“Questa mattina la Prima Commissione Affari Costituzionali del Senato ha approvato unanimemente la Relazione sull’affare assegnato circa l’individuazione delle modalità più efficaci per tutelare le prerogative costituzionali del Parlamento in un contesto di emergenza dichiarata.
La Relazione riflette il larghissimo consenso emerso in sede di audizioni, alle quali hanno preso parte una trentina tra i maggiori esperti di diritto costituzionale e parlamentare del nostro Paese, nei confronti dell’istituzione di una Bicamerale per l’Emergenza cui attribuire funzioni di controllo, conoscitive e consultive, utilizzabile anche come sede appropriata per un proficuo confronto di merito tra maggioranza e opposizione nonché tra Governo e Parlamento. Offriamo il risultato di questa approfondita e seria riflessione ai Presidenti delle Camere e a tutto il Parlamento nella convinzione che se ne possano trarre utilissime indicazioni operative, anche in virtù dello spirito unitario che l’ha caratterizzata”. Così il senatore del Pd Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama.

Di segue testo Relazione

RELAZIONE DELLA 1ª COMMISSIONE PERMANENTE
(AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E
DELL’INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE)
(Relatore PARRINI)
SULLE
Modalità più efficaci per l’esercizio delle prerogative costituzionali del Parlamento
nell’ambito di un’emergenza dichiarata
Comunicata alla Presidenza il …
adottata nella seduta del 3 dicembre 2020 a conclusione di una procedura d’esame dell’affare
assegnato dalla Presidenza del Senato il 21 ottobre 2020
PREMESSA
La Commissione, a seguito di unanime determinazione dell’Ufficio di Presidenza, ha richiesto al
Presidente del Senato, in data 15 ottobre 2020, l’assegnazione di un affare, ai sensi dell’articolo 34,
comma 1, del Regolamento, sulle modalità più efficaci per l’esercizio delle prerogative costituzionali
del Parlamento nell’ambito di un’emergenza dichiarata. Il Presidente ha deferito l’affare il successivo
21 ottobre.
La richiesta trae origine, nel merito, dal disegno di legge n. 1834, a iniziativa del senatore Pagano,
componente della 1a
Commissione, volto ad istituire una commissione bicamerale competente
sull’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Scopo dell’affare, pur nella consapevolezza di quanto l’argomento si prestasse ad allargamenti di
campo, è stato perciò, fin dall’inizio, il tema specifico delle modalità più efficaci con le quali il
Parlamento possa esercitare le sue prerogative in un contesto come quello attuale, nel senso di
individuare le soluzioni più idonee dal punto di vista tecnico per il loro esercizio.
Poiché l’istituzione di una commissione bicamerale rappresenta solo una delle possibili opzioni, la
Commissione affari costituzionali ha ritenuto di svolgere preventivamente un’approfondita disamina
delle possibili opzioni: la procedura da seguire o da promuovere sarebbe discesa dalla soluzione
individuata.
La Commissione ha perciò proceduto a un serrato ciclo di audizioni informali in videoconferenza che
ha permesso di raccogliere le opinioni e le riflessioni di ventinove tra i maggiori esperti in materia
costituzionale e parlamentare, nonché di alcuni rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali.
Più nel dettaglio, nelle riunioni dell’Ufficio di presidenza del 5, 12, 17, 18, 19, 24 e 26 novembre sono
stati sentiti Fabio Cintioli, Giovanni Guzzetta, Nicola Lupo, Giulio Napolitano, Alfonso Celotto,
Francesco Clementi, Ugo De Siervo, Fulvio Pastore, Andrea Pertici, Massimo Villone, Luciano
Violante, Gaetano Azzariti, Enzo Cheli, Claudio De Fiores, Massimo Luciani, Luca Longhi, Michela
Manetti, Andrea Manzella, Marcello Pera, Valerio Onida, Otto Pfersmann, Claudio Tucciarelli,
Beniamino Caravita Di Toritto, Salvatore Curreri, Marilisa D’Amico, Roberto Miccù, Paolo
Passaglia, Guido Rivosecchi, Lara Trucco, Massimiliano Fedriga, Giovanni Toti e Antonio Decaro.
In allegato alla presente relazione è riportata una sintesi delle audizioni svolte.
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Va detto subito che, all’esito dell’approfondimento, si è registrata una inusuale convergenza della
comunità scientifica – in ciò appoggiata anche dagli esponenti delle autonomie territoriali –
sull’opportunità di istituire una commissione bicamerale per l’emergenza epidemiologica. Sulle
caratteristiche di tale commissione sono emerse tuttavia valutazioni eterogenee, anche se non
necessariamente incompatibili tra loro, così come è emersa una varietà di sfumature sul ruolo da
attribuire ad altri organi parlamentari.
La Commissione ha perciò condiviso l’opportunità di sintetizzare gli esiti dell’esame della materia in
una relazione ai sensi dell’articolo 50, comma 1, del Regolamento, da porre a disposizione del Senato
quale base di discussione per l’adozione, d’intesa con la Camera, di eventuali determinazioni per un
rinsaldamento sostanziale, anche nell’emergenza, della centralità del Parlamento.
Non sfugge alla Commissione come qualunque innovazione in questo ambito presupponga un’ampia
consonanza tra le forze politiche: l’auspicio perciò è che la presente relazione possa favorire l’approdo
a soluzioni condivise tra maggioranza e opposizione, per un rafforzamento, anche nell’emergenza,
del ruolo centrale che la Costituzione assegna al Parlamento.
