La decisione del presidente Draghi di bloccare l’export di 250mila dosi di vaccino Astrazeneca verso l’Australia è stata oggetto di commenti diversi. Alcuni, pochi, hanno parlato di posizione protezionistica, i più di decisione coraggiosa, alcuni l’hanno paragonata alla vicenda di Sigonella. Io credo che sia stata una risposta forte, autorevole, determinata verso le aziende farmaceutiche e un segnale di operatività dopo la gestione burocratica ed ingenua che sulla questione vaccini ha avuto la Commissione Europea.

Ho sostenuto con convinzione la presidente Von der Leyen e la sua Commissione e continuerò a farlo ma quando a mio giudizio sbaglia, non posso tacere. Il mancato rispetto degli impegni assunti e i ritardi accumulati da parte delle aziende farmaceutiche coinvolte sono un colpo terribile che sfarina quel patrimonio di reputazione che le istituzioni europee avevano accumulato con il Next Generation Eu e le altre scelte anti pandemia.

Ha scritto proprio su Huffpost molto bene Alessandro Barbano parlando di prevalenza della burocrazia europea e sottolineando che il non essere capace di agire come player globale, anche in questo caso, è il vero carico di piombo nelle ali della Ue.

Anche per questo la iniziativa di Draghi è benvenuta.

Il blocco delle esportazioni è peraltro uno strumento totalmente legittimo. Esso, infatti, non è previsto solo dalla normativa europea, ma anche da quella italiana. Il decreto legge 35/2019, che reca disposizioni urgenti in materia sanitaria, prevede che l’Agenzia italiana del farmaco, previa notizia al Ministero della Salute, possa pubblicare un provvedimento di blocco temporaneo delle esportazioni di farmaci per prevenire o limitare stati di carenza o indisponibilità. Il blocco dell’export dà un segnale molto forte alle aziende farmaceutiche che non rispettano gli accordi di fornitura presi con le autorità europee.

E poi vi è la questione essenziale che riguarda l’equità di fruizione del vaccino. La salute è un bene pubblico globale, ed è importante che i paesi più ricchi aiutino quelli più poveri in gesti concreti di solidarietà. Tuttavia, non bisogna dimenticare due fattori importanti. In primis, l’Europa è stato uno dei primi continenti a essere colpito dal virus, e subendo maggiori perdite in termini di vite umane e ricchezza. Pertanto, avere una priorità più alta nella distribuzione globale dei vaccini è giusto. Inoltre, l’Europa ha un’età media della popolazione più alta rispetto ad altre aree del mondo, pertanto presenta una percentuale maggiore di categorie a rischio. Concentrare la distribuzione dei vaccini sull’Europa potrebbe far sì che, a livello globale, ci siano complessivamente meno vittime.

Sono convinto che gli attori politici e istituzionali europei, a cominciare dalla Commissione, abbiano riflettuto su ciò che è accaduto in questi ultimi due mesi e possano reagire recuperando la vigoria politica e la supremazia politica che non deve mai soccombere rispetto alla burocrazia.


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