In questi sei anni il Gruppo costruito da Profumo e ora guidato da Ghizzoni, con l’appoggio di varie fondazioni bancarie e, in tempi più recenti, di investitori esteri, ha svalutato crediti, avviamenti e partecipazioni per 75 miliardi di euro
Caro Direttore, Federico Ghizzoni, nel1`intervista a ‘Repubblica’, guarda avanti. Anticipa la revisione della qualità degli attivibancari e fa pulizia nei conti di Unicredit. Una scelta obbligata, compreso il nuovo, doloroso salasso occupazionale; ottima nei tempi. Lo dimostra l’ accoglienza positiva della Borsa, nonostante lo scetticismo del ‘Financial Times’. Sarà ora interessante vedere quali conti presenterà Intesa Sanpaolo, cresciuta spendendo meno di Unicredit, ma ancora più legata all`economia italiana non avendo un vero network intemazionale.
E tuttavia chi si preoccupa dello stato di salute di quel sistema arterioso dell`economia che è costituito dalle banche, senza essere coinvolto nella loro gestione, deve anche ragionare sul passato. Per trarne lezioni per il futuro. Fare troppo conto sulla ripresa delle quotazioni in atto da poco più di un anno grazie alle nuove tendenze dei grandi investitori a caccia di rendimenti, potrebbe rivelarsi un`illusione. Fidarsi ciecamente delle banche centrali, che prima avevano chiuso entrambi gli occhi e adesso fanno la faccia feroce in vista dell`Unione bancaria europea, potrebbe essere un`imprudenza.
 Il passato prossimo di Unicredit inizia ne12008, l’anno del crac Lehman, e si dovrebbe concludere adesso, se è vero che le pulizie di bilancio sono terminate. Ebbene, in questi sei anni il gruppo bancario multinazionale costruito da Alessandro Profumo e ora guidato da Ghizzoni, con l`appoggio delle fondazioni bancarie di Verona, Torino, Treviso e Bologna e, in tempi più recenti, di investitori esteri, arabi soprattutto, ha svalutato crediti, avviamenti e partecipazioni per 75 miliardi di euro, una somma che equivale a 5 punti di Pil. Due terzi di questa enorme sequenza di svalutazioni è formata da perdite attese sui crediti.
C`è stata, è vero, la recessione, con i fatali effetti di trascinamento. Ghizzoni li ritiene adesso esauriti, dato che i crediti in sofferenza hanno cessato di aumentare. Ma siamo sicuri che gli oltre 50 miliardi di svalutazione dei crediti siano tutti da ascrivere alla crisi e non anche a come la banca ha erogato il credito prima della crisi e anche nel durante?
 I nuovi tagli del personale, previsti soprattutto in Italia, ci dicono che pure Unicredit, per molti anni percepita come l`alfiere del nuovo, aveva seguito un modello aziendale non abbastanza lungimirante. Forse la prossima quotazione della Fineco, antica costola della bresciana Bipop acquisita nel quadro dell`incorporazione di Capitalia, rivela che la modernità stava anche altrove. Non solo in piazza Cordusio a Milano.
 La svalutazione degli avviamenti (nel 2008 sfioravano i 21 miliardi e ormai sono ridotti a poco) la dice lunga sullagrandeurdiUnicredit: sembrava fondata su pilastri di granito e poi abbiamo scoperto che si trattava di argilla. Certo, come avvertono i tecnici, questa svalutazione è una posta contabile. Non incide sul patrimonio di vigilanza, in rapporto al quale si misurano le potenzialità della banca nell` erogazione del credito. Non comporta un`uscita di cassa. E tuttavia gli avviamenti rappresentano il surplus implicito nei valori ai quali sono state fatte le acquisizioni. Nel caso di Unicredit si tratta di un surplus pagato effettivamente in denaro o in azioni. Averlo azzerato o quasi equivale a confessare che le acquisizioni, a cominciare da Capitalia, sono state fatte a prezzi legati alle quotazioni del momento e non alla consistenza reale della preda. La qual cosa dovrebbe suggerire riflessioni critiche sul ruolo della Banca d`Italia, promotrice di quell`operazione e di altre concentrazioni bancarie.
La diluizione nel tempo delle pulizie di bilancio ha consentito a Unicredit di affrontare le difficoltà spillando, in varie riprese, una quindicina di miliardi dai soci. Non è una strategia modernissima. È la stessa che Cesare Geronzi applicò alla Banca di Roma. Nell`un caso e nell`altro si è evitato il default e il ricorso agli aiuti di Stato. Non è poco se si pensa ai Paesi anglosassoni. Sarà tanto se queste pulizie saranno davvero le ultime.

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