Finora Renzi si è tenuto lontano dall`Ilva, la più urticante delle patate bollenti dell`industria italiana. L`acuta sensibilità elettorale consiglia al segretario del Pd di non associare il proprio nome a una battaglia dall`esito incerto.
Ma Renzi è anche e soprattutto il premier di questo Paese, e come tale non può più lasciare il caso sulle spalle dei soli ministeri dell`Ambiente e dello Sviluppo. A maggior ragione se il commissario straordinario dell`Ilva invoca, sul Sole 24 Ore, l`intervento della Cassa depositi e prestiti, attraverso il Fondo strategico. All`inquilino di palazzo Chigi non potrà sfuggire che un simile intervento costituirebbe una svolta rispetto all`attuale ruolo dello Stato nell`economia.
Diversamente, a Taranto gli effetti convergenti della crisi aziendale e dell`emergenza ecologica faranno del più vasto centro siderurgico d`Europa il maggior cimitero industriale del vecchio continente. La Procura ha avviato un`ispezione per accertare lo stato del risanamento ambientale, mentre le banche tengono ancora chiusi i rubinetti del credito. L`esito delle ispezioni non è difficile da immaginare se lo stesso governo modifica il cronoprogramma del risanamento. Le banche nicchiano, temono il concorso in abuso del credito e la bancarotta preferenziale.
È il momento di dirci la verità. Tener fede al cronoprogramma ambientale senza soldi è impossibile. E i soldi mancano perché l`acciaieria produce troppo poco: 14 mila tonnellate al giorno contro le 21 mila necessarie al mero pareggio. Pesano il cattivo funzionamento della centrale elettrica, sulla cui manutenzione i Riva hanno risparmiato più del giusto; la perdita della prima linea dirigenziale falcidiata dalle inchieste e dalla rottura con la vecchia proprietà che teneva in pugno tutto; la scarsità della domanda e la focalizzazione sugli acciai di massa voluta da Emilio Riva e ormai superata. I commissari, prima Enrico Bondi e adesso Pietro Gnudi, hanno posto qualche rimedio, richiamando la General Electric e assumendo alcuni manager industriali e commerciali di buona reputazione. Ma alcune decisioni toccano direttamente alla politica. Sui soldi e sulle prospettive.
I soldi. Il Senato ha dato via libera alla prededuzione dei nuovi crediti bancari nel caso, un domani, l`Ilva fosse dichiarata insolvente. La Camera confermerà. La prededuzione è ora legata all`esecuzione delle opere ambientali e non più al piano industriale, che quelle opere peraltro comprende. La ragione di questa modifica è presto detta. Il governo non voleva controfirmare il piano di Bondi, anzi non vuole più un piano industriale. Per questo, nel ruolo commissariale, ha sostituito un manager esperto in «turn around» industriali con un commercialista. Il commissario industriale – Bondi o un altro avrebbe usato il tempo del commissariamento, altri due anni, per rimettere in carreggiata l`Ilva e consegnarla o ai suoi vecchi proprietari, qualora fossero nelle condizioni giudiziarie di riaverla, o a nuovi soci industriali ovvero, com`era accaduto con Parmalat, alla Borsa. Il commissario commercialista, invece, ha il mandato di ricollocare l`Ilva subito, nella convinzione che questa sia l`unica strada realistica.
Secondo il ministro dello Sviluppo, con un piano industriale figlio della logica precedente e comunque approvato dal governo per legge, nessuno rileverebbe l`Ilva: ogni nuova proprietà, si argomenta, ha il diritto di fare un proprio piano. Personalmente, nutro dubbi (che ho manifestato al governo) sulla prudenza di una tale impostazione. Che cosa accadrà se l`Ilva non potrà riaccasarsi in tutta fretta? Navigherà a vista aspettando Godot? Sarebbe bastato aggiungere una postilla al piano industriale, e cioè che al cambiamento degli assetti azionari quello stesso piano sarebbe decaduto… Ma il governo ha preferito bruciarsi i vascelli alle spalle. Amen.
