Giuslavorista, ex sindacalista Fiom, docente universitario e senatore della Repubblica. Pietro Ichino è stato eletto nelle liste di Scelta civica, ma a febbraio dello scorso anno è tornato nel partito che ha fondato: il Pd. Teorico della flexicurity, il modello che prova a coniugare sicurezza e flessibilità nel mercato del lavoro, Ichino ha iniziato h carriera parlamentare nel Pci, da indipendente. Oggi è un sostenitore del premier Matteo Renzi.
Professor Ichino, cosa ha pensato quando ha sentito il coro «fuori, fuori», all`indirizzo di Pierluigi Bersani?
Non mi è piaciuto per niente.
Il referendum si è trasformato nella resa dei conti del Pd. Adesso la parola scissione non è più un tabù. Crede che il 5 dicembre esisteranno due partiti?
Non mi sembra che questo tabù sia mai esistito. Una scissione strisciante verso sinistra è in corso ormai da due anni. Anche in Parlamento è accaduto frequentemente che degli appartenenti al Pd votassero contro le indicazioni del governo guidato dal leader del Pd. Ma è sempre una scelta di chi esce dal partito. Non ho mai sentito parlare di espulsioni.
Ha fatto bene Cuperlo a fidarsi del segretario sulla modifica dell`italicum o, come dice Bersani, le garanzie di Renzi suonano come il famoso «Enrico stai sereno»?
Il documento prodotto dalla commissione presieduta da Guerini ha accolto le richieste provenienti dalla minoranza, indicando la via della sostituzione del meccanismo del ballottaggio con l`uninominale di collegio e con un premio di maggioranza. Più di questo quella commissione non poteva fare. Il problema è che il Pd da solo non ha i numeri per cambiare la legge elettorale: non si possono fare i conti senza l`oste. E qui l`oste è quel pezzo di Parlamento senza il quale nessuna modifica della legge
elettorale, pur fatta propria dal Pd, è possibile.
Sembra che la riforma in sé sia passata in secondo piano. La competizione si è trasformata in un plebiscito: Sì o No a Matteo Renzi. E successo per responsabilità del premier?
Il governo Renzi è nato e ha ricevuto la fiducia da Camera e Senato per fare questa riforma. Mi sembra inevitabile che un referendum sulla riforma si trasformi in un referendum sull`operato del governo stesso. Resta il fatto che, via via che la campagna referendaria procede, la gente è portata a entrare sempre di più nel merito dei contenuti della riforma. Può essere che alla fine il voto sia determinato più dalla valutazione sui contenuti della legge che dall`opinione su Renzi e il suo operato.
Non sarebbe stato meglio “spacchettare” i quesiti referendari per una riforma che modifica 47 articoli della Costituzione?
A norma dell`articolo 138, gli italiani non sono chiamati a compiere collettivamente un nuovo lavoro di elaborazione del testo della riforma, decidendo che cosa tenere e che cosa lasciare, ma a esprimere un loro giudizio sul risultato complessivo dell`opera compiuta dal Parlamento. Anche i due rami del Parlamento, del resto, dopo le tre letture nelle quali il testo è stato emendato, sono stati chiamati per quattro volte a esprimere una valutazione secca complessiva sull`esito del lavoro di elaborazione della riforma: un sì o un no sulla legge nel suo complesso. Non avrebbe senso che a 40 milioni di elettori fosse affidato il compito di una modifica del contenuto della legge, che neppure Camera e Senato avrebbero potuto compiere nelle ultime letture.
Sul Foglio lei ha scritto che «il No è collegato a un ritorno al sistema elettorale proporzionale, quindi al mantenimento dell`assetto costituzionale attuale e a una prospettiva di governi di “larghe intese”». Ma se venisse modificato l`italicum, assegnando ad esempio il premio di maggioranza alla coalizione invece che al partito più votato, non sarebbe comunque necessaria un`alleanza almeno con Alfano?
In quell`articolo ho scritto che se vince il No ci teniamo la Costituzione attuale, perché sarà difficilissimo trovare una maggioranza capace di varare una nuova riforma. E che se vince il No ci teniamo un sistema elettorale proporzionale, almeno per il Senato, perché sarà difficilissimo trovare una maggioranza capace di accordarsi su di un sistema diverso da quello risultante dalla sentenza della Corte costituzionale. Quanto all`ipotesi di modifica dell`Italicum, sì: se il premio va alla coalizione un esito possibile è quello che lei indica. A me pare meglio correggere la nuova legge elettorale nei suoi difetti (le preferenze e la possibilità delle candidatura della stessa persona in dieci collegi), ma non sul ballottaggio e non sul premio al partito chelo vince.
Perché secondo lei D`Alema è così ostile a questa riforma?
Perché non è stato lui a guidare il processo che ha consentito di condurla in porto. D`altra parte, quando ci ha provato lui non ci è riuscito. Ma la cosa che mi pare meno apprezzabile nella posizione assunta da D`Alema è il suo argomento, identico a quello che Berlusconi pone al centro del suo discorso, secondo cui, azzerata questa riforma, ci sarebbe una prospettiva realistica di rapidissima approvazione di una nuova riforma migliore.
Proprio in bocca a loro due, che sono stati i protagonisti dell`esperienza del 1997-98, questo argomento è pochissimo credibile.
Per Renzi, l`ex premier vorrebbe solo tornare sulla scena. Ma chi è D`Alema per il Pd?
È uno dei leader principali di uno dei due partiti maggiori che al Pd hanno dato vita, il Pci-Pds-Ds. Ma come tale è anche uno dei maggiori responsabili del mancato superamento delle scorie che quella sinistra si portava dietro.
Lei ha detto che nel fronte del No prevale l`atteggiamento no-euro. Ma se vincesse il Sì, Junker smetterebbe di “fregarsene” delle richieste italiane?
Se vincesse il Sì, il governo italiano si presenterebbe a Bruxelles molto rafforzato. Al punto di potersi candidare a guidare la nuova fase di costruzione dell`Unione europea, con maggiore credibilità rispetto ai governi francese e tedesco che usciranno dalle elezioni in quei due grandi Paesi fondatori.


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