1. UN SISTEMA PARLAMENTARE IN DIFFICOLTÀ, UN SISTEMA DELLE FONTI SOTTO PRESSIONE
La pandemia sanitaria ha rappresentato e rappresenta senza dubbio, a livello globale, anche una
pandemia di tipo costituzionale. Come rimarcato da quasi tutti gli auditi, gli ordinamenti democratici
si sono trovati ad affrontare una situazione senza precedenti che ha posto in crisi i loro stessi
fondamenti.
Da un lato, infatti, stiamo assistendo a una limitazione inedita di diritti e libertà costituzionali e,
dall’altro, a un non usuale, per quanto in larga misura inevitabile, accentramento dei poteri in capo
agli Esecutivi. A livello istituzionale, gli organi che più soffrono di questo contesto sono proprio i
parlamenti, tanto che risulta naturale porsi l’interrogativo se l’emergenza epidemiologica, oltre che i
restringimenti alle libertà individuali, possa giustificare anche una limitazione alle prerogative
parlamentari (Tucciarelli). L’esperienza di altri paesi non si discosta, nei suoi caratteri essenziali, da
quella italiana, e, pur nella diversità degli ordinamenti e delle risposte fornite, si è assistito a una
verticalizzazione del potere e a una corrispondente limitazione di ruolo e funzioni dei Parlamenti. Un
fenomeno non nuovo, perché già altre emergenze, ad esempio quella terroristica, avevano portato a
rafforzare il ruolo del Governo e addirittura ad auspicare poteri non soggetti a vincoli (unbound),
tanto che è stato notato come gli ultimi vent’anni siano stati caratterizzati da una sorta di stato di
emergenza permanente, tra ricorrenti minacce alla sicurezza e perdurante crisi economica
(Napolitano).
La generalità degli intervenuti ha osservato che la marginalizzazione del Parlamento non può dirsi
fenomeno nuovo. Essa si presenta come il frutto di una concatenazione di accadimenti più o meno
remoti i cui effetti sugli equilibri istituzionali la pandemia ha senz’altro intensificato. Nel nostro
Paese, tuttavia, vi sono alcune circostanze aggravanti che sono state puntualmente richiamate
(Luciani). Riprendendo l’immagine della pandemia costituzionale, verrebbe quasi da dire che, così
come le conseguenze del COVID-19 sono più pericolose nei pazienti con patologie pregresse, gli
effetti dell’emergenza possono essere più gravi per i Parlamenti e gli organi costituzionali giunti alla
pandemia in peggiore salute.
Quale conseguenza dell’accentramento dei poteri nell’Esecutivo anche il sistema delle fonti del diritto
è stato messo sotto pressione. Il nostro ordinamento costituzionale non contempla, come è noto,
disposizioni specifiche sullo stato di emergenza, anche se è stato notato che vi si può ricostruire un
“codice dell’emergenza” (De Fiores) che ha i suoi punti di riferimento nella legge e nel raccordo tra
Presidente della Repubblica, Parlamento e Governo. Qualcuno osserva che sarebbe stato possibile
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interpretare in senso estensivo la disposizione prevista dall’articolo 78 della Costituzione per lo stato
di guerra (Celotto), con il conferimento al Governo, da parte del Parlamento, dei poteri necessari. La
maggior parte delle opinioni, tuttavia, è nel senso di ritenere centrale lo strumento, emergenziale per
eccellenza, del decreto-legge, che investe la triangolazione istituzionale citata e consente, pur nella
alterazione del normale svolgersi della funzione legislativa, il rispetto delle riserve di legge quanto
alla riduzione delle libertà (Pertici). Del resto, ciò è stato ribadito anche dalla risoluzione 6-00146
(testo 2 a firma Calderoli, approvata dall’Aula del Senato il 2 novembre 2020). Tuttavia, è stato da
più parti riconosciuto come lo stesso decreto-legge non sia abbastanza flessibile per tenere il passo di
una situazione in permanente evoluzione (Cintioli).
Sulla posizione e la legittimità dei decreti del presidente del consiglio dei ministri (i noti DPCM)
previsti dagli stessi decreti-legge che hanno disciplinato gli interventi emergenziali, così come sul
procedimento di parlamentarizzazione introdotto in sede di conversione del decreto-legge n. 19 del
2020, sono state esplicitate tesi assai differenziate. Se è abbastanza condivisa la loro riconduzione
alla consolidata categoria delle ordinanze contingibili e urgenti, sulla legittimità costituzionale e i
limiti di questo tipo di atti si riscontrano, tra gli studiosi, le divergenze tradizionali: un dibattito,
peraltro, che ha impegnato la dottrina giuridica fin dai primi provvedimenti del febbraio 2020. Si va
perciò da chi sostiene la radicale illegittimità dell’impianto, facendo da ciò discendere l’assunto che
il Parlamento dovrebbe astenersi dal pronunciarsi o reclamare maggior coinvolgimento nell’adozione
dei DPCM, a coloro che invece giudicano l’impostazione formalmente rispettosa della legalità
costituzionale.
Tra questi ultimi vi è stato chi comunque ha posto la questione dell’opportunità di prevedere un
contraltare al potere di ordinanza del Governo, che, non potendo essere rappresentato solo dal giudice
amministrativo, per ragioni attinenti sia alla portata degli atti che questo sarebbe chiamato a giudicare,
sia ai tempi del giudizio, non può essere che politico, e specificamente collocato nel Parlamento. Non
è stato tuttavia escluso che la Corte Costituzionale possa riconoscere una propria competenza al
riguardo (De Siervo). In secondo luogo, è stata richiamata la necessità che i DPCM vengano limitati
a quelle sole misure che, per ragioni di tempestività, non possono essere adottate per decreto-legge,
lo strumento da privilegiare tutte le volte in cui ciò sia possibile (Pertici). Inoltre, è stato affermato
che questi atti non devono tramutarsi in provvedimenti a medio-lungo termine (Onida). Per le loro
caratteristiche, i DPCM sono stati qualificati come vere e proprie nuove fonti del diritto (Pastore). È
venuta in luce anche la circostanza per cui, trattandosi di atti sostanzialmente monocratici, lo stesso
Governo collegialmente inteso è formalmente escluso dal procedimento che conduce alla loro
adozione. Inoltre, è stato ricordato come, accanto ai DPCM, vi siano altre ordinanze che compongono
un quadro complesso e articolato di atti extra ordinem. Condivisa è quindi l’opinione per cui il sistema
delle fonti del diritto sia stato messo sotto pressione dal quadro emergenziale, e che debba iniziare
prima possibile un cammino di ritorno alla sua fisiologia.
