QUELLO SULL`ESISTENZA DELLE PROVINCE NELL`ASSETTO STATUALE ITALIANO È UN DIBATTITO CHE RISALE Al TEMPI DELL`UNITÀ ITALIANA, passando dalla Costituente e dagli anni Settanta, quando furono istituite le Regioni. Da sempre si discute della sorte del livello di governo intermedio, senza peraltro venirne a capo. In molti Paesi europei esiste ed opera efficacemente questo livello, da noi è diventato il problema.
Del resto, anche gli ultimi tre governi, sospinti dalla necessità di ridurre la spesa pubblica, hanno posto come uno degli obiettivi prioritari quello di eliminare le province. Il problema non è di poco conto, c`è infatti da raddrizzare quello che è stato appellato «l`albero storto italiano“, un vero e proprio policentrismo anarchico foriero di inefficiente e sprechi. Ciononostante non è tutto da buttare e per questo è necessario un approccio ponderato e globale dove il raggiungimento degli obiettivi deve tener conto di vincoli e di un contesto ben preciso.
E per questi motivi che condivido il lavoro del ministro Delrio che, da ottimo amministratore e conoscitore delle autonomie locali, sta affrontando il problema con serietà e senza quell`eccesso di contabilizzazione degli effetti adottato dal governo Monti, peraltro sanzionato puntualmente dalla Corte. Perché la soluzione del problema non mi pare quella di sfilare un intero livello di governo dalla trama formatasi in decenni di storia e relazioni locali, tanto più se mossi da verosimili chimere economiche difficilmente verificabili. Per chi come me si è cimentato, come amministratore locale, con i problemi quotidiani dei cittadini e i servizi, l`obiettivo non può che essere una maggiore efficienza e razionalità, proprio come sembra indicare il ddl Delrio. Ma proprio per questo sento di dover ricordare che non dobbiamo rischiare di sottovalutare aspetti fondamentali del contesto quali l`identità dei territori e il peculiare regionalismo italiano.
Il primo punto è materia delicata, specie nella culla dei 1000 campanili. Dobbiamo riflettere su un tema spesso trascurato, relativo al carattere artificiale o naturale dell`ente Provincia: quanti di noi, per identificare la propria provenienza con gli altri, fanno riferimento al paesello nativo o alla cittadina d`infanzia? Pochissimi; come io mi sento modenese e non nonantolano, il sindaco di Firenze Matteo Renzi si definisce fiorentino e non certo rignanese.
Le Province insomma non mi paiono solo targhe automobilistiche, bensì sono un territorio con precise peculiarità culturali, gastronomiche e dialettali. Per questo penso che bisogna procedere cauti per non calpestarle e credo che il futuro ruolo dei sindaci nei nuovi enti potrà essere una salvaguardia di queste identità. Il secondo punto, più difficile da risolvere, si lega a doppio filo con il ruolo di Comuni e unioni e con la tematica delle funzioni regionali trasferite alle Province. In un`Italia con più di 8000 comuni, di cui più del 70 per cento sotto i 5000 abitanti, troviamo regioni come il Piemonte o la Lombar- dia che superano i 1200 Comuni, e Regioni come la mia Emilia Romagna o la Toscana che si aggirano sui 300. Oltre a ciò, esistono Regioni che hanno fatto del decentramento e della sussidiarietà le proprie missioni di governo, delegando numerose funzioni all`ente di governo intermedio, altre che invece le hanno trattenute e difficilmente le attribuiranno in futuro alle unioni.
Penso alla pianificazione territoriale e ambientale, alla programmazione scolastica superiore, alle politiche per il lavoro e ai servizi per l`impiego, alla gestione faunistico e venatoria, al sistema di protezione civile. Non si tratta di difendere astrattamente un ente, ma di non disperdere ciò che esso rappresenta in termini di competenze, esperienze, prassi democratiche e di relazione con i territori e i diversi portatori di interessi, comuni in primis. Sono problemi questi che non dovrebbero essere sottovalutati ma anzi affrontati sin da subito, non appena il provvedimento giungerà in Parlamento. Sono sicuro che con il contributo di tutti, considerata anche la disponibilità del ministro a confrontarsi, potremo finalmente compiere questo primo passo sulla strada delle riforme istituzionali nel rispetto dei lavoratori delle province, delle identità territoriali, dei servizi ai cittadini e alle imprese e del funzionamento efficiente del sistema.
