Signor Presidente,
i senatori del Partito Democratico, con i loro interventi in discussione generale, hanno illustrato la posizione del nostro gruppo sul programma del suo governo.
Un programma del quale condividiamo i contenuti, gli obiettivi ambiziosi, l’analisi realistica su cui si fonda e nel quale, soprattutto, abbiamo avvertito una forte consapevolezza della profondità e vastità della crisi e la conseguente necessità di affrontarne complessivamente tutti gli aspetti.
Un governo che voglia invertire la spirale di sfiducia e impostare soluzioni durature ai mali del Paese, deve trovare la forza di affrontare simultaneamente il controllo dei conti pubblici, l’urgenza della crescita e la priorità assoluta della giustizia sociale, della lotta alla povertà e alla disoccupazione, del sostegno alle famiglie.
Dalla sua felice denominazione ‘governo di servizio’ nasce la grande aspettativa che lei ha sottolineato, caro Presidente!
Servizio all’Italia. Servizio alla pace sociale.
Servizio alla tenacia e all’ingegno degli imprenditori e dei lavoratori. Servizio verso tutti coloro che hanno diritto ad avere una possibilità di farcela.
Servizio ai talenti dei nostri giovani e delle nostre donne, che sono davvero l’investimento più sicuro per il benessere nostro e delle future generazioni.
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Dopo settimane dense di errori, le forze politiche che siedono in Parlamento, quelle che voteranno la fiducia al Governo e quelle che si opporranno, da oggi hanno finalmente la possibilità di mostrare d’aver compreso di dover garantire agli italiani un clima più sereno, che tenga conto della gravità della crisi.
Nella storia della nostra Repubblica, è già accaduto che uomini pubblici, portatori di interessi generali, abbiano saputo trovare le parole giuste per aiutare il Paese a superare le incertezze, gli errori e le inadeguatezze dei partiti, del sistema politico e dello stesso Parlamento.
Questo è accaduto anche quando, di fronte alla sfiducia e al pessimismo generali, il Presidente Giorgio Napolitano ha saputo, con parole severe, indurci a trovare una soluzione politica in grado di superare lo stallo che per due mesi ha bloccato il Parlamento, impedendo la nascita di un governo.
Il ringraziamento che dobbiamo al Presidente non è, quindi, solo di maniera.
Il suo farsi carico di un faticoso secondo mandato ha messo a nudo, impietosamente, tutte le difficoltà politiche del risultato delle elezioni del 25 febbraio, così fortemente condizionato da una legge elettorale che, tra i tanti danni, ha prodotto anche maggioranze molto diverse alla Camera e al Senato.
Da tutto questo, dalla rielezione di Giorgio Napolitano e dal suo straordinario discorso alle Camere riunite, dal lavoro intelligente di Enrico Letta e dalle decisioni dei partiti, è nato il governo che tra pochi attimi avrà la fiducia dei senatori del Partito Democratico.
Di fronte al fiorire delle più svariate denominazioni che ne hanno preceduto la nascita, il Capo dello Stato ci ha invitato a non cercare formule speciali.
Ha ricordato che si tratta di un governo politico, nato da un’intesa politica tra le forze parlamentari che potevano garantire la fiducia delle due Camere.
Il Presidente ha ragione. Tutti i governi, anche quello del senatore Monti, composto solo da ministri tecnici sono governi politici.
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Prima di dire qualche parola sulla maggioranza che sorregge il governo, vorrei sottolineare due elementi che mi pare lo caratterizzino in modo molto speciale.
È stata molto apprezzata l’attenzione con la quale il Presidente Letta ha saputo procedere alla composizione del suo governo, mettendo insieme componenti politiche profondamente diverse, competenze, esperienze, novità e giovani.
Ma nel suo governo c’è qualcosa di più delle singole, prestigiose personalità dei ministri.
C’è il risultato di una chiara volontà di costituire una squadra capace di lavorare in modo coordinato, coeso, integrato, senza compartimenti stagni, senza battaglie di competenze, senza esasperare le differenze che pure ci sono e che restano, senza mai perdere di vista le necessità complessive.
La ministra Josefa Idem può insegnarci come il lavoro collettivo sia, non solo nello sport, ma anche in politica, la migliore formula per il successo.
Un’orchestra suona bene solo se tutti gli strumenti vanno d’accordo.
Il che è possibile solo con molta fatica personale del direttore dell’orchestra, Presidente Letta!
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Questo governo nasce in una condizione di pericolo grave della nostra Repubblica, da uno stato di necessità.
In poche parole nasce, dalla necessità di salvare l’Italia. Sottolineo, necessità di salvare l’Italia.