Il meccanismo di parlamentarizzazione di cui all’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020 non ha
ricevuto un particolare apprezzamento da parte degli studiosi e comunque non è stato considerato
sufficiente. Se pure è stato notato come, nelle premesse al DPCM del 3 novembre, siano state citate
per la prima volta le risoluzioni parlamentari (un dato, peraltro, interpretato non univocamente), è
stato anche rilevato come la procedura prevista non abbia impedito l’adozione di numerosi
provvedimenti senza un previo coinvolgimento del Parlamento, e come questa si risolva più che altro
in un obbligo informativo.
È perciò unanimemente condivisa l’urgenza di un maggiore coinvolgimento del Parlamento che, pur
nell’eccezionalità dell’emergenza, deve poter esercitare le proprie prerogative. Il discorso, peraltro,
non può essere limitato all’emergenza pandemica in atto, ma deve necessariamente allargarsi, come
del resto già suggerito dal titolo dell’affare esaminato dalla Commissione a tutte le situazioni di
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emergenza dichiarata, affinché possa prendere forma un vero e proprio diritto parlamentare
dell’emergenza in grado di superare anche per l’avvenire le difficoltà incontrate nei difficili mesi del
2020 ed elaborare rimedi validi anche per future contingenze eccezionali.
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2. IL POSSIBILE RUOLO DEGLI ORGANI PARLAMENTARI ESISTENTI O DI COMMISSIONI
MONOCAMERALI SPECIALI
Un primo aspetto che è stato affrontato è quello dell’idoneità di organi parlamentari esistenti a fungere
da sede idonea per un efficace esercizio delle prerogative parlamentari anche nell’emergenza. Al
riguardo è stato anche osservato che il Parlamento, per riappropriarsi delle proprie prerogative, deve
riprendere a esercitare le sue funzioni nelle sedi di cui già dispone (Pera).
In senso opposto, sono stati invece espressamente richiamati i limiti degli strumenti ordinari, sia per
quanto riguarda il sindacato ispettivo, sia per l’attività delle Commissioni permanenti (Azzariti).
Con riferimento alle funzioni legislative, che ovviamente non possono che rimanere in capo alle
singole Camere, è stata affrontata la questione, della quale parimenti si era discusso nel corso della
prima ondata dell’epidemia, di poter convertire i decreti-legge in sede decentrata. Sebbene la
Costituzione non includa questa ipotesi tra le riserve di assemblea elencate nell’ultimo comma
dell’articolo 72 e siano solo i regolamenti parlamentari a escluderla, l’orientamento prevalente ritiene
tuttavia che vi sia una riserva implicita, e che perciò la strada della sede deliberante non sia
percorribile, neppure con un consenso unanime (Lupo, Clementi, Pastore, Pertici). Quanto alla sede
redigente, si sono avute invece diverse aperture: viene infatti notato come la prassi di porre la
questione di fiducia, in aula, su un maxiemendamento che riproduce il testo licenziato dalla
commissione referente sia largamente sovrapponibile a quella procedura (Lupo, Pastore, Pertici). In
un’ottica di valorizzazione della dimensione intercamerale, è stata avanzata la possibilità di
un’istruttoria congiunta sui decreti-legge da parte delle commissioni competenti (Cheli).
Per quanto riguarda invece l’istituzione di commissioni monocamerali speciali, occorre distinguere
tra commissioni con poteri referenti o commissioni con poteri conoscitivi, consultivi e di controllo.
La prima ipotesi, che pure aveva sostenitori nella prima fase dell’emergenza, è quella di organi
modellati sull’esempio della commissione speciale per l’esame degli atti urgenti del Governo che
ciascuna camera istituisce a inizio legislatura, assegnandole tutti i provvedimenti legati all’emergenza,
a partire da quelli legislativi. Gli esperti auditi non hanno sostenuto questa ipotesi, che avrebbe un
problema di mancanza di specializzazione (Tucciarelli), o la hanno relegata solo a ipotesi estreme,
più tipiche di stati di necessità che di stati di emergenza (Violante).
Anche la diversa ipotesi di istituire una commissione speciale di altra natura ha trovato un sostegno
limitato (in questo senso Guzzetta).
Nell’uno e nell’altro caso, si è infatti osservato che l’esistenza di due commissioni separate potrebbe
creare un problema di funzionalità o di insufficiente interazione con il Governo (Tucciarelli, De
Fiores).
È stata anche vagliata e contestualmente respinta per l’assenza di poteri formali (Cheli) l’ipotesi di un
comitato formato dai presidenti delle commissioni competenti per materia.
In ogni caso è stato notato come, nelle more dell’istituzione di eventuali organismi speciali, quelli
ordinari devono continuare a esercitare le proprie funzioni nei confronti del Governo (D’Amico).
3. LE CONFERENZE DEI CAPIGRUPPO IN RIUNIONE CONGIUNTA
Anche l’ipotesi, di cui si è ampiamente dibattuto, di una riunione congiunta delle Conferenze dei
capigruppo di Camera e Senato quale sede per una condivisione al più alto livello della gestione
dell’emergenza tra Governo e Parlamento, nonché tra maggioranza e opposizione, non ha riscosso
molti consensi tra gli esperti che si sono soffermati sul punto.
