di David Allegranti – L’elezione diretta del capo del governo è una vecchia battaglia del centrodestra dai tempi di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere non c’è più ma la nuova padrona della “ditta”, Giorgia Meloni, indica la necessità di una riforma costituzionale che preveda la scelta, da parte dell’elettorato, del presidente del Consiglio. Il testo della riforma, di cui si conosce solo il contenuto delle bozze, dovrebbe arrivare venerdì. Nel frattempo si moltiplicano le voci preoccupate, dai costituzionalisti Francesco Clementi e Stefano Ceccanti al senatore del Pd Dario Parrini, studioso di sistemi elettorali e riforme costituzionali. Questa riforma – ha detto al Corriere della Sera – “è uno stravolgimento della Costituzione e, soprattutto, è la liquidazione della forma di governo parlamentare perché non solo azzoppa il capo dello Stato ma mette la vita del Parlamento nelle mani del premier come avviene nei Consigli comunali”. Il che non significa, spiega Parrini a Public Policy, che le riforme non siano necessarie: “Il centrosinistra deve dire insieme un no e un sì. No a questa riforma e un sì a una sua riforma: il modello tedesco. La pure difesa dell’esistente è perdente”.
Il modello tedesco ha la sfiducia costruttiva, spiega Parrini, “ma non solo quella. Prevede l’elezione parlamentare del premier in una sola Camera, cosicché la fiducia va a lui e non all’intero governo. Il premer ha il potere di proporre al Capo dello Stato la nomina e la revoca dei ministri e lo scioglimento in caso di sconfitta su un voto fiduciario”. Il modello tedesco inoltre prevede il “superamento del bicameralismo perfetto in direzione di un bicameralismo differenziato. Ha una legge sui partiti degna di questo nome, con disciplina pubblica della loro democrazia interna. È previsto anche il finanziamento pubblico. Ha una legge elettorale sufficientemente selettiva e pro governabilità. Porta cioè il premier a governi più stabili e solidi senza uscire dalla forma di governo parlamentare”. Il progetto dell’attuale governo è invece “la liquidazione della forma di governo parlamentare per realizzare una sorta di presidenzialismo di fatto o criptopresidenzialismo che nessuna Repubblica parlamentare al mondo utilizza”.
Il professor Ceccanti invece intravede “seri rischi di conflitti tra potere e responsabilità”. Spiega che l’elezione diretta del premier verrebbe agganciata, grazie all’articolo 3 del testo, “alla scelta di una maggioranza e costituzionalizzerebbe un premio del 55 per cento dei seggi, senza però costituzionalizzare anche una soglia minima per la sua assegnazione, come richiesto dalla Corte costituzionale, lasciando i dettagli alla legge ordinaria”. Qualora si ritenga ragionevole, ed è una delle soluzioni possibili, aggiunge Ceccanti, “questa scelta di predeterminare un numero di seggi abbastanza distante dai quorum di garanzia, non si può non costituzionalizzare anche nel contempo una soglia minima in voti, altrimenti vi è un rischio di squilibrio. Strano Paese quello in cui per i sindaci occorre il cinquanta per cento dei voti più uno per avere il premio e invece per il Premier non ci sarebbe alcun vincolo costituzionale, ma solo una scelta discrezionale del legislatore. È peraltro quanto mai dubbio che anche questa formulazione posta in Costituzione possa evitare una declaratoria di incostituzionalità della Corte per l’assenza della soglia”. Ci vediamo in Parlamento, anzi, in tribunale.


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