Iniziamo dal tema caldo di questi giorni, senatore Misiani. Oltre a dire che il governo Meloni è diviso sul Pnrr, come si esce concretamente dal rischio dei ritardi e di non riuscire a spendere i soldi?
Sul Pnrr il governo sembra quasi volersi arrendersi di fronte alle difficoltà, scaricando semmai le colpe sui predecessori. È un segnale sbagliato, innanzitutto verso i soggetti che il Piano lo devono attuare. Questo deve essere invece il momento della mobilitazione di tutti. Noi siamo pronti a dare una mano, ma spetta alla Meloni e ai suoi ministri venire in Parlamento e mettere le carte in tavola, indicando cosa cambiare per mettere a terra nei tempi previsti le risorse e le riforme del Piano, comprese quelle che non piacciono per motivi elettorali. Noi ci siamo, ma non c`è più tempo da perdere.
Come ridare potere d’acquisto ai lavoratori (nelle scorse ore l’Istat ha certificato un calo del 3%) senza innescare una spirale prezzi-salari?
In Italia per il momento non c`è alcuna spirale prezzi-salari. Stiamo assistendo invece – come ha autorevolmente evidenziato Fabio Panetta – ad un’inflazione spesso amplificata da una parte delle imprese, che aumenta i listini e i margini più di quanto crescano i costi. Per affrontare la questione salariale servono più strumenti, dal rinnovo dei contratti di lavoro scaduti all`introduzione del salario minimo fino ad una riforma fiscale che tagli le tasse sul lavoro. Senza dimenticare, però, il nodo di fondo che frena i salari in Italia: la stagnazione della produttività. E quindi le riforme e gli investimenti che servono a rilanciarla.
Nei rapporti con Bruxelles il governo sembra essersi concentrato sull`immigrazione, ma in gioco c’è anche la riscrittura del Patto di stabilità…
La proposta della Commissione presenta diversi aspetti positivi. Rimane però aperta una serie di questioni, su cui dovremmo insistere, a partire dai criteri di calcolo della spesa pubblica netta fino alle interazioni delle nuove e vecchie regole di bilancio e al ruolo dell`analisi di sostenibilità del debito. Sullo sfondo ci sono importanti temi politici rimasti irrisolti, dall’assenza di una capacità fiscale autonoma dell`Eurozona alla necessità di uno strumento permanente, un Fondo europeo per il clima per finanziare gli investimenti per la transizione verde.

Come conciliare la transizione con la tutela di posti di lavoro? La questione dello stop Ue alle auto a benzina dal 2035 è emblematica.
Primo: la decarbonizzazione è necessaria, altrimenti i danni ambientali, economici e sociali saranno devastanti. Secondo: la transizione ecologica non è una passeggiata di salute ma pensare di affrontarla, come fa la destra, semplicemente facendo muro contro l’Europa non ci porta da nessuna parte come è accaduto sui combustibili sintetici, con il governo Meloni che ha fatto il portatore d`acqua per i tedeschi rimanendo con un pugno di mosche. In Europa dobbiamo batterci non per guadagnare tempo ma per mutua lizzare i costi della transizione, ottenendo le risorse necessarie per aiutare il nostro sistema industriale ad affrontare la conversione ecologica.
Il renziano Jobs act deve essere abolito, ripristinando così l`articolo 18?
La priorità, per il Pd, è approvare una legge per introdurre il salario minimo e una riforma del lavoro per ridurre la precarietà, sul modello di quella varata in Spagna dal governo Sanchez con la condivisione delle parti sociali. Per quanto riguarda l`articolo 18,1a Corte costituzionale si è pronunciata più volte e i contenuti di quelle sentenze andrebbero recepiti nella normativa.
Il Pd ha espresso giudizi duri sulla delega fiscale. Perché?
La delega fiscale del governo purtroppo cristallizza e per certi versi peggiora le disuguaglianze di un sistema che premia la rendita, condona chi evade e penalizza chi lavora e chi fa impresa. Secondo noi bisogna andare in un`altra direzione, superando un fisco corporativo che ostacola lo sviluppo. La nostra priorità rimane un taglio rilevante e strutturale del cuneo fiscale insieme ad una revisione della fiscalità che favorisca le imprese che fanno investimenti, che hanno elevati standard ambientali e sociali, che reinvestono gli utili, con una tassazione neutrale rispetto alla scelta della forma giuridica.
Lotta al lavoro precario e salario minimo sono battaglie comuni a tutte le opposizioni, ma le ricette sono diverse. Qual è la vostra?
Per migliorare la qualità del lavoro serve una strategia complessiva, che preveda una revisione delle regole del mercato del lavoro e delle misure di decontribuzione, focalizzandole sui contratti stabili, ma soprattutto una nuova politica industriale, che aiuti le imprese a rafforzarsi, a competere, a crescere, a investire nella formazione e nell`innovazione. Quanto al salario minimo, al centro vanno messi i contratti collettivi nazionali delle organizzazioni maggiormente rappresentativi, da estendere a tutti. Una soglia minima di legge va individuata dialogando con le parti sociali, peri soli settori a più elevata intensità di povertà lavorativa.
Lei era già responsabile economico con Zingaretti e Letta. Anche lei è tra i critici del presunto “liberismo” del Pd delle origini?
Il Pd è nato nel 2007. Da allora il mondo è stato sconvolto da una moltitudine di crisi che hanno radicalmente cambiato il nostro quadro di riferimento. Credo che la sinistra del XXI secolo, compreso il Pd, debba fare i conti con tutto questo, mettendo con più nettezza al centro delle proprie battaglie l`obiettivo di uno sviluppo equo e sostenibile, cioè di una crescita che vada a beneficio di tutti e non solo di pochi e che preservi il patrimonio ambientale che abbiamo il dovere di trasmettere alle generazioni future.


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