Le motivazioni sono articolate e si possono così riassumere: mancanza di poteri formali (Cheli,
Luciani); assenza dei caratteri delle tipiche sedi di lavoro parlamentare (Lupo) o diversa natura di
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questi organi (Azzariti); estraneità al procedimento legislativo (Manzella); mescolanza di funzioni
politiche e parlamentari (Clementi); esperienza comparata non fortunata (Napolitano); assenza di
pubblicità dei lavori, mancanza di tempo adeguato per trattare il tema e rischio che divenga un terreno
di scontro politico (Azzariti); spiccato carattere politico che non la rende una sede naturale (Longhi)
o una cerniera efficace (De Fiores). Inoltre, si è paventato il rischio che l’attribuzione di funzioni di
controllo e verifica ne muti radicalmente la natura (Pera) o quantomeno le funzioni (Tucciarelli).
Accanto al problema di chi in concreto debba presiedere questa “super-capigruppo”, è stato anche
evidenziato come, in ogni caso, i Presidenti delle Camere perderebbero la loro neutralità a favore di
un profilo inevitabilmente più politico (Pera). Peraltro, si è anche osservato che, se lo scopo è
rafforzare l’attività di controllo del Parlamento e non creare un organo di direzione politica non si
intravede la necessità di coinvolgere le forze politiche al livello dei capigruppo (Curreri).
Tuttavia, sono stati evidenziati anche aspetti positivi, innanzi tutto per l’immediatezza dell’attuazione
di una simile ipotesi (Cheli), nonché per i vantaggi che il formato inedito di una riunione congiunta
delle Capigruppo porterebbe nel coordinare la programmazione dei lavori tra le Camere, e in
particolare la presenza del Governo (Guzzetta), valorizzando ulteriormente la dimensione
intercamerale.
In definitiva, quindi, come è stato peraltro notato (Rivosecchi), la Conferenza, se pure non potrebbe
sostituirsi ad altri organi ad hoc, potrebbe utilmente affiancarli, sia nella programmazione, sia nel
coinvolgimento dell’opposizione, sopperendo all’assenza di pubblicità dei lavori con una sistematica
comunicazione dei loro esiti alle Assemblee.
4. UNA BICAMERALE PER L’EMERGENZA
I soggetti auditi, con pochissime eccezioni, si sono invece dichiarati favorevoli all’istituzione di una
commissione parlamentare bicamerale specificamente dedicata al tema dell’emergenza
epidemiologica da COVID-19, ritenendola una sede nel complesso idonea per un irrobustimento del
ruolo spettante al Parlamento e per l’esercizio sulle sue prerogative costituzionali.
Circa le caratteristiche di questa commissione, da punto di vista della sua composizione, delle
funzioni, dello strumento con il quale istituirla e anche del regime di pubblicità da adottare, sono state
prospettate opinioni diverse, talora alternative ma più spesso complementari, di cui è opportuno dare
conto per favorire la ricerca di una soluzione di sintesi.
Il panorama delle commissioni bicamerali si presenta in effetti estremamente composito: attualmente
– esclusi il Comitato parlamentare per i procedimenti d’accusa e le commissioni che includono
componenti non parlamentari – sono in essere nove organismi bicamerali, con funzioni di indirizzo,
vigilanza e controllo ovvero consultive, cui si aggiungono quattro commissioni di inchiesta, senza
considerare tutte le bicamerali istituite nel passato che hanno esaurito la loro attività. È perciò
abbastanza naturale che ci si interroghi sulla natura e i caratteri di un tale organismo, anche nella
consapevolezza che si tratterebbe in ogni caso di una soluzione inedita per un contesto inedito, e che
perciò le categorie consolidate andrebbero utilizzate con la necessaria elasticità.
a. La composizione
Il disegno di legge n. 1834, su cui gli auditi si sono basati per esprimere le loro valutazioni, propone
di istituire – per la durata della XVIII legislatura – una Commissione composta da dieci senatori e da
dieci deputati nominati, rispettivamente, dai Presidenti delle Camere su designazione dei gruppi e in
proporzione di questi, con un presidente eletto a maggioranza assoluta dei componenti (con eventuale
ballottaggio) tra gli appartenenti ai gruppi di opposizione, cui si aggiungono due vicepresidenti e due
segretari.
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La quasi totalità degli esperti ha evidenziato l’importanza di un organo snello, sul modello, quanto
alla sua composizione, del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR) che,
come è noto, è costituito da soli dieci membri, cinque deputati e cinque senatori. Qualcuno ritiene
tuttavia preferibile l’ipotesi di venti componenti prospettati dal disegno di legge, o tout court (Pertici,
Tucciarelli) o come limite massimo (Manzella). Altri hanno invece ipotizzato dodici (Violante),
ovvero un minimo di dodici (Caravita) o quattordici membri (Curreri) o un numero compreso tra dieci
e quindici (Pfersmann). È stato anche rilevato che l’ampiezza sarebbe inversamente proporzionale
alla collaborazione tra forze politiche (Pastore). Addirittura è stato richiamato come modello la
Congressional Oversight Commission (coc.senate.gov), organo misto sulla gestione economica
dell’emergenza istituito negli Stati Uniti, che è di soli cinque membri (Napolitano, Clementi) e che,
peraltro, sta operando in un formato a quattro. Inoltre, è emersa la preferenza per un ufficio di
presidenza snello, di soli tre membri (e non cinque come nel disegno di legge), in grado di adottare
rapidamente alcune decisioni (Lupo, Clementi).
La composizione può essere paritetica tra maggioranza e opposizione o proporzionale ai Gruppi.
