Caro direttore, nell`articolo «L`anno zero per i maschi» (Corriere di ieri) Mauro Magatti riflette su un tema che ritengo decisivo per il futuro comune, quello dei ruoli di genere. «Gli uomini scrive – devono rendersi conto che è venuto il tempo di tentare qualcosa di simile a ciò che le donne stanno facendo da un secolo rispetto al proprio ruolo: cioè chiedersi cosa vuol dire essere maschi oggi».
Lo spunto di riflessione è dato dalla campagna elettorale statunitense e dal modello machista, discriminatorio e prevaricatore di Trump. Un modello che Trump ha portato all`estremo e che sta (fortunatamente) crollando, di fronte alla reazione dell`opinione pubblica, delle elettrici, ma anche della maggior parte degli elettori.
Non si vince – non si vince più – contro le donne. Forse serviva arrivare a questo, alla sconfitta maschile per eccesso di maschilismo, per aprire davvero spazi di riflessione e di cambiamento. Per troppo tempo i modelli di potere e di successo sono stati totalmente maschili. Tanto da cristallizzarsi in stereotipi, pregiudizi, abitudini e atteggiamenti culturali fortemente discriminatori e spesso violenti. È questo che dòbbiamo combattere: l`abitudine a considerare ruoli, funzioni e opportunità differenti per uomini e donne come naturali, quando sono invece frutto di stereotipi e abitudini culturali consolidate in anni, anni ed anni di dominio patriarcale sul mondo.
Se Trump perderà non sarà allora solo una vittoria di Hillary Clinton, ma sarà una vittoria per tutte le donne e per tutti gli uomini che vogliono una società più giusta e con più rispetto e convivenza civile. Questo è il punto centrale della sfida che abbiamo oggi di fronte: smettere di considerare le pari opportunità una questione solo femminile, per acquisire invece una piena e condivisa consapevolezza di quanto siano fattore di crescita e di equità per tutta la comunità.
Rendere paritaria la rappresentanza (come si è iniziato a fare in Italia negli ultimi anni con la normativa elettorale e come previsto dalla Riforma Costituzionale), eliminare ogni gap lavorativo (in termini di accesso, occupazione, carriera e salario), evitare che le donne siano costrette a scegliere tra figli e lavoro (con incremento concreto dei servizi), condividere equamente i compiti familiari tra madri e padri (come desiderato oggi anche da tanti giovani uomini), insegnare fin dalla scuola il rispetto e il valore delle differenze (come introdotto dalla Buona scuola), modificare il linguaggio e eliminare discriminazioni e violenze (come previsto dalla Convenzione di Istanbul): cambiare la nostra società, i modelli che la guidano e il sistema di welfare e di opportunità è una questione di valori e di valore per tutti. Di valori politici e sociali che dobbiamo sempre più condividere e di valore economico che possiamo produrre.
E in questa ottica che diventa decisivo il ruolo degli uomini. L`Onu l`ha capito, lanciando due anni fa il progetto He for she, che prevede proprio l`impegno in prima persona degli uomini per superare discriminazioni e violenze maschili sulle donne, e che abbiamo rilanciato anche in Italia. La vittoria di Hillary Clinton, che ci auguriamo fortemente, potrà essere un`ulteriore leva di cambiamento. Ma l`importante è che nessuna e nessuno pensi che questo cambiamento possa essere guidato solo dall`alto e che riguardi solo qualcuno. È invece la sfida di tutte e tutti noi che facciamo politica e di tutte le persone che vogliono costruire una società migliore, con maggiori opportunità, maggiore ricchezza, maggiore uguaglianza.
Riflettere sui ruoli maschili e femminili, sulle modalità di relazione con l`altro sesso, sul rapporto con i figli, sul contributo che ciascuna e ciascuno di noi, nelle reciproche differenze, può dare alla società è il modo migliore e più concreto per occuparsi del futuro e per rendere il mondo un posto migliore, per le donne e gli uomini.


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