di Anna Finocchiaro
La ratifica del Senato della Convenzione di Istanbul è un passo normativo e di civiltà importante per il nostro Paese.
Ma non dobbiamo dimenticare che il femminicidio e la violenza sulle donne hanno natura strutturale: strutturale è l’elemento di discriminazione su cui si fondano.
Per essere più brutali: le donne si picchiano, si stuprano, si maltrattano, si offendono, si umiliano, si mortificano, in quanto donne, perché si ritiene di operare secondo un naturale dominio su quei corpi, sulla base di una relazione gerarchica che ammette soltanto sottomissione e non libertà.
Perché il corpo delle donne è continuamente proposto come luogo di scorreria degli sguardi e del desiderio maschili anche dai media colti di questo Paese, come se si trattasse di un’attrazione pubblica in un Luna Park.
Servono prevenzione, informazione, educazione, affermazione della libertà femminile.
Ma c’è una questione politica di primo rilievo: i diritti delle donne sono diritti umani, quindi la loro violazione è violazione di diritti fondamentali e conduce ad una responsabilità del nostro Paese di fronte alle istituzioni internazionali.
Questo significa che non basta un quadro normativo adeguato, occorre che l’Italia presti vera attenzione non solo all’applicazione delle norme contro la violenza sulle donne, ma che lo faccia a dimostrazione delle qualità democratiche del Paese.
Ci vogliono risorse, organizzazione, politiche e verifica delle politiche, serve che gli impegni solenni sul fronte dei diritti vengano verificati con la stessa accuratezza degli impegni economico-finanziari.