L’alternativa della rappresentanza paritetica è quella che ha riscosso i maggiori consensi, in
particolare per il ruolo di sede di condivisione tra le forze politiche, oltre che di controllo
parlamentare, che dovrebbe assumere la commissione: anche alcune proposte su numeri precisi
tengono conto di questa necessità, laddove dodici componenti consentirebbero di avere tre esponenti
di maggioranza e tre di opposizione per ogni Camera (Violante). Minoritaria l’opzione – che pure è
quella proposta dal disegno di legge – per una composizione proporzionale (Pfersmann, Rivosecchi),
necessaria laddove si intendessero attribuire poteri di inchiesta ai sensi dell’articolo 82 della
Costituzione: sul punto, tuttavia, si segnala anche una lettura del disposto costituzionale alla luce
dell’articolo 26 del Regolamento del Senato tendente a far coincidere i due requisiti (Curreri). È stata
richiamata anche l’opzione, da valutare, relativa alla garanzia della presenza in seno alla
Commissione di un rappresentante per ciascun gruppo presente in almeno una Camera (Tucciarelli).
Quasi unanime è l’adesione alla proposta di riservarne, anche formalmente, la presidenza
all’opposizione, e la vicepresidenza alla maggioranza (Pfersmann): al riguardo si richiama la legge n.
124 del 2007, istitutiva del COPASIR, che lo prevede espressamente, ma anche la prassi consolidata
di altri organismi bicamerali, come la Commissione di vigilanza RAI. Peraltro, è stata da più parti
evidenziata la necessità che il presidente sia eletto a maggioranza qualificata (Azzariti, De Fiores,
Curreri), affermata con ancor più forza da parte di chi invece ritiene che una composizione paritetica
renda più equilibrato riservare questo ruolo alla maggioranza (Manzella).
Infine, è interessante la suggestione per cui, per garantire un raccordo con le ordinarie sedi
parlamentari, i componenti della commissione potrebbero essere scelti tra i componenti delle
commissioni permanenti maggiormente coinvolte nell’esame dei provvedimenti sulla pandemia, sulle
connesse ricadute finanziarie e sui collegamenti sovranzionali (Tucciarelli).
b. Le funzioni
Secondo il disegno di legge Pagano, compito principale della commissione dovrebbe essere quello di
esprimere pareri vincolanti sugli schemi di atti del Governo, inclusi gli schemi dei decreti del
Presidente del Consiglio dei ministri aventi ad oggetto misure di contenimento e contrasto della
diffusione del COVID-19: ciò nel termine perentorio di otto giorni, decorso il quale si intenderebbe
espresso un parere favorevole. È inoltre previsto che, prima di deliberare, la Commissione possa
svolgere attività conoscitiva e che il suo presidente, sentito l’ufficio di presidenza, possa richiedere
l’audizione del Presidente del Consiglio o di un Ministro da questi delegato. Inoltre, la Commissione
svolgerebbe attività conoscitiva sull’emergenza epidemiologica e sulle misure per il suo contenimento
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e contrasto. Infine, vi si prevede che la Commissione presenti una relazione annuale al Parlamento,
salva la facoltà di trasmettere anche informative o relazioni urgenti.
La questione delle funzioni della commissione, senz’altro centrale, è quella su cui si è
comprensibilmente riscontrata la più vasta gamma di punti di vista.
Funzioni consultive – Partendo da quelle consultive, sulle quali è incentrata la proposta legislativa, va
detto innanzi tutto che vi è stata una diffusa contrarietà sia sull’ipotesi di prevedere un parere
vincolante sugli atti del Governo, che si tradurrebbe in una eccessiva ingerenza nelle responsabilità
dell’Esecutivo, sia sulla congruità del termine di otto giorni per esprimerlo, giudicato eccessivo in
relazione al carattere urgente dei provvedimenti dettato dall’evoluzione del quadro epidemiologico.
Al riguardo, lo stesso presentatore del disegno di legge ha dichiarato di ritenere accoglibili entrambi
i rilievi, precisando quanto al primo che lo scopo resta quello del coinvolgimento preventivo del
Parlamento, e, quanto al secondo, che il testo era stato presentato nel maggio 2020, quando la
progressiva riduzione dei contagi aveva determinato una successione più diradata dei provvedimenti.
Dando per acquisito che la Commissione, se del caso, non dovrà esprimere pareri vincolanti, e che
dovrà pronunciarsi in tempi più ristretti di otto giorni, si è posto il problema del perimetro del
sindacato della commissione, innanzi tutto con riferimento ai DPCM. Si sono palesate a questo
proposito alcune posizioni contrarie all’espressione di un parere preventivo su questo tipo di atti, sul
presupposto della loro illegittimità o comunque dubbia legittimità (D’Amico, Guzzetta, Longhi),
oppure per lasciarli alla piena responsabilità del Governo (Miccù). Peraltro, è stato evidenziato come
questi decreti non siano le uniche ordinanze previste dall’impianto normativo in materia, poiché, a
solo livello statale, vi sono anche i provvedimenti del Ministro della salute, quelli del capo del
Dipartimento della protezione civile e quelli del commissario straordinario (De Siervo, Pertici,
Tucciarelli), senza contare i provvedimenti regionali e le ordinanze sindacali. Si pone poi il problema
dei decreti-legge, che secondo alcuni potrebbero essere inclusi tra gli atti da sottoporre al parere della
bicamerale (Manzella). Al riguardo, un parere preventivo sugli schemi di decreto-legge potrebbe
porsi in contrasto con l’articolo 77 della Costituzione (Luciani), mentre il problema non si porrebbe
qualora la commissione venisse consultata nel corso dell’iter di conversione, analogamente a quanto
accade per la Commissione per le questioni regionali.
