Il disegno di legge sul femminicidio, approvato di recente dal governo, presenta luci e ombre. Valeria Valente, esponente del Partito democratico ed ex presidente della commissione Femminicidio del Senato, è fiduciosa: «Aiuterà ad avere consapevolezza, impedirà a tanti di negarne esistenza e specificità, agevolerà i giudici». Ma al tempo stesso invita a discutere sull’ergastolo e lancia l’allarme: «Sta crescendo la violenza maschile in tutte le sue forme di fronte alla maggiore libertà conquistata dalle donne».
Con l’approvazione del ddl sul femminicidio si dà al reato una sua specificità, una diversità rispetto all’omicidio. Ce la spiega?
«Il disegno di legge introduce l’articolo 577-bis nel Codice penale per definire la fattispecie del femminicidio come uccisione di una donna in quanto donna, come atto di discriminazione o di odio o per limitarne i diritti, la libertà e l’espressione della personalità. È una definizione che si può migliorare: personalmente valuterei di eliminare la parte su discriminazione e odio che può valere in molti casi e verso soggetti diversi, dettagliando di più la seconda parte che invece contiene finalmente il riferimento esplicito alla matrice culturale del femminicidio, che riguarda l’asimmetria di potere, la volontà di sopraffazione e di controllo di un uomo nei confronti di una donna, in una relazione non paritaria. Si fotografa, rendendolo finalmente parte integrante della fattispecie criminosa, non il movente o l’elemento psicologico del reo in quel momento, ma un particolare comportamento riconducibile all’idea del dominio dell’uomo sulla donna, che anni fa giustificava il delitto d’onore e oggi ancora tante forme di violenza e sopraffazione».
Da circostanza aggravante a reato autonomo: un grande salto a livello culturale…
«Proprio in quanto fenomeno strutturale di natura culturale, sappiamo bene che la violenza contro le donne si combatte soprattutto sul piano dell’educazione. Ma riconoscere il femminicidio come tale, chiamare le cose con il loro nome, aiuterà ad avere consapevolezza, impedirà a tanti di negarne esistenza e specificità, agevolerà i giudici. Il linguaggio dà significato alle cose. Non è la pena a fare da deterrente, ma lo è il chiaro e condiviso disvalore sociale rispetto a quel comportamento maschile. Si vuole discutere dell’ergastolo? Lo si faccia non solo per questa fattispecie, sarei d’accordo».
Secondo il ddl, la figura della vittima o dei suoi familiari – in fase d’indagine o anche successivamente – può intervenire efficacemente nella relazione con i giudici. In che modo?
«Si stabilisce, per esempio, che per giungere al patteggiamento con il reo o per stabilire permessi premio e benefici penitenziari, il magistrato debba avvisare la vittima di stalking, stupro o maltrattamenti e i famigliari della vittima di femminicidio e tenere conto delle loro indicazioni».
A livello di effettiva prevenzione del reato, per esempio nel caso una donna si dovesse trovare in una situazione di emergenza, è soddisfatta dei sistemi attualmente esistenti per l’attivazione immediata dei soccorsi?
«Si deve fare di più e meglio. L’ascolto diretto della vittima da parte del pm in un tempo breve può essere prezioso se fatto da personale specializzato, ma ad oggi è irrealizzabile se non si dotano gli uffici giudiziari di più risorse umane e strumentali. Lo stesso vale per i braccialetti elettronici. Vanno rafforzati anche il sostegno alle forze di polizia, ai centri antiviolenza e alle case rifugio che accolgono le vittime».
Al di là dei risvolti giudiziari, una chiave importante per la risoluzione di questo problema è senza dubbio l’educazione delle nuove generazioni al rispetto dell’emancipazione femminile. C’è qualche progetto in cantiere, che coinvolga magari dei giovani studenti?
«L’educazione dei giovani dalla scuola elementare all’università, la formazione e la specializzazione dei docenti, degli operatori della giustizia, della sanità, della comunicazione sono la vera carta vincente, non c’è dubbio. Di progetti e di buone pratiche ce ne sono tanti. Il Pd ha un suo ddl per l’educazione al rispetto e all’affettività. Il ddl del governo dispone l’obbligo della formazione per i magistrati anche per favorire maggiore collaborazione con la parte offesa e con i centri antiviolenza, che sanno come si intraprende il percorso di fuoriuscita dalla violenza».
Nel 2024 si sono registrati meno femminicidi, ma più casi di stalking e maltrattamenti. Si potrebbe interpretare questi dati come una maggiore consapevolezza femminile nel dire «basta» e denunciare?
«Sulla violenza contro le donne le fonti di dati sono molte e le interpretazioni diverse; per avere statistiche ufficiali bisognerebbe attuare la legge 53 che abbiamo approvato nel 2022. È vero che le donne denunciano di più, ma sta crescendo anche la violenza maschile in tutte le sue forme di fronte alla maggiore libertà conquistata dalle donne, che gli uomini non accettano. Ecco perché serve un cambio di passo: una condanna corale e collettiva condivisa, come è accaduto per il fenomeno mafioso con effetti innegabili».