Questo pomeriggio il canale 3 della web tv del Senato della Repubblica trasmetterà dalla Sala Zuccari l’evento di cui sono promotrice “Diritto all’istruzione e all’apprendimento per un’economia della conoscenza e il superamento di ogni disuguaglianza”.

Che un’iniziativa sulla scuola si svolga l’8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna, non è una coincidenza. È una scelta. Una scelta che parla al Paese, a un Paese di donne e uomini in cui responsabilità della Repubblica, e quindi delle istituzioni, è ancora quella di rimuovere, come iscritto nell’articolo 3 della Costituzione, gli ostacoli che si frappongono a una piena uguaglianza, innanzitutto di genere, tra le persone.

E dove se non a scuola – che è la prima e più strategica delle infrastrutture immateriali per la crescita culturale, sociale, economica dell’intera società – possono e devono essere garantite le condizioni e le opportunità affinché ciascuna e ciascuno, indipendentemente dal sesso, dalla provenienza geografica, dalle condizioni di partenza, possa realizzare pienamente se stessa e se stesso, crescere e relazionarsi positivamente con gli altri e concorrere alla pari in tutti gli ambiti del vivere comune?

Una scelta che parla anche alle e delle moltissime donne impiegate nel mondo della scuola (secondo dati Aran 888.500 solo tra le occupate a tempo indeterminato su un totale di 1.124.307 pari all’80%) che soprattutto in questi mesi di emergenza pandemica, tra enormi difficoltà materiali, logistiche, familiari, psicologiche e sanitarie, con una straordinaria capacità di resilienza di fronte a una situazione del tutto inedita – motivo in più perché questa professione ottenga il riconoscimento sociale ed economico che le spetta – hanno saputo garantire a milioni di bambine e bambini, di ragazze e ragazzi una continuità didattica e di relazione.

E lo hanno fatto a distanza, alle prese con un enorme divario digitale tra territori e condizioni sociali, culturali ed economiche delle famiglie, nell’indisponbilità di device sufficienti, in ritardo sul necessario processo di alfabetizzazione digitale di giovani e adulti, nell’incertezza e indeterminatezza di una situazione in continuo divenire e delle scelte e dei provvedimenti conseguenti.

È trascorso un anno, era il 5 marzo scorso, da quando, dalla sera alla mattina, la scuola fu la prima istituzione a chiudere per la pandemia. Un anno durante il quale l’intero sistema scolastico è stato messo a durissima prova e in cui sono emersi con dirompente evidenza limiti, ritardi, inadeguatezze, profonde disuguaglianze. Un anno che però si è dimostrato anche un’irripetibile occasione per mettere finalmente a fuoco questi gap e assumere l’urgenza di un loro superamento come priorità nazionale.

Il Recovery Plan, o meglio Next Generation Eu, è lo strumento che l’Europa ci ha messo a disposizione per cogliere pienamente questa opportunità e innescare i necessari cambiamenti di tipo strutturale che servono alla scuola e quindi alla società affinché sia garantito non solo e non più un generico diritto all’istruzione ma, nei fatti, anche un diritto all’apprendimento.

Un diritto fondamentale perché non basta la mera trasmissione delle nozioni per considerare assolta la funzione costituzionale della scuola. Serve anche che sia garantito l’apprendimento che è strumento e condizione di cittadinanza e partecipazione attiva e consapevole alla comunità democratica di cui si è parte. Principio che ritroviamo al primo punto del Manifesto dell’Autonomia Didattica che il già ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer illustrerà questo pomeriggio, come merita, in Senato alla presenza di esperti, rappresentanti delle parti sociali, dei colleghi del Pd Flavia Nardelli e Roberto Rampi e dell’attuale ministro nel governo Draghi Patrizio Bianchi.

Un diritto universale, è importante sottolinearlo, perché tutti hanno diritto ad apprendere attraverso una didattica di qualità che non si esaurisce negli orari e negli spazi scolastici tradizionalmente intesi ma si articola e si sviluppa in sinergia con il territorio, attraverso le reti sociali, culturali, economiche che in autonomia, ma in modo misurabile e condivisibile, ciascuna scuola può attivare.

Un investimento che mette al centro la crescita cognitiva, relazionale, sociale di ciascuna studentessa e ciascuno studente e che ciascuno di loro restituisce alla società producendo un apprendimento sociale che è più della somma degli apprendimenti individuali. Un apprendimento di qualità – che valorizza e potenzia le materie STEM soprattutto tra le ragazze, i nuovi linguaggi del digitale, l’educazione ambientale e al rispetto delle differenze – per un lavoro di qualità in un mondo che cambia e dentro una filiera della conoscenza che costruisce uguaglianza, parità e sviluppo.

Una priorità che ho sempre sostenuto con forza e insieme a tante e tanti altri tra i quali non posso con citare, ringraziandolo, il professore Luigi Berlinguer che oggi insieme a me presenterà il Manifesto. Una priorità citata anche dal presidente Draghi che nel suo importante discorso programmatico alle Camera ha indicato la scuola al primo punto del suo piano di interventi strategici per il Paese. Una scelta coerente con quelle europee e con gli obiettivi di sviluppo e di crescita sostenibile, innovativa, paritaria, inclusiva indicati dall’Agenda 2030 dell’Onu e assolutamente necessaria per la costruzione di quella società ed economia della conoscenza di cui le donne devono essere sempre più protagoniste.

Anche, e direi soprattutto, in tempo di pandemia dobbiamo saper guardare lontano – questa è la nostra responsabilità come decisori politici e rappresentanti delle istituzioni –  e capire che ogni possibilità di futuro passa per due direttrici che io considero strettamente intrecciate: l’investimento strategico su tutto il sistema educativo, d’istruzione e formazione permanente e quello per il superamento delle disuguaglianze di genere che parte esattamente dalla scuola e si può realizzare solo rendendo le donne pienamente partecipi della vita sociale e produttiva del Paese attraverso un piano straordinario per l’occupazione femminile e nuove infrastrutture sociali in grado di liberare il loro tempo e quindi il potenziale di competenze, saperi, talenti per far crescere tutto il Paese.

È con questo approccio e visione mainstreaming che nei mesi scorsi, dentro e fuori il Parlamento, abbiamo lavorato e costruito proposte, al fianco e insieme a tante associazioni di donne, per spingere a un’assunzione di consapevolezza e responsabilità governo, amministrazioni locali, forze datoriali e sindacali e permettere all’Italia non solo di uscire dalla crisi sanitaria ed economica ma anche di tornare a crescere come Paese moderno, di agganciare una ripresa che o sarà pienamente paritaria o non sarà.

Perché ci sono ormai tantissimi dati e ricerche che attestano e confermano che la crescita del Pil è direttamente proporzionale al livello e alla qualità d’istruzione di un Paese e alla percentuale e alla qualità del lavoro femminile. Questo per me significa dare valore oggi all’8 marzo, a una Giornata che non è solo memoria delle lotte e degli importantissimi risultati già raggiunti ma che deve essere soprattutto slancio verso quelli ancora da realizzare pienamente per le donne e quindi per tutta la società.


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