Infine, è necessario che la legge preveda espressamente un obbligo in capo al Governo di trasmissione
degli schemi di atti alla commissione (Tucciarelli).
Funzioni di controllo e conoscitive – L’accento, più che sulle funzioni consultive, è stato posto tuttavia
sulle funzioni di controllo (e su quelle conoscitive ad esse presupposte), ambito al quale è stato
ricondotto l’intervento della commissione nella fase di elaborazione delle ordinanze. I presupposti,
infatti, vanno in quella direzione.
In primo luogo, vi è il funzionamento insoddisfacente del meccanismo di cui all’articolo 2 del decretolegge n. 19
del 2020, che non rende obbligatorio un intervento parlamentare nella fase ascendente:
quando ciò è avvenuto, ci si trovava in un momento in cui le misure erano già state delineate e
comunque il Parlamento non è stato in grado di esaminarle nel dettaglio. Il nodo è stato quindi
individuato nella fase in cui i dati tecnici a disposizione del Governo vengono filtrati e tradotti in
decisione politica (Guzzetta). Ed è innanzi tutto in quel passaggio che l’intervento di una commissione
ad hoc viene visto come dirimente.
In secondo luogo, e in via strettamente correlata, è stata evidenziata l’asimmetria informativa del
Parlamento rispetto all’esecutivo (Azzariti, Miccù): i dati degli organismi tecnici non sono infatti a
disposizione del Parlamento. Sebbene da uno studio della Fondazione Leonardo (citato da Violante)
siano stati censiti un centinaio di questi comitati, sarebbe sufficiente che la commissione potesse
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rapportarsi in via diretta con il Comitato tecnico scientifico e, soprattutto, potesse disporre degli stessi
dati. A quel punto, il dialogo con il Governo nella fase di formazione dei provvedimenti (Miccù)
potrebbe avvenire anche senza la formalizzazione in un parere, bensì attraverso la partecipazione di
un ministro che, illustrando alla commissione le misure che l’Esecutivo intende adottare, acquisisca
in tempo reale le valutazioni delle forze politiche ai fini della redazione definitiva dell’atto. Si è detto
infatti che la commissione dovrebbe avere la stessa flessibilità operativa del comitato tecnico
scientifico e pronunciarsi anche nel giro di poche ore (Cintioli) o quarantotto ore (Curreri): in questo
senso, lo strumento del parere, per quanto forte, potrebbe non essere garanzia di un reale
coinvolgimento, perché non potrebbe essere compresso al di sotto di certi termini (Trucco). È stata
anche avanzata l’ipotesi che, più che un parere preventivo, la commissione possa formalizzare una
richiesta di riesame successiva all’adozione dell’atto (Cintioli), anche se è stato notato che gli stessi
effetti potrebbero essere ottenuti attraverso un intervento più propriamente politico (Clementi). In
questa direzione è stato addirittura ipotizzato che il presidente della commissione partecipi ai tavoli
in cui si formano gli atti governativi (Passaglia).
L’attività di controllo dovrebbe poi estendersi alla fase di attuazione dei provvedimenti e, a tal fine, è
emerso come occorra un ampio ventaglio di strumenti conoscitivi, con una previsione generale che
consenta di acquisire documenti dalla pubblica amministrazione e anche, eventualmente, dall’autorità
giudiziaria (Clementi), nonché di svolgere audizioni di rappresentanti del Governo – non solo del
Presidente del Consiglio come previsto dal disegno di legge – ma anche di funzionari pubblici ed
esperti. In particolare è stato posto l’accento sulla particolare procedura introdotta dall’articolo 7-bis
del decreto-legge n. 174 del 2015 (Manetti), che, con riferimento ad alcune attività, prevede che il
Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica esprima un parere preventivo sulle
disposizioni da adottare, e che, successivamente alla loro adozione, ne sia informato dal Presidente
del Consiglio.
Quanto alla possibilità che la commissione si doti di propri esperti stabili, le vedute non sono
univoche: accanto a chi sostiene che questo sia auspicabile, per poter meglio esercitare la propria
funzione dialettica con il Governo (Lupo), altri lo negano, per evitare un utilizzo politico di giudizi
tecnici (Onida, Azzariti), anche se è stata ammessa la possibilità che la commissione acquisisca
consulenze su vicende specifiche (Clementi, De Fiores). Per evitare la contrapposizione tra
consulenze tecniche, è stato proposto che la commissione (Rivosecchi) o le forze di opposizione
(Onida) possano far integrare gli esistenti organismi tecnici con esperti di propria fiducia.
Altre funzioni – Anche l’attività di indirizzo, a parere di numerosi esperti, dovrebbe rientrare tra le
funzioni della commissione (Cheli, Azzariti, Manetti, Onida, Tucciarelli, Miccù, Rivosecchi). Su
questa posizione pesa sicuramente il giudizio ampiamente negativo sulla procedura di cui all’articolo
2, comma 5, del decreto-legge n. 19 del 2020, sebbene via sia chi ha ipotizzato che possa essere
mantenuta, in aggiunta alle funzioni svolte nella sede ristretta della commissione (Napolitano). La
funzione di indirizzo, tuttavia, non può che continuare a trovare la sua sede naturale nelle Aule
parlamentari.
Poche sono invece le voci a favore dell’attribuzione di poteri di inchiesta: a parte il problema di
conciliare questa natura con una composizione paritetica, la soluzione è vista di fatto alternativa
rispetto alla natura di organo di controllo (Violante, Trucco), sebbene, dall’altro lato, le funzioni
previste dall’articolo 82 della Costituzione siano state richiamate da alcuni come strumento per dare
maggiore incisività e visibilità alla commissione e alla sua attività di controllo (Curreri, D’Amico).
