1)Siamo di fronte ad un contesto completamente nuovo nel quale la politica estera italiana si muove secondo coordinate consolidate nel tempo pur in uno scenario profondamente modificato. Le nostre coordinate mantengono una stabile coerenza, persino superiore a quanto noi stessi siamo soliti riconoscere. Vi è una continuità nella scelte dei Governi negli ultimi decenni.
Tale continuità si basa su precise coordinate politiche : l’Italia è un paese che sta in Occidente, nell’Alleanza Atlantica, europeista, aperto agli scambi internazionali, impegnato per la pace e i diritti umani. Queste sono le quattro traiettorie della nostra bussola, ma il mare è diventato un oceano in cui ci sono tempeste diffuse.
2)La caduta del Muro di Berlino del !989 è stata la fine del grande incubo e l’inizio di una grande illusione. La grande illusione di un mondo unipolare, pacificato e omologato. Questa grande illusione è durata poco meno di un decennio ed è stata travolta da un doppio crollo: il crollo delle Twin Towers, e poi, sette anni dopo, il crollo di Lehman Brothers.
La fine di questa illusione carica noi europei e noi italiani di grandi responsabilità: non c’è più il ‘’ gendarme ,, cui delegare in toto la nostra sicurezza.
Dobbiamo fare la nostra parte, da occidentali ed europeisti, senza rinunciare alla nostra storia e alla nostra coscienza di Nazione.
DUNQUE DOBBIAMO FARE UNO SFORZO CONTINUO PER INDIVIDUARE E CHIARIRE, A NOI STESSI E AGLI ALTRI, IN COSA CONSISTE IL NOSTRO INTERESSE NAZIONALE .
Dobbiamo avere dentro di noi alcuni punti fermi pur in una situazione in costante mutamento:
a) l’appartenenza atlantica non deve esser vissuta come delega, ma come partecipazione alla nostra sicurezza in un mondo in cui gli USA restano fondamentali, ma non sono una ‘’ONNIPOTENZA’’ e, per loro, la NATO non è più la priorità numero uno. Basti pensare alla centralità e crucialità geo-economica e quindi geo-politica acquisita dall’Asia.
b) la fiducia nell’Europa resta uno dei valori guida, ma deve combinarsi con un’azione politica per un’Europa diversa, perché senza questa azione corriamo il rischio del disamore per l’Europa sia nelle opinioni pubbliche che negli establishment.
Oggi il rischio Europa è l’Europa stessa. Se essa non punta alla crescita, agli investimenti, al lavoro. Per questo mi sento di sottoscrivere la posizione del nostro Governo nel recente vertice di Bratislava. Una visione che punta al rilancio dl ruolo strategico dell’Europa e che dovrebbe incardinarsi in scelte sia economiche che militari più coraggiose ed indispensabili. Faccio alcuni esempi:
– patto tra i paesi europei mediterranei per stabilizzare Libia e Corno d’Africa;
– necessità di una politica militare ed estera comune europea;
– ipotesi di una FBI europea;
– necessità di un Ministro delle Finanze unico, sostanzialmente sovraordinato ai ministri nazionali. Tutto questo e altro ancora di indispensabile per giocare un ruolo europeo nel mondo, e, sottolineo, non essere travolti dai giochi mondiali, richiede politiche espansive di stampo keynesiano.
c) non dobbiamo mai dimenticare che l’Italia è una delle principali potenze esportatrici e dobbiamo avere una strategia unica sia per attrarre investimenti sia per accompagnare le nostre imprese all’estero entro un quadro di indicazioni di priorità.
d) siamo uno dei paesi più impegnati nelle missioni internazionali e dobbiamo collegare di più e meglio questa nostra presenza, oltre che alle emergenze, ai nostri interessi nazionali e geopolitici. Non siamo una super potenza militare e quindi dobbiamo concentrare le nostre energie. La nostra proiezione internazionale è un’opzione irrinunciabile, ce lo impongono 8000 Km di coste e secoli di storia che dimostrano che l’impegno internazionale è fonte di sicurezza ma anche ricchezza e lavoro. Non svolgere il nostro ruolo in Europa e nel mondo ci renderebbe più deboli, sia verso la minaccia terroristica, sia sui fronti migratori, sia per la perdita dei mercati, sia per la mancanza di investimenti esteri, sia per la mancata difesa dei nostri valori costituzionali, sia di fronte a terribili crisi umanitarie.
La cifra della geopolitica planetaria è oggi il disordine. Come in ogni fase di caos sistemico si forma una domanda di ordine. USA e Cina sono in movimento come (co)fondatori del nuovo ordine mondiale. Ma per vincere questa sfida essi hanno bisogno più che di alleati , di soci che partecipino ai costi e non frappongano ingerenze.
La partita geopolitica globale si gioca sempre di più sul fronte geo-economico. Qui si intersecano tre grandi crisi:
– quella dell’ordine di Bretton Woods fondato sulla triade Fondo Monetario, Banca Mondiale, Banca per lo sviluppo asiatico;
– crollo del prezzo del petrolio con conseguenze sui bilanci dei paesi produttori, sui conti delle Big Oil, e dei conti delle banche americane esposte con i produttori shale;
– la crisi dell’eurozona.
