Insieme a noi Francia, Inghilterra, Germania e i paesi del Nord Africa
L`Italia è pronta a guidare in Libia una coalizione di paesi dell`area, europei e dell`Africa del Nord, per fermare l`avanzata del Califfato che è arrivato a 350 chilometri dalle nostre coste. Se in Afghanistan abbiamo mandato fino a 5mila uomini, in un paese come la Libia che ci riguarda molto più da vicino e in cui il rischio di deterioramento è molto più preoccupante per l`Italia, la nostra missione può essere significativa e impegnativa, anche numericamente». Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, pesa le parole. «Ne discutiamo da mesi, ma ora l`intervento è diventato urgente».
Ci saranno truppe di terra?
«Dipenderà dallo scenario. Si dovranno anestetizzare realtà dove ci sono infiltrazioni terroristiche, e fare peace-keeping nel resto del territorio. Le stesse autorità libiche potranno richiedere un`operazione simile a quella in Iraq: truppe che combattono l`Isis, altre che presidiano il territorio. Disponiamo di tre forze armate più la quarta, i carabinieri, che operano come un tutt`uno. Mezzi, composizione e regole d`ingaggio li decideremo con gli alleati in base allo spirito e al mandato della missione Onu».
 Saremo noi a guidarla?
 «L`Italia immagina d`avere un ruolo di leadership in Libia come l`abbiamo avuto in Libano, per motivi geografici, economici, storici. Gli interlocutori internazionali individuano nell`Italia la nazione col ruolo di protagonista: per quanto conosce la Libia, per la sua storia, per le aspettative dei libici».
L`opposizione critica questi annunci fuori dal Parlamento.
«Si riferisce a Elio Vito? Stiamo parlando di ipotesi, non c`è alcuna decisione. Il governo italiano lancia un monito alla comunità internazionale. Inoltre, tutti i segnali in Parlamento sono andati finora nel senso di una preoccupazione condivisa. Rassicuro tutti: ogni decisione e passaggio verrà fatto in Parlamento. Giovedì il ministro Gentiloni fornirà informazioni e valutazioni».
C`è spazio per la diplomazia?
«Seguiamo e favoriamo i tentativi dell`inviato dell`Onu, che ha fatto passi avanti senza però giungere a una conclusione che eviti alla Libia di cadere nelle mani dell`Isis. L`avanzata del Califfato è tumultuosa e preoccupante non tanto a Derna, dove da tempo il jihadismo è forte, quanto a Sirte e a Tripoli, dopo l`attentato efferato e simbolico all`Hotel Corinthia che ospita le delegazioni internazionali».
 Perché la Libia è così pericolosa?
«È un grande paese strategico anche per la posizione, e da anni è fuori controllo. La dittatura di Gheddafi aveva mascherato le lacerazioni interne. Bisogna fare come nei Balcani, dove per scongiurare la bonifica etnica abbiamo invitato decine di migliaia di uomini e abbiamo contingenti dopo vent`anni per stabilizzare territorio. In Libia, eliminato il tappo Gheddafi, le tensioni sottostanti sono esplose. Oggi la Libia è un pericolo per tutto il mondo, in particolare per i paesi vicini e confinanti. I governanti di Egitto, Algeria, Tunisia, ma anche degli Emirati, ci dicono che se la Libia cadesse preda dell`Isis, la lotta diverrebbe immane»,
Quali paesi faranno parte della coalizione?
«Si possono ipotizzare quelli dell`area. Ma non dev`essere una coalizione dall`aspetto minaccioso verso i libici. Unico interesse è la pace. In Europa, sicuramente l`Italia, la Francia, la Gran Bretagna, la Germania, la Spagna, Malta e altri che aderiranno. Gli Stati Uniti saranno coinvolti nella strategia, quanto alla partecipazione diretta si vedrà».
I tempi?
«Il rischio è imminente, non si può aspettare oltre. L`Italia ha esigenze di difesa nazionale, di non avere il Califfato che ci governa di fronte. Ma vogliamo coordinarci con altri in un sistema di legalità internazionale. Il tempo dell`attesa non deve consentire all`Isis di conquistare la Libia. In Ucraina ci auguriamo che il cessate il fuoco regga. Ma c`è a sud un nemico terribile, nuovo e diverso, che da una parte cerca di prendere territori, dall`altra fa propaganda tanto da impiegare un reporter inglese come portavoce di come si vive bene nel Califfato. Il video del pilota giordano bruciato vivo è una costruzione sofisticata di scenografia dell`orrore, un messaggio di potenza che arriva drammaticamente a chi si sente bistrattato nelle banlieu e diventa foreign fighter. Dovremo essere presenti in Libia come siamo intervenuti in Iraq al fianco dei valorosissimi curdi».
Quanto è pericoloso, militarmente, il Califfato?
«Un paio di mesi fa avevamo stimato circa 25mila combattenti, con una capacità di aumentare di 1000-1500 al mese. Oggi potrebbero essere 30mila o anche più. Ci so- no stati momenti di ombra sul destino degli armamenti di Gheddafi, perciò dobbiamo stare attenti alle armi che possono avere».
Poi c`è il terrorismo, ora anche in Danimarca. E Gentiloni è stato definito dalla radio dell`Isis come ministro crociato.
 «Tutti i paesi occidentali sono a rischio, in particolare quelli della coalizione anti-Isis. In Italia è minore il numero di foreign fighters, ma possono esserci infiltrazioni. Col decreto anti-terrorismo abbiamo messo in campo misure giuridiche e strumenti di intelligente, oltre a 5mila militari su obiettivi sensibili. Alla coalizione anti-Isis abbiamo dato 525 uomini. Sappiamo che questo ci rende nemici forti e determinati dei terroristi. Abbiamo alzato il livello di attenzione. La sicurezza interna e quella esterna vanno affrontate insieme. Bisogna combattere il terrorismo all`interno, e fermare all`esterno la costituzione dello Stato del Califfato».
Lampedusa è un bersaglio?
«Abbiamo un sistema di difesa anche perché le nostre coste più esposte siano salvaguardate». I terroristi possono arrivare coi barconi? «È una possibilità che non possiamo escludere».

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