La commissione, infine, per la sua natura bicamerale, incontrerebbe il limite costituzionale delle
funzioni legislative, salvo, come si è detto, pronunciarsi, all’interno del procedimento legislativo, in
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sede consultiva: in questo senso, peraltro, è stato anche richiamato l’esempio del comitato per la
legislazione della Camera (Manzella).
c. Il regime di pubblicità
Tra le ragioni addotte a favore di una commissione parlamentare ad hoc vi è anche una petizione di
principio che contrappone la pubblicità e trasparenza dei lavori delle Camere all’opacità e sostanziale
segretezza delle procedure governative (Celotto, D’Amico). L’orientamento prevalente va nel senso
di consentire alla commissione di modulare il regime di pubblicità dei propri lavori. Tra gli estremi
di chi ritiene in ogni caso preferibile che la riservatezza sia la regola generale (Violante) ovvero
l’assoluta eccezione (Pertici, Manetti, Tucciarelli, Trucco), si sono manifestate varie sfumature
intermedie, tese tuttavia a privilegiare la trasparenza dei lavori.
A favore della possibilità di adottare, se necessario, un regime di segretezza vanno la possibilità di
partecipare alla formazione di tutte le decisioni del Governo, di maneggiare dati sensibili o il rischio
paventato (Curreri) che la commissione diventi una sede impropria di propaganda elettorale.
d. L’atto istitutivo
Tipicamente, le commissioni bicamerali sono istituite con legge. Vi sono tuttavia precedenti in cui
hanno visto la luce a seguito dell’approvazione contemporanea di atti di indirizzo da parte delle due
Camere: tale è stato il caso della commissione Bozzi nel 1983 e della commissione De Mita-Iotti nel
1992, quest’ultima seguita da una legge (nella specie costituzionale). Entrambe le strade sono perciò
legittime.
La stragrande maggioranza degli auditi ritiene necessario o quantomeno preferibile la sua istituzione
tramite una legge, soprattutto per poter prevedere obblighi in capo al Governo e alla Pubblica
amministrazione, in particolare quanto alla trasmissione di atti, schemi di atti e documenti, o per
consentire alla commissione di accedere a dati e informazioni.
Molti hanno evidenziato come, per accelerare i tempi di istituzione, la legge possa essere preceduta
da atti di indirizzo poi “vestiti” dalla fonte primaria (Lupo, Manzella, Curreri, Rivosecchi). Secondo
altri la legge potrebbe essere invece preceduta da un’iniziativa dei presidenti delle Camere
(Napolitano, Cheli) o da una decisione delle conferenze dei capigruppo (Violante): a questo proposito,
si ricorda che l’istituzione delle commissioni speciali a inizio legislatura avviene senza un voto delle
Assemblee.
In ogni caso, come è stato da più parti osservato, in presenza di una condivisa volontà politica anche
i tempi di approvazione di una legge potrebbero essere estremamente rapidi.
e. I limiti di oggetto e durata
Un’altra questione che è stata affrontata è se la commissione debba limitare i propri compiti ai
provvedimenti e alle misure di tipo sanitario oppure essere investita anche delle questioni di tipo
economico, inclusa la gestione dei fondi europei, a partire da quelli del Next Generation EU. Alcune
opinioni ritengono la seconda ipotesi preferibile, sul presupposto che l’emergenza sia un fenomeno
da affrontare a tutto tondo (Violante, D’Amico, Longhi), soluzione che è stata anche vista come una
possibilità accanto a quella di un’ulteriore commissione dedicata ai profili finanziari (Napolitano).
Quanto invece alla durata della commissione, che il disegno di legge S. 1834 fa coincidere con la
legislatura in corso, è stata anche suggerita una sua coincidenza con quella dello stato di emergenza
(Tucciarelli). All’opposto, vi è chi ritiene che la bicamerale da istituire debba essere invece un
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organismo permanente, da attivare per ogni emergenza dichiarata, non solo per la pandemia
(Pfersmann).
In ogni caso, come del resto suggerito dal titolo stesso dell’affare assegnato alla 1a Commissione, le
soluzioni individuate non possono che indirizzarsi al tema dell’emergenza nel suo complesso, e perciò
anche la creazione di un organismo bicamerale, seppur dedicato a uno specifico contesto
emergenziale, va proprio nella direzione di creare strumenti efficienti per un organico coinvolgimento
del Parlamento in analoghe situazioni.
f. La partecipazione ai lavori da remoto
Molti dei soggetti auditi hanno anche chiamato in causa, tra le modalità che il Parlamento potrebbe
adottare per esercitare le proprie prerogative nell’emergenza, la questione della partecipazione da
remoto ai lavori parlamentari, e in particolare la possibilità del voto da remoto. Premesso che il tema,
in via generale, a meno che non si intenda intervenire in sede costituzionale, esula dalle strette
competenze della 1a
Commissione per rientrare tra quelle della Giunta per il Regolamento, appare
tuttavia opportuno richiamarlo con specifico riferimento ai lavori della commissione bicamerale.
Sul voto a distanza gli esperti sono equamente suddivisi tra favorevoli e contrari. Tra le opinioni
contrarie si registrano argomentazioni di illegittimità costituzionale, perché in contrasto con la lettera
dell’articolo 64 e con i Regolamenti parlamentari (Luciani) o perché non sovrapponibile alla
disciplina regolamentare, giudicata legittima dalla Corte, su congedi e missioni, e peraltro
difficilmente limitabile a una sola fattispecie emergenziale (Pertici). Più numerose le contrarietà
legate a ragioni di sistema o di opportunità, sui rischi di snaturamento del lavoro parlamentare, che
necessita di un confronto de visu (Guzzetta), in carne e ossa (Cintioli) dal momento che il voto è un
processo (Violante) e, in ultima analisi, in questo modo si potrebbe essere portati anche a ritenere non
necessaria una sede fisica (De Fiores), sicché occorre che il Parlamento lavori in presenza (Pera).
