‘La legge Gasparri su Tv e dintorni compie il decimo compleanno e il suo autore lo celebra oggi pomeriggio con un convegno in Senato ricco di partecipanti di alto rango. Non è prevista la presenza di Matteo Renzi. Niente di strano in un Paese normale. Ma l’Italia di oggi normale non è. Il potere di riformare o controriformare si è andato concentrando nelle mani del premier. E il premier promette di importare il modello inglese della Bbc suscitando grandi speranze negli animi semplici e qualche legittimo sospetto tra chi conosce la materia’, così sul suo blog Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato.

Secondo Mucchetti: ‘Renzi, infatti, è lo stesso Renzi che nelle scorse settimane si è vantato di aver inflitto alla Rai un taglio dei costi di 150 milioni l’anno quando l’azienda era già arrivata a metà esercizio, di non aver mai incontrato il direttore generale Gubitosi, di voler ridurre di parecchio il canone facendosi legittimare da un referendum popolare. Tre prese di posizione che fatico a comprendere a quali fini obbediscano. Confesso di non capire dove finiscano i giochetti della politica politicante, indifferente alla realtà dell’industria italiana dell’informazione e dell’audiovisivo, e dove comincino i favori all’amico Silvio, preoccupato per il futuro di Mediaset insidiato dal calo strutturale della pubblicità tradizionale. Rai uguale alla Bbc? Magari’.

‘Ma la Rai – afferma il senatore del Pd – non è la Bbc per due ragioni di fondo: a) non ha la stessa reputazione di indipendenza e professionalità (pur con grandi eccezioni positive); b) vive di canone e di pubblicità, mentre la consorella britannica vive di solo canone, e di un canone del 50% superiore a quello Rai. Nel Regno Unito vi è inoltre un Channel Four pubblico, alimentato dagli spot legati alle produzioni dell’audiovisivo nazionale. Ecco, mi pare che Renzi ponga l’accento sulla governance della Rai. Bene. Se la vuole sottrarre all’ingerenza dei partiti, benissimo. Magari sarebbe più credibile se qualche suo fedelissimo della Commissione di vigilanza evitasse di mettere becco sui programmi a difesa della propria parrocchia esattamente come hanno sempre fatto i politici della prima e della seconda repubblica. Se questo fosse ancora lo stile, temo che all’attuale governance, assai carente, venga sostituita una nuova, articolata su una fondazione, che di per se’ non garantisce nulla e può tranquillamente essere funzionale a chi ne nomina i vertici, e dunque essere altrettanto carente’, sottolinea l’ex giornalista del Corriere della Sera.

Per il presidente della commissione Industria: ‘Ora, la Rai sconta sprechi cospicui. Su la voce.info, Roberto Perotti, consigliere economico di palazzo Chigi, ne ha indicati alcuni, che riguardano il personale e andranno riconsiderati alla luce della competizione reale alla quale la Rai partecipa. Chi scrive ha evidenziato più volte le incongruenze del sistema Rai di fronte alle sfide delle nuove tecnologie e dei nuovi consumi: dalla pay-tv alla formazione on line, dal self journalism ai nuovi network internettiani. Incongruenze derivanti da una legislazione ormai vecchia e legata alla salvaguardia del duopolio Rai-Mediaset, ormai aggirato sulle ali da Google e da Sky. Limitarsi a tagliare il canone alla Rai in un Paese dove, tra l’altro, l’evasione del canone e’ al 27% contro il 55% di Germania e Regno Unito, significa indebolire la tv pubblica nella competizione con Mediaset e con tutti gli altri. Se invece si darà come obiettivo lo sviluppo delle industrie dell’informazione e dell’audiovisivo, il governo potrebbe valutare una grande riforma del settore tesa a migliorare la concorrenza, che è la condizione necessaria ancorché non sufficiente del pluralismo e della gestione efficiente delle risorse.
Nel 2004, dalle colonne del ‘Corriere’, chiesi a Romano Prodi, allora candidato del centro-sinistra con il vento in poppa, di suddividere in due la Rai, lasciando alimentata dal solo canone la Rai Servizio Pubblico, e privatizzando la Rai commerciale, alimentata dalla pubblicità con gli stessi diritti e doveri di Mediaset e La 7. Prodi prese l’impegno, ma non lo poté mantenere a causa dell’opposizione del partito trasversale della Rai in Parlamento, di Mediaset e degli editori principali, da ‘Repubblica’ allo stesso ‘Corriere’ che, cambiato il direttore, mise la sordina a quella battaglia liberale. Chi se la prende con l’establishment non solo a parole, ma con i fatti, avrebbe pane per i suoi denti sia sul piano dei reali rapporti di potere sia sul piano tecnologico-industriale sia, infine, sul piano regolatorio’, afferma Mucchetti.

‘Dei rapporti di potere parlano tutti. Non mi aggiungo oggi al coro.
La sfida tecnologico-industriale merita una parola per dire che essa impone una profilatura di che cosa è e sarà servizio pubblico diversa da quella che si poteva fare 20 o anche solo 10 anni fa. Diversa, ma molto interessante sia all’interno del perimetro aziendale sia nel suo rapporto con le piattaforme tecnologiche e i nuovi broadcaster. La sfida regolatoria merita anch’essa che si rilevi come, in primo luogo, si debba coinvolgere i nuovi monopoli, a partire da Google, fornitore di servizi pubblicitari assai pregiati e, al tempo stesso, campione di elusione fiscale dalla complice Irlanda. Porre tali questioni non è fare del ‘benaltrismo’ ma proporre una linea di politica industriale laddove, purtroppo, si ascolta solo qualche tirata demagogica che non vorrei coprisse il soccorso rosso alla corazzata azzurra in difficoltà senza affrontare la scommessa politica imposta dalla Rete, convinti così di essere alla moda’, così conclude Massimo Mucchetti.


Ne Parlano