“Credo sia senza fondamento l’idea di riconoscere in questo passaggio, nella preoccupazione per l’uscita dei boss e nelle norme contenute nel recente decreto, una svolta giustizialista del Pd. Sia sull’emergenza carceri come sulla riforma del processo penale per noi resta centrale il tema dell’allargamento degli spazi per l’utilizzo delle pene alternative al carcere, per introdurre misure fondate sul risarcimento a fronte dei reati meno gravi, per non far entrare nel circuito penale gli autori di reati bagatellari. In secondo luogo non è vero che ci sia da parte nostra alcuna volontà di ridimensionare il ruolo della magistratura di sorveglianza. Anzi abbiamo riconosciuto l’importanza delle decisioni assunte, in questi difficili mesi in cui il Covid19 ha reso esplosiva la questione della sovrapopolazione delle carceri, che hanno consentito di ridurre la popolazione carceraria da 61 a 53 mila unità.

Per comprendere meglio e evitare di considerare la norma contenuta nell’ultimo decreto come una violazione dell’autonomia della magistratura di sorveglianza, o peggio un atto ostile o, addirittura, eversivo perché interverrebbe con decreto su una modifica delle competenze, vorrei stare al merito. C’è una norma dell’ordinamento carcerario (l’articolo 4bis al comma 3 bis) che dice che permessi premio e misure alternative al carcere non possono essere concessi se il procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunicano che permangono collegamenti con la criminalità organizzata. Con la norma contenuta nel decreto si chiede semplicemente ai magistrati di sorveglianza, prima di prendere decisioni, di informare questi soggetti in modo che essi possano verificare se permangono collegamenti dei detenuti con le mafie che renderebbero pericolosa la scarcerazione. Mi pare una norma di buon senso”. Così Franco Mirabelli, vice presidente dei senatori del Pd e capogruppo dem in commissione Antimafia, in un intervento su Il Riformista.


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