Il nostro Paese continua ad essere dentro una crisi feroce, spietata, che sembra non terminare mai.
Il primo trimestre del 2013 ha visto segnali di ripresa negli Stati Uniti e nelle economia emergenti.
Ma l’area dell’euro e l’Italia continuano, purtroppo, a muoversi in controtendenza.
Rispetto al 2007, e cioè in soli sei anni, l’economia italiana ha scontato un crollo della capacità di produrre ricchezza di oltre 8 punti, mentre le più rosee aspettative per il 2014 prevedono una ripresa della crescita tra l’1,3% e l’1,5%.
Poco più di un flebile sollievo, se teniamo conto del crollo degli anni passati.
Le difficoltà dei lavoratori e delle imprese rappresentano l’effetto, tragico, della crisi.
L’insieme dei disoccupati e dei “lavoratori scoraggiati”, cioè degli inattivi che nell’ultimo mese hanno smesso di cercare lavoro, conta oggi 6 milioni di italiani.
È in questo stato di disperazione sociale che va ricercata la ragione della tragedia, sino alla follia, di tanti italiani.
Non possiamo, non dobbiamo lasciarli soli e possiamo farlo solo garantendo all’Italia più lavoro e più giustizia sociale.
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Il pericolo che stiamo correndo è quello di un declino lento e inesorabile, che può giungere a travolgere ogni cosa.
Le ragioni che ci spingono oggi, Signor Presidente del Consiglio, a votare la fiducia al suo governo e a sostenerlo con convinzione sono tutte nella consapevolezza di questo pericolo.
“Non si può più, in nessun campo – ha detto il Presidente Napolitano – sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui la democrazia e la società italiana hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire”.
Ecco perché il Partito democratico si è rifiutato di prendere in considerazione la strada di nuove elezioni anticipate che nulla avrebbe cambiato.
Un grande partito come il Partito Democratico non può permettere che l’Italia si perda nell’avventurismo.
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Signor Presidente, il contributo che i senatori del Partito Democratico, orgogliosi della propria identità, sapranno assicurare al suo governo, sarà di costante, leale sostegno.
Intendiamo fare la nostra parte fino in fondo, ben sapendo che è nostro dovere costruire un rapporto limpido e dialettico con le forze del centrodestra, con le quali eccezionalmente ci ritroviamo a condividere il sostegno al suo governo.
Un supporto di seria cooperazione, ma anche di competizione costruttiva nelle idee e nelle proposte per le politiche europee, per la riforma dello Stato e per il superamento equo della crisi.
È dunque uno stato di necessità ciò che ha indotto a far convivere in una chiara maggioranza di governo orizzonti ideali e convincimenti politici diversi e persino giudizi opposti sulle responsabilità degli ultimi 20 anni della storia parlamentare e politica del nostro Paese.
Alcuni hanno sostenuto che la fase politica che viviamo ricorderebbe gli anni della solidarietà nazionale.
È vero invece che profonde sono le differenze che restano tra quegli anni e quelli che viviamo oggi.
La solidarietà nazionale fu preparata in vent’anni di dialogo culturale, in vent’anni di lente approssimazioni, in vent’anni di paziente lavoro politico.
Il suo governo, Signor Presidente, è invece figlio dell’eccezionalità del momento che viviamo, della crisi che tormenta l’Italia.
Riconoscere quanto di simile avvicina le due fasi e quanto di molto diverso le rende uniche e distanti, ci pare oggi essenziale.
Le profonde differenze tra centro sinistra e centro destra restano le stesse di ieri.
Questo voto di fiducia non cancella – e non intende cancellare – le responsabilità politiche, e non solo politiche, di tutti e di ciascuno di noi.
Così come questo voto di fiducia e non ci indurrà ad abbassare la guardia su quanto ci sta più a cuore e costituisce l’identità stessa dei Democratici: il patriottismo costituzionale, la legalità, la difesa della buona politica, dello stato di diritto, della separazione dei poteri e delle politiche per la giustizia sociale, il rigore sui conflitti tra l’interesse generale e gli interessi particolari.
Ma ora, per il bene dell’Italia tutta, ci viene richiesta quell’unità della Nazione che costituisce uno di quei principi supremi della nostra Carta Costituzionale che non è dato a nessuno di modificare.
Anch’io, in chiusura di questo intervento, voglio ricordare la straordinaria attualità del pensiero di un grande italiano, Aldo Moro, che così ammoniva l’Italia: ‘questo paese non si salverà. La stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se non sorgerà un nuovo senso del dovere’.
Ricordiamoci di queste parole.
Grazie.