A sei anni dalle ‘’ primavere arabe’’, a tre dalla nascita del Califfato e a quattro dalla crisi del prezzo del petrolio, il nostro fronte sud è in disintegrazione.

Le considerazioni sin qui svolte sui diversi profili del nostro interesse nazionale convergono innanzi tutto nel mare Mediterraneo. Esso è adesso la nostra priorità.
Nel grande contesto del Medio Oriente e del Levante siamo di fronte a sommovimenti epocali.
Si sgretolano non solo i confini ereditati dall’epoca dei mandati di 100 anni fa, ma assistiamo alla frantumazione dei tessuti civili e dei contesti umani siriani ed iracheni, anche a causa di responsabilità di molti attori.
Assistiamo all’esplosione di conflitti inter etnici e confessionali e allo sradicamento di intere comunità.
Adesso la grande minaccia è rappresentata dal sedicente califfato (Daesh).
L’Italia è parte integrante della coalizione globale a guida americana. La nostra politica estera è impostata ad un approccio multidimensionale, prevedendo interventi non solo sul piano militare, ma anche su quello politico diplomatico finanziario e umanitario.
Dobbiamo combattere anche una battaglia culturale perché l’ideologia di Daesh è, prima di tutto, contro l’Islam, ne contraddice i principi e offende i suoi credenti.
Abbiamo di fronte a noi, anche nel nostro paese una sfida culturale e politica contro chi coltiva strumentalmente la contrapposizione con chi è differente, sia per religione che per cultura e civiltà, nella illusoria e irrealistica riproposizione di un piccolo mondo antico, illusorio quanto pericolosamente foriero di esiti nefasti.
Nel mese di Luglio si è tenuto il vertice NATO a Varsavia. Esso si è tenuto dopo e durante una lunga serie di eventi, da Dacca a Nizza, alla Turchia, agli attentati di Beirut, a Mogadiscio, ai fatti di Baviera, alla Normandia.
Ovviamente il vertice aveva il visore puntato ad Est, avveniva nella città in cui fu siglato il patto anti occidentale.
Tale vertice era impostato con una narrativa da Guerra Fredda, in taluni casi addirittura da prima guerra mondiale.
All’Italia sembrava che una NATO concentrata in questa direzione sarebbe venuta meno al suo grande ruolo di alleanza difensiva all’altezza dei tempi. Abbiamo ottenuto risultati nella direzione di spostare l’attenzione NATO verso il Mediterraneo e di riaprire il confronto, pur con la fermezza necessaria, tra Consiglio atlantico e la Russia
Gli avvenimenti della Turchia con il fallito tentativo di golpe e la successiva reazione del governo turco hanno drammaticamente confermato la necessità di una strategia mediterranea di tutto l’occidente.
Per quel che ci riguarda come paese sentiamo tutta la pericolosità e la complessità della situazione.
Bisogna ricordare che la Turchia fa parte della NATO e schiera il secondo più numeroso esercito dell’alleanza dopo gli Stati Uniti.
La sua posizione geopolitica è di straordinaria importanza nella crisi siriana e irachena. Fin dalle ore successive al fallito golpe abbiamo cominciato a comprendere la gravità di quanto stava avvenendo. Con il passare dei giorni la reazione del governo turco è apparsa sproporzionata e pericolosa sia sul piano interno ( violazioni gravi dello stato di diritto e pena di morte) che su quello internazionale con il repentino giro di orizzonte verso la Russia di Putin.
Lo diciamo, prima di tutto, sottolineando la nostra amicizia e vicinanza alla Turchia, sentimenti e valutazioni non di oggi e che hanno contraddistinto l’Italia negli ultimi dieci – dodici anni anche in sede europea, dove il nostro paese ha sempre sostenuto la necessità di serrare il dialogo tra UE e Ankara.
A Bruxelles è prevalsa un’altra impostazione e otto anni fa la strada del dialogo si è sostanzialmente arenata. Negli ultimi tre anni Erdogan ha, purtroppo, mutato anche il suo atteggiamento e la strada del dialogo è divenuta impervia.
Solo da un anno a questa parte si è ripreso un confronto legato alla questione migratoria.
La Turchia è, lo ribadisco, un paese di importanza strategica fondamentale e il nostro atteggiamento deve essere impostato al dialogo e alla collaborazione.
Bisogna tener conto che la UE è il maggior partner commerciale della Turchia, e che questo paese ha un ruolo importante nella Nato e auspichiamo che il dialogo con Putin significhi distensione e, quindi, si colori non della luce nefasta della ritorsione ma di quella positiva della distensione, appunto.
Il nostro paese persegue la strada tracciata del multilateralismo e della stabilizzazione delle aree di crisi.
