«Se c`è una cosa che non serve al Pd, dopo le sconfitte, sono le divisioni. O le liste di chi doveva stare dentro o fuori. O ricostruiamo con l`aiuto di tutti oppure rifare i caminetti con gli ex ministri davvero non porta da nessuna parte».
Tommaso Nannicini, senatore Pd, neo membro della segreteria appena nata e già sotto attacco (oltre che ex consigliere economico di Renzi), risponde così al neo tesserato Carlo Calenda che ha usato un`immagine caustica: «Questa non è una segreteria, è un harakiri». Lo stesso ex ministro, con Repubblica, aveva invocato una leadership collegiale guidata da Gentiloni per un partito «paralizzato».
Senatore Nannicini, segreteria già sotto attacco. Emiliano dice no a quel tavolo, Martina incassa. Non è una buona partenza.
«Se la componente di Emiliano si sfila, il segretario Martina ne prende atto, ma quando fai una segreteria unitaria e di transizione è giusto chiedere a tutti i candidati che hanno preso voti all`ultimo congresso di indicare rappresentanti. Mi concentrerei sui problemi del Paese. Se ci fosse una competizione ad hoc, noi vinceremmo la medaglia d`oro dei personalismi…».
Si riferisce a Calenda? Pone il tema cruciale: l`identità del Pd. Specie in questa fase.
«Cruciale sì, ma non esistono scorciatoie. Più che “collegiale”, ci serve una leadership collettiva e diffusa. Luoghi in cui si seleziona la classe dirigente del futuro. Non manifesti calati dall`alto, ma legami da riannodare con le persone. Occorrono volontari ora, non maestrina. Questa ossessione di tirar fuori l`ideona o il leaderone è sbagliata: se uno l`aveva, poteva tirarla fuori prima del 4 marzo. E i leader arrivano quando i tempi sono maturi. I 5S per arrivare al 32% ci hanno messo dieci armi e non sono partiti da Di Maio. La Lega per andare dal 4 al 17% ha impiegato dieci anni e non è partita da Salvini, anche se lui c`era».
Lei ha la delega al progetto del partito. Cosa serve, allora?
«Aprire il Pd: allargare il campo, dialogare, attrarre energie. Riconnettere la nostra comunità ed espanderci, riappropriandoci di luoghi e temi che parlano alle persone. Occorre la più aperta discussione. Con due obiettivi: lanciare subito una campagna di ascolto e dialogo con chi ha voglia di rea lizzare l`alternativa a questo governo. E costruire una proposta forte: piedi per terra e sguardo al futuro».
Un campo progressista per le Europee, come dice Boldrini?
«Ragioniamoci, ma non partiamo da gruppi dirigenti o sigle. Per le europee dobbiamo coinvolgere da altri Paesi anche quelle voci che hanno elaborato proposte contro la spinta distruttiva dei populismi».
Non vede il rischio di un`opposizione blanda, e una parte del Pd che flirta col M5S, mentre il congresso è rinviato sine die?
«No, il congresso si fa nel 2019. Capisco che di fronte alla gravità del momento vorremmo tutti un`alzata di reni: ma la sconfitta viene da così lontano che non basta qualche campagna sui social. L`opposizione deve essere ferma e rigorosa, ma poi bisogna lavorare sul territorio. Al sud, hanno votato 5S non per mettersi in fila per il reddito di cittadinanza, ma magari perché stufi di stare in coda dietro a una politica delle clientele. Tornare a lavorare sui fondamentali: identità che ci unisce, formazione e selezione della classe dirigente, Anche perché il leader è come il Messia, dice il politologo Marc Lilla: non si sa mai quando arriva e bisogna prepararsi e lavorare il terreno».
Il terreno lo si rovina anche con battute divisive: Calenda dice che Renzi deve liberarsi dalla sindrome da bunker.

«Non la vedo. Per stare alla metafora, al massimo si potrebbe pensare a qualche zelante custode del bunker. Ma la verità è un`altra: sulle divisioni siamo bravissimi da prima di Renzi. E anche ora che lui non guida».


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