Perché non possiamo permettere nuovamente che qualcuno pensi di eliminare tutto ciò con un tratto di penna, perché dobbiamo credere che sia ancora possibile fare riforme utili, perché spetterà agli attori sul territorio compiere il processo, e lo porteranno a termine se e solo se si sentiranno protagonisti e coinvolti.
Del resto, anche gli ultimi tre governi, sospinti dalla necessità di ridurre la spesa pubblica, hanno posto come uno degli obiettivi prioritari quello di eliminare le province. Il problema non è di poco conto, c`è infatti da raddrizzare quello che è stato appellato «l`albero storto italiano“, un vero e proprio policentrismo anarchico foriero di inefficiente e sprechi. Ciononostante non è tutto da buttare e per questo è necessario un approccio ponderato e globale dove il raggiungimento degli obiettivi deve tener conto di vincoli e di un contesto ben preciso.
E per questi motivi che condivido il lavoro del ministro Delrio che, da ottimo amministratore e conoscitore delle autonomie locali, sta affrontando il problema con serietà e senza quell`eccesso di contabilizzazione degli effetti adottato dal governo Monti, peraltro sanzionato puntualmente dalla Corte. Perché la soluzione del problema non mi pare quella di sfilare un intero livello di governo dalla trama formatasi in decenni di storia e relazioni locali, tanto più se mossi da verosimili chimere economiche difficilmente verificabili. Per chi come me si è cimentato, come amministratore locale, con i problemi quotidiani dei cittadini e i servizi, l`obiettivo non può che essere una maggiore efficienza e razionalità, proprio come sembra indicare il ddl Delrio. Ma proprio per questo sento di dover ricordare che non dobbiamo rischiare di sottovalutare aspetti fondamentali del contesto quali l`identità dei territori e il peculiare regionalismo italiano.
Il primo punto è materia delicata, specie nella culla dei 1000 campanili. Dobbiamo riflettere su un tema spesso trascurato, relativo al carattere artificiale o naturale dell`ente Provincia: quanti di noi, per identificare la propria provenienza con gli altri, fanno riferimento al paesello nativo o alla cittadina d`infanzia? Pochissimi; come io mi sento modenese e non nonantolano, il sindaco di Firenze Matteo Renzi si definisce fiorentino e non certo rignanese.
Le Province insomma non mi paiono solo targhe automobilistiche, bensì sono un territorio con precise peculiarità culturali, gastronomiche e dialettali. Per questo penso che bisogna procedere cauti per non calpestarle e credo che il futuro ruolo dei sindaci nei nuovi enti potrà essere una salvaguardia di queste identità. Il secondo punto, più difficile da risolvere, si lega a doppio filo con il ruolo di Comuni e unioni e con la tematica delle funzioni regionali trasferite alle Province. In un`Italia con più di 8000 comuni, di cui più del 70 per cento sotto i 5000 abitanti, troviamo regioni come il Piemonte o la Lombar- dia che superano i 1200 Comuni, e Regioni come la mia Emilia Romagna o la Toscana che si aggirano sui 300. Oltre a ciò, esistono Regioni che hanno fatto del decentramento e della sussidiarietà le proprie missioni di governo, delegando numerose funzioni all`ente di governo intermedio, altre che invece le hanno trattenute e difficilmente le attribuiranno in futuro alle unioni.
Penso alla pianificazione territoriale e ambientale, alla programmazione scolastica superiore, alle politiche per il lavoro e ai servizi per l`impiego, alla gestione faunistico e venatoria, al sistema di protezione civile. Non si tratta di difendere astrattamente un ente, ma di non disperdere ciò che esso rappresenta in termini di competenze, esperienze, prassi democratiche e di relazione con i territori e i diversi portatori di interessi, comuni in primis. Sono problemi questi che non dovrebbero essere sottovalutati ma anzi affrontati sin da subito, non appena il provvedimento giungerà in Parlamento. Sono sicuro che con il contributo di tutti, considerata anche la disponibilità del ministro a confrontarsi, potremo finalmente compiere questo primo passo sulla strada delle riforme istituzionali nel rispetto dei lavoratori delle province, delle identità territoriali, dei servizi ai cittadini e alle imprese e del funzionamento efficiente del sistema.
Perché non possiamo permettere nuovamente che qualcuno pensi di eliminare tutto ciò con un tratto di penna, perché dobbiamo credere che sia ancora possibile fare riforme utili, perché spetterà agli attori sul territorio compiere il processo, e lo porteranno a termine se e solo se si sentiranno protagonisti e coinvolti.