Senatrice Rossomando, quattro candidati alle primarie, una quarta disponibile ma a patto che non si facciano le primarie, più una serie di disponibilità varie. Come confusione non c`è male, non crede?
«Ho l`impressione che non ci sia sempre piena e diffusa consapevolezza del momento che viviamo. Da un lato si discute di quante persone potranno sedersi allo stesso tavolo per il pranzo di Natale e dall`altro parliamo di raccogliere le firme. Non è all`altezza della discussione il fatto che il quadro politico locale sia assorbito dal dibattito sulle primarie. Serve un salto di qualità».
Anna Rossomando, vice presidente del Senato, con il sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis, è la parlamentare torinese più alta in grado nel centrosinistra nonché, sempre con Giorgis, esponente dell`area che si riconosce nel segretario del Pd Zingaretti. Ecco perché la sua voce riflette anche gli umori con cui da Roma si assiste al dibattito sulla scelta del candidato sindaco per Torino. A proposito, chi decide? Torino o Roma?
«Si deciderà qui, ma è chiaro che Torino è una questione nazionale. Non è un piccolo comune: alcuni temi, dal futuro dell`automotive alle politiche industriali alla lotta alle marginalità, riguardano il futuro del Paese».
Quindi si dovrà tenere conto anche degli assetti nazionali, dunque trattare con il Movimento 5 Stelle?
«L`esperienza di questo governo, che a differenza di quello Lega-5s non si fonda sul baratto ma sulla sintesi, ha portato i Cinquestelle a rivedere molte delle loro posizioni. A livello locale questo percorso di maturazione non lo avverto, ma compito della politica è innescarlo. Per di più l`esperienza della giunta Appendino è stata fallimentare. Detto questo il tema sono gli elettori, e quelli persi nel 2016 non si riconquistano spiegando loro che hanno sbagliato e ora devono tornare da noi».
E come, allora?
«Con un progetto. Io spero che le primarie si possano fare ma in attesa di capirlo temo ci sia una sospensione della politica, esattamente il contrario di quel che serve. Torino e il Piemonte vivono una situazione drammatica; il Pd ha il dovere di lavorare a un progetto che ridia speranza a questo territorio, curi ferite sociali profonde, rimetta al centro il lavoro. Avremo più risorse grazie ai fondi dell`Europa, dove le mettiamo? Io dico Città della salute, transizione ecologica, distretti industriali, lotta alle disuguaglianze. A questi titoli dobbiamo dare gambe coinvolgendo le forze della città. E innovare il metodo: essere aperti e inclusivi. Non possiamo ripartire da dove ci eravamo lasciati. Un`autocritica va fatta: abbiamo tralasciato gli esclusi, per reddito e partecipazione ai destini della città». Scusi, non ritiene che questo percorso – magari lacunoso – sia stato fatto? E se non è così, a pochi mesi dalle elezioni non è tardi?
«Certo che è stato fatto. Ma ora è il momento di rendere esplicito il nostro progetto. Formuliamo una proposta e intorno a essa raggruppiamo chi ci sta, forze politiche e non. Costruiamo un metodo di governo della città innovativo. Questo aiuterà poi a scegliere il candidato».
Quindi niente primarie?
«Le primarie non risolvono i nodi politici, non possono essere una scappatoia né un modo per delegare le scelte ad altri. Innanzitutto tocca a noi avviare una discussione, dalla quale sono sicura che emergerà anche un nome, o magari più d`uno. A quel punto si farà sintesi politica o si sottoporrà al giudizio dei militanti». Alcuni candidati già ci sono, dal capogruppo Lo Russo al vicepresidente della Sala Rossa Lavolta all`ex assessora regionale Pentenero. Perché non scegliere in questa rosa?
«Hanno tutti una storia credibile, alcuni di loro di recente hanno fornito un contributo prezioso di idee e programmi. Vedo però un certo affollamento, per questo ritengo che una discussione forte porterà inevitabilmente a una sintesi o a far emergere una figura meglio in grado di unire le parti della città e dare un segnale d`apertura verso l`esterno».
Il suo sembra un auspicio a guardare fuori dai partiti, dove finora è emerso un solo nome forte, quello del rettore del Politecnico Saracco. È a lui che guarda?
«Non è l`unico, ma Saracco ha molti requisiti per essere una candidatura autorevole che risponde a molte caratteristiche che ho tracciato».
Non è un profilo un po` tecnocratico per ricucire il rapporto con la Torino fragile?
«Le candidature civiche hanno senso se c`è un forte progetto politico che le sostiene, se la politica è forte, non se delega a un esterno la soluzione dei problemi che non sa come affrontare. Sta a noi costruire quelle condizioni, sapendo che avere una prospettiva di sviluppo di questa città serve anche per andare a parlare alle fasce deboli».
Perché non si parla quasi mai di voi parlamentari come potenziali candidati?
«Non è escluso ma mi sembra improbabile: siamo impegnati in un`esperienza di governo e in una fase generale molto complesse».
Il centrodestra sarà competitivo e potrebbe battervi sul tempo.
«Hanno sempre sacrificato Torino agli equilibri di coalizione. Il fatto che ora stiano emergendo figure che rappresentano esperienza e competenza ci deve anche far riflettere. Per questo, ripeto: una discussione aperta e profonda, un metodo nuovo e una scelta chiara senza replicare e un centrodestra che cerca brand accattivanti per mascherare la pochezza di idee e classe dirigente come dimostrano le inefficienze della Regione».


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