Dal 25 maggio l’America brucia, dal giorno in cui George Floyd 46enne afro americano è morto soffocato dal ginocchio di Derek Chauvin, agente bianco di Minneapolis. “Non riesco a respirare” ha detto e ridetto, ma non è servito a fermare il ginocchio di Chauvin o a muovere in suo aiuto gli altri tre agenti che hanno assistito impassibili al suo omicidio. Floyd è solo l’ultimo di una lunga serie di vittime della polizia. Tutte nere. Sono ventisei gli Stati americani le cui strade da allora sono occupate da manifestazioni di protesta e in diverse località dove non sono mancati brutali scontri con le forze di polizia, che con le loro reazioni non hanno risparmiato giornalisti, bambini e finanche anziani.
La spirale di proteste e disordini ha così riaperto, grazie anche alle tensioni sociali conseguenza delle’emergenza dovuta al Covid, una ferita mai sanata dell’America, la discriminazione, il razzismo che accompagna la storia della prima potenza mondiale dalla fine Ottocento a oggi.
Nonostante la grande stagione dei diritti civili degli anni 60’ la comunità afroamericana è ben lontana dalla parità e da una pari dignità rispetto alla popolazione bianca. Lo dicono in tutta loro crudezza alcuni dati.
Nel primo trimestre 2020 negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione fra gli afro-americani è doppio rispetto a quello della popolazione bianca.
L’indice di povertà per neri continua a superare di oltre il doppio quello dei bianchi.
Gli agenti di Minneapolis sono stati licenziati e indagati per omicidio, ma non basta. E’ giunto il momento che l’America faccia i conti con il suo razzismo, “un conclamato razzismo istituzionale” come lo ha chiamato il governatore di New York Andrew Cuomo e con la sua impermeabilità ai cambiamenti.
L’America che protesta, che manifesta e che grida la sua rabbia non è sola, da Sidney a Londra, Parigi, Berlino si manifesta a sostegno dei Black Lives Matter. Josep Borrell, Alto Rappresentante della politica estera dell’Unione europea ha chiesto “il pieno rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani”. “Non possiamo tollerare né chiudere gli occhi su qualsiasi tipo di razzismo o di esclusione e dobbiamo pretendere di difendere la sacralità di ogni vita umana”, queste le parole con cui Papa Francesco si è unito al coro internazionale di condanna per l’uccisione di Floyd. Ma il Papa ha anche aggiunto che nulla può giustificare le violenze e i saccheggi seguiti alla protesta per l’omicidio Floyd. Quelle violenze non aiuteranno certo a garantire più diritti, umani e sociali, a quella parte di popolazione americana colpita dalla crisi post-Covid. Condanniamo quei saccheggi e quel modo di protestare perché, di fatto, depotenziano le giuste rivendicazioni di chi chiede giustizia.
L’Italia è un paese che ha nella sua Carta Costituzionale, all’articolo 3 il riconoscimento della pari dignità dei cittadini senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Principi e valori riconosciuti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, alla base della costituzione dell’Unione europea. I diritti civili faticosamente guadagnati nel corso del Novecento in tutto l’Occidente non sono solo la nostra storia, sono la barra da tenere dritta in un tempo già difficile e ora, con la pandemia che sta colpendo tutto il mondo, diventato ancora più buio. Non possiamo chiedere il rispetto dei diritti umani nei teatri internazionali attraversati da guerre di incredibile ferocia se non siamo in grado di chiederlo anche alla prima potenza mondiale. Gli Stati Uniti sono un grande Paese che non può e non deve più rimanere una democrazia incompiuta per una larga fetta della sua popolazione. Ai suoi alleati, e il nostro Paese è convintamente tra questi, il dovere di chiedere questo cambio di passo.

Alessandro Alfieri; Monica Cirinnà; Valeria Fedeli; Gianni Pittella


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