Prima di diventare amico di Alfredo Reichlin, ho avuto la fortuna di conoscerlo quando ero un ragazzo, alla fine degli anni `50. Ero compagno di studi di suo fratello minore Andrea e frequentavo la loro casa a Roma, in via Alessandria. Per Andrea e per me, studenti del ginnasio, Alfredo era una figura mitica, che appariva e scompariva dalla nostra vista, sempre circondato da un`aurea che intuivamo di politica alta, già allora fatta insieme di azione e pensiero, di impegno sociale e di lotta parlamentare.
È stato uno dei costruttori del Pci e ha creduto nella sua diversità, accompagnandone la storia sino al Pds, ai Ds e alla fondazione del Partito Democratico che ha visto nascere e crescere. Quante volte ho discusso con Alfredo Reichlin di sinistra e di centrosinistra! Quante volte ho ascoltato da lui lezioni fatte di pensiero (era sempre alla ricerca di un`idea politica nuova e vincente) e di realismo (non perdeva mai di vista i rapporti di forza e la condizione del sistema politico).
Non era solo un forte guerriero politico, che non si è mai sottratto in Parlamento e nel Paese alla lotta per la tutela dei più deboli e degli ultimi, ma anche un grande uomo di pensiero politico, che credeva nel valore delle grandi correnti ideali del secolo scorso.
Politicamente era un rappresentante del popolo, ma culturalmente e nel pensiero era uno spirito aristocratico. Politico a tutto tondo, aveva uno spessore culturale di cui nel nostro Paese sono rimaste poche tracce, persino in Parlamento. Amava il teatro, il cinema, la letteratura, la poesia.
La sua presenza a l`Unità, che aveva diretto con grande successo, costante sino alla fine, e la sua passione indomita per la politica hanno fatto un gran bene non solo alla sinistra e al centrosinistra italiani, ma a tutto il nostro Paese. Negli ultimi mesi mostrava una delusione profonda per la crisi dell`intero sistema politico italiano. Posso dire d`averlo visto disperato per il declino della politica, come testimonia il suo ultimo grido: «Non lasciamo la sinistra sotto le macerie». Sognava una sinistra forte, certo per i numeri, ma prima ancora per le sue di idee e per il pensiero, con una grande visione del futuro del Paese e del mondo.
Disprezzava le piccinerie e il nostro indugiare sulle nostre vicende personali. Quando parlava di politica non pensava mai solo ai rapporti di forza trai diversi pezzi del partito, né aveva prudenze tattiche. Concludeva sempre dicendo: ci vogliono idee, ci vuole pensiero.
Detestava il settarismo, il populismo, la demagogia e il loro tentativo di egemonia nella politica e nella cultura italiana ed europea. Credo che abbia molto sofferto peri contrasti dentro il Pd, soprattutto perché era in grado di vederne le conseguenze a lungo termine. Possiamo dire che ha tentato di cambiare l`Italia, cercando di guidare la sinistra discutendo con amici e compagni anche quando non era più in Parlamento, ma continuava a godere ditino straordinario credito per la lucidità d`analisi e l`ampiezza della visione. La morte diAlfredo è per molti di noi la scomparsa di un vero amico ed è per l`Italia intera la perdita di un grande leader politico e di un grande protagonista delle lotte sociali del nostro Paese.
Chi ha a cuore il futuro dell`Italia deve riflettere. Pesa sul presente e sul futuro la grande distanza che, in termini di spessore culturale, di sensibilità sociale, di ampiezza di visione, separa personalità come quella di Alfredo Reichlin dalla nuova classe dirigente politica, della quale anch`io faccio parte.
La passione politica e la cultura guidavano la sua azione quotidiana. Nelle nostre discussioni, ogni volta che si lasciavail campo delle idee per fmire nei particolari della politica politicante, si infiammava, perdeva le staffe, non sopportava che la politica non sapesse vedere le grandi questioni di fondo.
Appassionato e studioso di economia, Alfredo Reichlin è uno dei grandi dirigenti del Pci che hanno capito la necessità per il partito di fare i conti col mercato, con le regole dell`economia contemporanea, col potere finanziario, con il sistema industriale internazionale. Erano illuminanti i suoi racconti degli incontri tra lui, dirigente del Pci, ed Enrico Cuccia, in quegli anni primo difensore del
capitalismo italiano.
Pensava che la politica italiana fosse entrata in crisi perché non aveva capito per tempo le necessità del cambiamento, perché non sapeva adattarsi alle mutate condizioni del Paese, dell`Europa e del mondo.
Erano visibili in Alfredo due punti di vista tra loro apparentemente in contraddizione. Per un verso era un uomo politico rigorosamente realista, consapevole dei rapporti di forza e rispettoso delle necessità che ogni giorno, a tutti i livelli condizionano la nostra azione.
Ma, per un altro verso, pensava incessantemente a come cambiare la realtà, a come far crescere la qualità della politica, a come immettere un pensiero rinnovatore nella stagnante condizione italiana.
Ma se debbo dire se era più realista o più sognatore, dico che era più sognatore. E faceva bene, perché senza l`ambizione ideale, senza la voglia di cambiamento, senza il sogno di Reichlin, l`Italia non ce la farà mai. Se crediamo nella democrazia e la vogliamo forte, dobbiamo continuare ad ascoltarlo anche adesso, dopo la sua scomparsa, per non dimenticarci la sua lezione, tenendo sempre presenti i valori che ci ha insegnato.


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