Senatore Federico Fornaro anche in questa tornata amministrativa l`astensionismo è in aumento: in provincia di Alessandria nei 21 comuni dove si è votato, dal 72,66% del 2011 si è scesi al 65,17%,…E nelle grandi città nessuna supera il 60%..
«Il corpo elettorale si divide in tre gruppi: il primo, che vale il 40%, è costante e fedele. E` generazionale, legato a persone avanti con gli anni: vota perchè è un dovere civico. E` in calo. Poi ci sono gli astensionisti intermittenti (40%): decide se andare a votare per le comunali, le regionali, le politiche o le europee. E decide in base a candidati e liste a all`umore del momento. Infine, c`è un 20 % di astensionisti cronici: alle urne non vanno più».
Federico Fornaro, sindaco di Castelletto d`Orba dal 2004 al 2014, è senatore (di minoranza) del Pd. Fla scritto un libro “Fuga dalle urne. Astensionismo in Italia dal 1861 a oggi” (edizioni Epokè ) che verrà presentato venerdì 17 giugno a Castelletto d`Orba nella palestra di piazza del Municipio alle 21. L`autore sarà intervistato dai giornalisti della Stampa PieroBottino e Miriam Massone.
Nei piccoli comuni l`affluenza è maggiore rispetto ai grandi centri..
«Nei piccoli comuni c`è la conoscenza diretta del candidato, l`elettore ha la sensazione che il suo voto conti».
L`astensionismo cresce perché i partiti non sono più capaci di mobilitare i cittadini?
«Le cause sono molteplici. In passato nascevi in una famiglia comunista e restavi comunista, nascevi in una famiglia democristiana e restavi Dc. Oggi l`ideologia è venuta meno, la capacità di mobilitazione è caduta.
Dal 2007-2008 è emersa poi una critica ai partiti tradizionali perle politiche di austerità decise da soggetti esterni come il fondo monetario, la Banca centrale europea. Si pensa che chi andiamo a eleggere non conti nulla. C`è anche chi dà un segnale di disaffezione nei confronti della sua parte politica, si veda il voto alle regionali liguri del 2015, Poi magari torna a votare il partito».
Il Pd non ci ha messo del suo negli ultimi due anni? II leader Renzi pensa più a un rapporto diretto con l`elettore…
«Il libro tocca temi oggettivi e di lunga durata. Però se devo dire lamia, l`idea di una smobilitazione organizzativa e che basti un leader bravo a comunicare, ha sicuramente accelerato il declino della vecchia idea di partito. Detto questo, il Pd è rimasto l`unico partito che ha ancora un radicamento nel territorio».
Il Pd sta diventando il partito del leader..
«Il leader ha un ruolo crescente, oggi si saltano i corpi intermedi, compresi i partiti. E` definita democrazia del pubblico o del leader. Il partito è sempre più liquido e mobile».
Ma così salta la democrazia partecipativa..
«E` in crisi la democrazia rappresentativa. La delega in bianco al leader appartiene a Forza Italia non alla sinistra. Renzi è l`eccezione: in nessun atto programmatico o di candidatura alle primarie, ad esempio, c`era il riferimento al Jobs act. Che invece è stato fatto passare come una richiesta dei militanti. In passato ci sarebbe stato un ampio dibattito nei circoli».
Come se ne esce?
«Il libro pone in evidenza la crisi del ceti medi e popolari. Intanto non bisogna sottovalutare l`astensionismo, non ci si può fermare all`analisi del numero di Comuni o delle Regioni vinte. Però la democrazia non funziona senza i partiti, occorre trovare un equilibrio tra leader forte e partito forte».
Serve ancora il radicamento nel territorio?
«Anche in forme nuove, attraverso il web. Ma non si può cancellare. Non mi pare che nemmeno il M5Se abbia trovato la soluzione: la partecipazione diretta funziona in realtà piccola non su scala più grande».