Addirittura, si è parlato di una violazione dell’essenza stessa del principio di rappresentanza, che
consiste proprio nel rendere presenti gli assenti (Pertici).
Tra i favorevoli a modalità di voto a distanza, accomunati da una lettura evolutiva dell’articolo 64
della Costituzione (Cheli, Tucciarelli, Caravita, Rivosecchi), l’argomento più diffuso è quello della
garanzia della funzionalità del Parlamento, specie laddove siano richieste maggioranze qualificate
(Lupo, D’Amico, Rivosecchi). Molte posizioni hanno tuttavia evidenziato come la possibilità vada
limitata a casi eccezionali (Cheli) o di forza maggiore (Passaglia) poiché il confronto in presenza
deve, in ogni caso, rimanere la regola (Tucciarelli, Trucco), o comunque accompagnata alla
valorizzazione delle sedi decentrate (Clementi). Anche qualcuno dei contrari, peraltro, potrebbe
ammetterlo ma come extrema ratio (Violante). È stato evidenziato come siano in ogni caso necessari
strumenti affidabili per l’identificazione dei votanti (Cheli) e una piattaforma adeguata per conoscere
gli esiti in tempo reale (Tucciarelli).
Va precisato che i limiti, peraltro differenziati, entro i quali le Giunte per il Regolamento delle Camere
hanno consentito la partecipazione da remoto dei parlamentari ai lavori delle commissioni, ovvero le
audizioni, formali e informali, nonché, per quanto riguarda la sola Camera, anche le discussioni senza
votazioni e gli uffici di presidenza riservati alla programmazione dei lavori, sono ritenuti legittimi
anche da chi si è espresso nettamente contro la remotizzazione del voto (Luciani, Pertici). Di contro,
da parte di chi sostiene l’opposta tesi, è stato sostenuto che, per la previsione di ulteriori forme di
remotizzazione, occorrerebbe una delibera regolamentare transitoria, peraltro ampiamente condivisa
tra le forze politiche (Tucciarelli).
La commissione bicamerale di cui si discute, innanzi tutto, potrebbe ovviamente avvalersi degli
strumenti attualmente consentiti alle commissioni permanenti. Inoltre, trattandosi di un organismo
creato proprio in ragione dell’emergenza e, come si è visto, caratterizzato da tempi di decisione anche
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estremamente ridotti, si potrebbe valutare di prevedere, laddove necessario, modalità specifiche per
la partecipazione ai suoi lavori anche da remoto, ferme restando le prerogative della Giunta per il
Regolamento.
g. Le obiezioni
Poche sono, come si anticipava, le voci che hanno sollevato riserve sull’opportunità di istituire la
commissione. In un caso è stata espressa una preferenza tecnica, per ragioni di agilità, per due
commissioni speciali omologhe che lavorino in sede congiunta (Guzzetta). Un’altra opinione ritiene
l’iniziativa percorribile ma probabilmente inutile, perché non contribuirebbe a superare la marginalità
del Parlamento: sarebbe quindi preferibile utilizzare altri strumenti già previsti dall’ordinamento,
come la bicamerale integrata di cui all’articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché
prevedere la pubblicità dei lavori degli organismi governativi (Villone). Infine, è stato notato che, in
assenza di un accordo politico a monte, la commissione riprodurrebbe le divisioni peculiari del
complessivo contesto politico. Se invece questo organismo funzionasse, potrebbe emarginare il
Parlamento nel suo complesso, che invece già dispone di tutti gli strumenti giuridici per riacquisire
centralità (Pera).
5. IL RAPPORTO CON LE REGIONI E LE AUTONOMIE LOCALI
Un ulteriore tema che è emerso nel corso dell’approfondimento è quello del rapporto con le regioni e
le autonomie locali, realtà che sono state direttamente coinvolte, dal punto di vista sia formale che
sostanziale, nella gestione dell’emergenza da parte del Governo, ma con le quali il Parlamento non
intrattiene canali stabili di comunicazione. Il tema della partecipazione delle autonomie viene posto
anche dalla risoluzione Calderoli del 2 novembre 2020.
A questo riguardo è stata ripresa la proposta di dare attuazione a quanto previsto dall’articolo 11 della
legge costituzionale n. 3 del 2001, integrando la composizione della Commissione bicamerale per le
questioni regionali (Villone, Celotto, Pastore), anche limitatamente al comma 1 dell’articolo, senza
cioè introdurre il meccanismo di parere rinforzato sui provvedimenti nelle materie di competenza
concorrente (Curreri).
Nella consapevolezza che, per quanto siano sufficienti modifiche ai regolamenti parlamentari, non è
scontato né immediato dare corso a disposizioni inattuate da un ventennio, è stato proposto
(Tucciarelli) o richiesto (Toti, Fedriga) che, in caso di istituzione di una commissione bicamerale, si
attui un coinvolgimento delle regioni, anche prendendo a modello la legge sul federalismo fiscale.
L’articolo 3 della legge n. 42 del 2009, che ha istituito la relativa commissione bicamerale, ha infatti
previsto, al comma 4, un comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali che la commissione
può audire ogniqualvolta lo ritenga necessario, o del quale può acquisire il parere. Il comitato è
nominato dalla componente rappresentativa delle regioni e degli enti locali nell’ambito della
Conferenza unificata e composto da dodici membri (senza specificare se politici o tecnici), sei in
rappresentanza delle regioni, due delle province e quattro dei comuni. In questo caso, quindi, non si
tratterebbe di una partecipazione diretta di rappresentati delle autonomie ai lavori della commissione,
tantomeno con diritto di voto.

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