“Su La Repubblica di oggi Ivan Scalfarotto ricostruisce in maniera scorretta una riunione del PD sulle unioni civili. Il gruppo ristretto era composto da cinque senatori e cinque deputati. Lui non era stato scelto tra i dieci, eppure si presentava sempre e interveniva lungamente. All’ennesima presenza non prevista, ho chiesto a Scalfarotto a che titolo fosse presente. Tanto più che i favorevoli alla stepchild erano già in larghissima maggioranza. Scalfarotto ha risposto di essere presente “come semplice deputato, come Ivan”. Io ho risposto che allora non aveva titolo a partecipare. Apriti cielo! Con furia Scalfarotto alzò la voce: “tu non sai che io sono molto seguito sui social. Non insistere, perché rischi di essere massacrato in rete”. Io ho preferito non rispondere, per non esasperare i toni, già surriscaldati. Tutti i partecipanti non potranno che confermare esattamente questa versione”. Lo scrive in una nota Stefano Lepri, vicepresidente del Gruppo Pd al Senato.
“Per me la cosa era finita lì – spiega – ma oggi Scalfarotto crede di potermi dare una lezione, passando oltretutto da discriminato. In realtà, in quel caso ha confuso la passione personale (legittima e apprezzabile) con il ruolo parlamentare (un gruppo ristretto non ammette eccezioni) con quello di Governo (è sottosegretario). In più si è anche esercitato su versioni moderne del “Lei non sa chi sono io”. Fino a minacciare un linciaggio mediatico nei miei confronti. Comunque avvenuto, pur senza citare il fatto. Ma la vera falsità è quella politica: sostenere che i cattolici del PD la legge non la volevano. Siamo noi che abbiamo contribuito affinché passasse: è grazie allo stralcio della stepchild se la legge oggi è in sintonia con il Paese. Anch’io sono contento che sia stata approvata nel modo e con i contenuti del Senato. Ma – conclude Lepri – non c’è ragione di voler passare anche per martire. O per far passare dei colleghi di partito come integralisti o prepotenti”.


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