I casi di Orsi e Profumo insegnano
‘Profumo assolto, Orsi pure. Ancora una volta è accaduto che capi di grandi aziende come Alessandro Profumo e Giuseppe Orsi escano puliti da indagini e procedimenti giudiziari che, per il solo fatto di aver avuto una forte pubblicità, ne avevano leso la reputazione. Assolti o archiviati. L’operazione Brontos non implicava i reati fiscali ipotizzati dalla procura in capo a Unicredit. La Lega non ha ricevuto tangenti da Finmeccanica. Si deve dare atto al banchiere Profumo e al manager industriale Orsi di aver avuto ragione loro. E pure la Lega è stata oggetto di sospetti ingiustificati. I giornali dovrebbero fare di più per bilanciare con l’esito dei giudizi l’enfasi posta in prima battuta sull’azione della pubblica accusa. Ma si può ricavare da queste esperienze una morale politica utile a migliorare insieme le ragioni della pubblica fede, i legittimi interessi delle aziende e quelli delle persone inquisite? La perfezione non sarà possibile, ma una più chiara assunzione di responsabilità potrebbe aiutare’, così Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato, commentando questa mattina sul suo blog le recenti vicende giudiziarie dei due manager italiani.
‘Le due grandi imprese oggetto dell’azione della magistratura inquirente, Unicredit e Finmeccanica – prosegue Mucchetti – hanno reagito in modo molto diverso. La banca ha difeso il suo amministratore delegato, pur accettando una transazione con l’Agenzia delle Entrate che ora diventa assai discutibile. La holding della difesa, invece, ha abbandonato il suo top manager. Profumo ha lasciato Unicredit per alte ragioni e ora presiede il Monte dei Paschi. Orsi pare emarginato: dopo tre mesi di ingiusta detenzione. Determinante è stato il comportamento degli azionisti di riferimento. Quelli di Unicredit, investitori privati italiani ed esteri e fondazioni, si sono assunti il rischio di contestare i pm nel processo. L’azionista di riferimento di Finmeccanica, che è il ministero dell’Economia e più in generale il governo, è fuggito a suo tempo davanti alle responsabilità. Ha lasciato solo Orsi, delegittimando lui e indebolendo la società per mesi. Pur avendo in mano il consiglio di amministrazione, ha aspettato l’arresto per sostituirlo. Non è una differenza da poco’.
Per il presidente della commissione Industria di palazzo Madama: ‘Il governo ha poi varato la solita “regola” generale, sull’onda di uno sdegno cieco, condiviso e alimentato, duole dirlo, anche dal Parlamento proprio in seguito alle inchieste su Finmeccanica. Basta il rinvio a giudizio per non essere candidabili, e meno che mai eleggibili, in consiglio. Basta un arresto per decadere senza diritto al risarcimento dalla carica. Qualora una condanna in primo grado intervenga in costanza di mandato, si viene sospesi dalla carica ed eventualmente reintegrati dall’assemblea su proposta del consiglio ma solo ove consiglio e assemblea rilevino “il preminente interesse della società alla permanenza della persona”. Come dire: si viene reintegrati se consiglio e assemblea dicono che In Italia e nel mondo non esistono alternative all’amministratore “sotto schiaffo”, una posizione ardua da sostenere se e’ vero il detto secondo il quale i cimiteri sono pieni di persone insostituibili’.
‘Nel momento in cui il governo lancia la sua campagna anti corruzione e il Senato si prepara a votare il disegno di legge che restaura (meritoriamente) il falso in bilancio – ricorda l’ex vice-direttore del Corriere della Sera – è arrivato il momento di riflettere su questa “direttiva etica” del Tesoro che dice troppo e troppo poco. Intanto, nell’ambito del settore pubblico, abbiamo un doppio regime tra le società quotate e quotande: Cassa depositi e prestiti, FS, Poste ed Enel l’hanno inserita negli statuti, Eni e Finmeccanica no. Saggezza vorrebbe che la si superasse guardando al complesso delle società che lavorano con i soldi del mercato ovvero a tutte le società quotate, pubbliche e private (oltre alle aziende interamente pubbliche che dipendono dal contribuente). Secondo il senatore del Pd: ‘A tale complesso di società andrebbe applicata la regola d’oro da tempo sperimentata con successo nelle banche e, da poco, anche nelle assicurazioni: l’amministratore condannato in primo grado (ovvio il “pugno di ferro” in caso di condanna definitiva) viene sospeso automaticamente dalla carica ma il consiglio può proporre alla prima assemblea utile di deliberare il reintegro. Punto. Senza l’assurda giustificazione del “preminente interesse” per la persona: per fortuna di tutti, nessuno è indispensabile, mentre è possibile che un’inchiesta possa essere ritenuta infondata e, come tale, da contestare conservando in carica chi si ritenga innocente’.
‘E’ certo possibile che l’inquisito abbia una capacità di condizionamento del consiglio e dell’assemblea tale da proteggerlo “immeritatamente”, ma un tale rischio non può far venire meno la presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva sulla base di una semplice regola burocratica. Solo una precisa assunzione di responsabilità da parte del consiglio e dell’assemblea può consentire il cambio della guardia in corso di processo. Fatto salvo il diritto dell’innocente al risarcimento. La politica ha il coraggio di smetterla di oscillare tra giustificazionismo e giustizialismo sulle pelle delle imprese e delle persone o si scopre garantista solo con i propri membri e solo quando questi stiano nelle grazie del principe di turno?’, si chiede infine Mucchetti. Roma, 30 marzo 2015.

Ne Parlano