nel Piano nazionale per la scuola digitale che da ministra io stessa sostenni e promossi. Il problema si pone quando la didattica integrata digitale va a sostituire interamente, invece che affiancare, integrare, accompagnare quella in presenza. Con la conseguenza di trasformarsi da strumento di arricchimento e implementazione delle conoscenze e competenze per tutte e tutti a fonte di disuguaglianze, disparità, esclusione.


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