 A Taranto gli esperti della ArcelorMittal sono venuti due volte. Sento dire che questo grande gruppo siderurgico indoeuropeo potrebbe chiudere stabilimenti che possiede nell`Europa orientale per scommettere su quello pugliese. Sento dire che si sarebbero rifatti vivi gli indiani di Jindal. E pure i brasiliani della Csp, molto più piccola dell`Ilva ma ricca di miniere. Speriamo, perché i siderurgici italiani non sono in grado di intervenire in ruoli di rilievo. Comunque sia, la prededuzione può portare una nuova linea di credito di 300 milioni. Ma darà fiato solo fino all`autunno. Poi, in assenza di altro, l`Ilva si spegnerà. Ci vorrebbero almeno 6-700 milioni di nuova finanza per arrivare alla fine dell`anno seguendo il nuovo cronoprogramma. E non è possibile chiedere alle banche di perdere altri soldi dei depositanti. Non a caso le banche ora richiedono una lettera di ArcelorMittal. Per questo, il Senato, di sua iniziativa, ha messo nelle mani del commissario le chiavi della cassaforte del Fug (Fondo unico della Giustizia) così da accedere ad almeno la metà dei fondi sequestrati ai Riva dalla procura di Milano, rendendo attuabile la vecchia norma ormai inefficace. Stiamo parlando di 8-900 milioni, sotto forma di aumento di capitale o di prestito in conto capitale. Con un tale polmone finanziario e con i fondi europei, qualche centinaio di milioni, che potrebbero essere mobilitati ai fini ambientali, l`Ilva avrebbe migliori chance di costruirsi un futuro con nuovi soci industriali.
È in questo quadro che arrivano le dichiarazioni di Gnudi sul Fondo strategico, dal quale ci si aspettano altre centinaia di milioni di capitale di rischio per la normale gestione. Ecco, qui si aprono le questioni politiche di più ampio respiro. Che chiamano in causa palazzo Chigi. I Riva hanno presentato ricorso al Tar del Lazio contro le nomine dei commissari Bondi e Gnudi e contro il piano ambientale, basato sulle prescrizioni dell`Aia. Se uno solo di questi tre ricorsi andasse a buon fine, salterebbe tutto. Come garantire al socio industriale (ma anche al Fondo strategico della Cdp) di entrare con piena legittimità nella partita dell`Ilva? Un conto è trasformare denari sequestrati in azioni che restano di proprietà dei Riva, ed è già molto. Un altro è espellere il gruppo Riva da una compagine azionaria di cui era ed è ancora il dominus sebbene senza poteri esecutivi.
E poi che dire dei contenziosi giudizia- ri sui rischi ambientali e sanitari? Chi se li prenderà? Se Mittal o altri trovano un accordo con i Riva, amen. Ma potrebbe partecipare in questo accordo anche il Fondo strategico? Secondo la legge, il Fondo e la Cdp in generale partecipano solo a società che fanno profitto. Si temono derive assistenziali. A suo tempo, regnante Enrico Letta, Renzi criticò perfino l`ingresso della Cdp nell`Ansaldo Energia, benché questa impresa guadagni. E tuttavia certi vincoli possono anche essere ripensati, purché si abbia un po` di testa e una strategia. Saremmo infatti di fronte a una svolta radicale dello Stato che torna a fare, se non l`imprenditore, almeno l`azionista. Una svolta che, in generale, non si fa con un tweet e che, nel caso Ilva, avendo cura di gestirne gli effetti sui fornitori, esigerà probabilmente il passaggio all`amministrazione straordinaria ex legge Marzano, giusto per non ripetere casi come l`Alitalia e per risolvere alla radice il conflitto con i Riva. Due fronti – quello del ritorno dello Stato azionista e quello della conquista del consenso della città di Taranto verso la nuova Ilva – che meriterebbero l`impegno esemplare e diretto del premier.

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