La crisi della Siria è adesso la situazione più drammatica e devastante. La nostra posizione è per la ricerca di una soluzione negoziale che ponga fine al massacro di quel paese. Oggi questa linea è condivisa dai principali paesi occidentali.
L’intesa tra USA e Russia è un passaggio, per ora ancora precario, ma fondamentale per cercare di fermare i bombardamenti indiscriminati di Basher al Assad, combattere Daesh e al Nusra, fermare l’assedio di Aleppo, anche riaprendo la strada dei convogli umanitari verso la città, secondo quei contorni proposti dalla mediazione delle Nazioni Unite.
La questione è di una enorme difficoltà anche perché il gioco ‘’sporco’’ vede molti giocatori in campo e molteplici e contraddittori interessi. E’ evidente che la strada negoziale si può aprire avendo ben presente, e riconoscendo, la grande complessità delle motivazioni in campo.
Sulla Libia stiamo continuando a sostenere e incoraggiare il governo di Serray. Lo stiamo aiutando a ‘’farsi aiutare ‘’, si potrebbe dire, a partire dalla formazione della guardia presidenziale.
E’ indispensabile che si formi un esercito regolare ed addestrato. Per noi la questione è dirimente anche per governare la questione dei flussi migratori, per rendere efficace e selettivo, come prevedono le risoluzioni ONU, anche l’embargo delle armi. Di qui l’urgenza di questa Guardia Presidenziale.
La Libia sarà materia di un’altra relazione a questo seminario, tuttavia gli avvenimenti più recenti tra le forze di Misurata e le forze che sostengono il generale Haftar ( Egitto, Arabia Saudita, paesi del golfo e qualche ambiguità occidentale), complicano il lavoro che il nostro paese sta tessendo da tempo. La situazione di Sirte resta complicata. I Misuratini hanno avuto perdite gravissime e questo giustifica la recente scelta del nostro Governo di costruire un ospedale militare a supporto delle precarie condizioni in cui versa la struttura sanitaria locale.
La minaccia terroristica continua ad essere incombente, anzi si potrebbe addirittura dire crescente, dal momento che Daesh perde terreno sul piano militare e rinsalda legami con altre formazioni terroristiche.
Con la crisi di Daesh ci possono essere ritorni di foreign fighters. Le nostre intelligence, tanto più se collegate tra loro sono in grado di contrastare tali minacce.
Bisogna essere saldi nella convinzione che liberare i santuari di Raqqa, Mosul e Sirte è una premessa fondamentale per colpire la minaccia terroristica, per colpire la capacità di proselitismo. Ma non basterà.
La linea dell’Italia è la stabilizzazione dei paesi: Iraq, Tunisia, Libano, Giordania e il contrasto alla radicalizzazione anche con il concorso più attivo della nostre comunità islamiche, investendo sul piano sociale e culturale.
Nessuno può sentirsi immune da tale minaccia e, quindi, è necessario predisporsi ad un atteggiamento di saldezza e coesione nazionale. E’ sbagliato alimentare la leggenda che se ‘’non attacchiamo loro non ci attaccheranno ‘’: Daesh ha attaccato sia da forte che da debole. Ancor più perniciosa per noi è la trappola del fare di tutta l’erba un fascio. Arabia Saudita e Iran hanno il loro terreno di scontro in IRAQ, ma lo sono anche l’Afghanistan, lo Yemen al Sabel ex francese, la Libia. L’Arabia Saudita contro il fronte dei Fratelli Musulmani si è concentrata in Egitto, sostenendo al Sisi anche sul fronte libico, mentre l’accordo sul nucleare iraniano, la coalizione anti ISIS (curdi, iraqueni, iraniani, Stati Uniti) definiscono una ulteriore evoluzione dello scenario.
A tale evoluzione si deve aggiungere il ruolo crescente sul teatro siriano della Russia le cui coordinate militari e politiche sembrano riproporre antichi e meno antichi paradigmi di comportamento di politica mondiale che vanno seguiti con cautela ma anche con capacità di prefigurare evoluzioni, tanto più se, come sta avvenendo in queste ore, la politica dei paesi produttori di petrolio dovesse trovare obiettivi comuni e indurre una risalita del brend.
L’Islam è un mondo enorme e di una grande complessità di valori e Daesh fa una guerra prima di tutto contro e dentro l’Islam.
La ricerca di fratture tra l’occidente e l’Islam porta acqua al mulino dell’integralismo, essendo peraltro impraticabile nel mondo globalizzato e nelle società multi etniche e multi culturali come le nostre.
Si potrebbe dire che il populismo e il rifiuto della complessità, oltre che farci arretrare come cultura sociale e ridurci alla irrazionalità della paura, danno un forte aiuto a serrare le fila dell’integralismo, islamico e non solo, e fanno rullare più forti i tamburi, che credevamo in Europa sopiti per sempre, del conflitto e della guerra.
Ciò di cui dobbiamo essere consapevoli è che abbiamo di fronte a noi una strategia di molti anni e solo con una strategia ampia riusciremo a sconfiggere i profeti del terrore.


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