di Luigi Zanda
Il gruppo del Partito democratico al Senato da mesi svolge un lavoro importante e di serio approfondimento sulla riforma della Costituzione. Chi evoca lo stalinismo o gli editti bulgari dimentica che i senatori democratici hanno potuto discutere in modo approfondito in sedici assemblee, che nell’ultima hanno votato le deliberazioni della direzione nazionale del Pd sulle riforme e il risultato è stato chiarissimo: su 107 senatori, solo in 11 hanno espresso il loro voto contrario e in 4 si sono astenuti. Chi grida alla dittatura dimentica poi che in commissione Affari costituzionali ci sono già state oltre settanta ore di dibattito e altre dovranno esserci. Tutti hanno potuto esprimersi e nessuno ha mai limitato la libertà d’espressione o di opinione di alcuno.
Tirare in ballo l’art. 67 della Costituzione sulla libertà del vincolo di mandato è totalmente inappropriato. Alle Commissioni si viene designati dal gruppo parlamentare di appartenenza in rappresentanza delle scelte politiche del gruppo medesimo. Il regolamento del Senato prevede che i rappresentanti dei gruppi in commissione rispecchino fedelmente la posizione del loro gruppo e infatti dispongono anche la possibilità che un senatore possa essere sostituito per motivi politici. Quindi, per essere designati a una commissione bisogna essere competenti ed esperti, ma anche leali e responsabili. Sono queste le precondizioni per quanti si sentono di appartenere a una comunità politica, a un partito, a un gruppo.
Ricordo che Corradino Mineo è stato eletto nel Pd come capolista in Sicilia e si è iscritto al gruppo per sua libera scelta. Era in Commissione I non perchè designato dal gruppo, ma in sostituzione di Marco Minniti, chiamato a svolgere un’importante incarico governativo.
Un’ultima considerazione politica generale sulla necessità di compattezza del gruppo. Sono in Senato da dieci anni ma non so cosa significhi la formula dell’autosospensione. Ricordo bene però l’esperienza dell’Ulivo in Senato quando nel 2007 dodici senatori, dopo mesi di numerose e vivaci espressioni pubbliche di dissenso dal gruppo, decisero di uscirne per formarne uno nuovo. Non ho mai condiviso quella scelta e ho chiaro il clima politico che determinò e le conseguenze che ebbe. Il governo Prodi morì per mano di Mastella, ma la sua fine fu fortemente preparata dalla nostra debolezza numerica (simile all’attuale) e dal dissenso pressoché quotidiano di un gruppo di senatori dell’Ulivo. Allora si discuteva delle importantissime missioni italiane di pace in aree martoriate del pianeta. L’esito politico fu devastante per il centrosinistra e gli italiani ci punirono alle elezioni successive. Tutto questo non si deve ripetere.
Tirare in ballo l’art. 67 della Costituzione sulla libertà del vincolo di mandato è totalmente inappropriato. Alle Commissioni si viene designati dal gruppo parlamentare di appartenenza in rappresentanza delle scelte politiche del gruppo medesimo. Il regolamento del Senato prevede che i rappresentanti dei gruppi in commissione rispecchino fedelmente la posizione del loro gruppo e infatti dispongono anche la possibilità che un senatore possa essere sostituito per motivi politici. Quindi, per essere designati a una commissione bisogna essere competenti ed esperti, ma anche leali e responsabili. Sono queste le precondizioni per quanti si sentono di appartenere a una comunità politica, a un partito, a un gruppo.
Ricordo che Corradino Mineo è stato eletto nel Pd come capolista in Sicilia e si è iscritto al gruppo per sua libera scelta. Era in Commissione I non perchè designato dal gruppo, ma in sostituzione di Marco Minniti, chiamato a svolgere un’importante incarico governativo.
Un’ultima considerazione politica generale sulla necessità di compattezza del gruppo. Sono in Senato da dieci anni ma non so cosa significhi la formula dell’autosospensione. Ricordo bene però l’esperienza dell’Ulivo in Senato quando nel 2007 dodici senatori, dopo mesi di numerose e vivaci espressioni pubbliche di dissenso dal gruppo, decisero di uscirne per formarne uno nuovo. Non ho mai condiviso quella scelta e ho chiaro il clima politico che determinò e le conseguenze che ebbe. Il governo Prodi morì per mano di Mastella, ma la sua fine fu fortemente preparata dalla nostra debolezza numerica (simile all’attuale) e dal dissenso pressoché quotidiano di un gruppo di senatori dell’Ulivo. Allora si discuteva delle importantissime missioni italiane di pace in aree martoriate del pianeta. L’esito politico fu devastante per il centrosinistra e gli italiani ci punirono alle elezioni successive. Tutto questo non si deve ripetere.