Aspettare che Draghi si autocandidi al Quirinale è una sgrammaticatura, perché nessuno dei dodici presidenti che abbiamo avuto si è mai autocandidato»: parola di Luigi Zanda, ex tesoriere del Pd, già capo gruppo al Senato, la cui lunga esperienza in materia di Quirinale è dimostrata dalla sua storia politica e da questo gustoso episodio: «In un pranzo al “Passetto” dietro Piazza Navona, Cossiga mi svelò, due mesi prima di essere eletto capo dello Stato, che era stato chiuso un patto blindato tra Dc e Pci sul suo nome. Ma a parte questo, i nomi dei presidenti sono usciti fuori tutti qualche settimana prima del voto. Dunque…»

Dunque Draghi che dovrebbe fare?

«Deve fare questo che sta facendo, il premier e deve accettare le decisioni del Parlamento. Se deciderà di eleggerlo bene, se no, deve prenderne atto».

Sta dicendo che non si deve imbizzarrire in quel caso pensando a dimettersi?

«Non voglio assolutamente entrare nel merito, considero sbagliato parlarne. Vedo che l`Italia in questa fase dispone di due grandi personalità, Mattarella e Draghi, a loro due dobbiamo un risveglio del paese, compreso l`aumento del 6% del pil, il credo internazionale e un grande consenso popolare».

E non rischiamo di perderle entrambe in questa partita del Colle?

«Sarebbe un guaio, non voglio nemmeno considerarla come ipotesi».

Esclude un Mattarella bis?

«Beh, ho notato che gli argomenti per i quali considera concluso il suo mandato sono molto forti. Ma voglio aggiungere una cosa».

Prego.

«Se nel corso delle elezioni del presidente, la maggioranza che sorregge Draghi dovesse andare in pezzi, il governo non potrebbe sopravvivere un minuto di più e le elezioni anticipate diventerebbe inevitabili».

E cosa dovrebbe fare questa maggioranza per non andare in pezzi? Un accordo a largo raggio, su manovra e riforme, come chiedono Letta e Conte?

«Intanto deve fare in modo di accordarsi a tempo debito per un nuovo Presidente: sarebbe corretto e serve un lavoro molto discreto per un accordo politico tra partiti e grandi elettori. Ma ci vuole qualcuno che prenda sulle spalle questo compito e penso che uno dei pochissimi che possa avere questo ruolo sia Enrico Letta. E` stimato da tutti e nessuno può sospettare che abbia interessi personali: è segretario di un partito con il 12 per cento di parlamentari e non può suscitare preoccupazioni di qualsivoglia egemonia».

In questo patto va coinvolta anche Meloni?

«Si assolutamente»

E la scelta dovrebbe indirizzarsi verso una donna?

«Non penso che sul presidente si possano fare questioni anche importanti come sono le questioni di genere».

Ma è realizzabile in questo clima di scontro un patto tra leader sulla manovra economica e sulle riforme?

«Beh, in questo momento è prioritario risolvere la legge di bilancio, sapendo che è un documento omogeneo: modificarlo a suon di emendamenti è un controsenso. Più volte ho sostenuto che la legge di bilancio dovrebbe essere inemendabile, che il Parlamento dovrebbe o approvarla o bocciarla, come in Germania. E condivido l`idea di Letta di blindarla con un patto di maggioranza: poi se farlo tra leader o tra capigruppo, è un problema tattico. Sulle riforme invece, faccio un pronostico».

Quale?

«Che dopo l`elezione del nuovo presidente della Repubblica, le forze politiche troveranno l`accordo per modificare una legge elettorale che non piace a nessuno e costringe i partiti ad alleanze innaturali, che puntualmente si rompono subito dopo il voto».

Un ritorno al proporzionale?

«Si, ma solo se marcia assieme ad una soglia di sbarramento alla tedesca del 5%, per favorire la stabilità».


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