Testo integrale intervento in Aula
L’asprezza del dibattito delle ultime settimane è il segno dell’importanza di una riforma che sta toccando nodi costituzionali sui quali il Parlamento lavora da decenni senza risolverli. E’ vitale che questa volta l’Italia ce la faccia. Il nostro sistema pubblico ha bisogno di riforme finalmente realizzate, non solo immaginate! Sul nuovo Senato, sulle nuove competenze tra Stato e Regioni, sull’abolizione definitiva delle province e del CNEL ci siamo ampiamente espressi in un lungo dibattito. Mi limiterò, quindi, ad indicare solo le ragioni di fondo, politiche e istituzionali, per le quali i senatori del Partito Democratico voteranno a favore della riforma. ******* Ma prima un ringraziamento sincero a tutti i senatori che hanno operato costruttivamente alla riforma. Ai relatori Finocchiaro e Calderoli un grazie particolare. Il loro lavoro è stato molto duro e difficile. Lo hanno svolto con una competenza rara. E grazie alla ministro Boschi per la qualità del costante impegno con il quale ha seguito i lavori del Senato.
Il voto dei senatori del Partito Democratico poggia sulla consapevolezza che la soluzione della drammatica crisi italiana è così lunga e così complessa perchè abbiamo non solo un’economia debole, ma anche istituzioni vecchie, un sistema politico malato, amministrazioni pubbliche inadeguate. In una parola, il nostro Stato è fragile e sono fragili le sue articolazioni, dal Parlamento al Governo, dalla giustizia al fisco, dai lavori pubblici alla scuola. Dobbiamo passare dalla recessione allo sviluppo e battere la disoccupazione. Ma non lo potremo mai fare se non saremo capaci di difendere la nostra democrazia e, insieme, renderla più efficiente, se non ci doteremo di una macchina pubblica in grado di competere sul piano internazionale. Alla stretta relazione che lega l’efficienza istituzionale alla incapacità competitiva non è stata data sufficiente attenzione. Dicono che alla Merkel, a Cameron, Hollande e Juncker non interessi nulla della riforma del Senato. E’ un’affermazione discutibile. L’Europa ha molti gravi limiti, primo fra tutti il ritardo nella costruzione dell’unità politica. Ma non ha mai interferito sull’assetto delle istituzioni delle singole nazioni. E’ però sbagliato pensare che i leader europei non sappiano che l’Italia è l’unico paese dell’Unione ad avere ancora un bicameralismo paritario e che questa condizione è un ostacolo serio alla nostra capacità decisionale! Potere legislativo efficiente e durata dei governi sono le precondizioni minime per lo sviluppo. Questo è il punto. Non è un caso che il Senato, dove non è mancato il dissenso, sia unanime su un punto fondamentale: il bicameralismo perfetto deve finire! Su questo passaggio, che è il cuore della riforma, ci siamo ritrovati pressocchè tutti e non è poco! Con posizioni presenti in tutti gli schieramenti, ci siamo divisi sul ‘come’ il bicameralismo paritario debba essere cambiato, non sul ‘se’! Su molte questioni il nostro dibattito d’Aula è stato profondo e fecondo. Ed è un peccato che alcuni parlamentari, sul medesimo argomento, abbiano votato in un modo a scrutinio palese e in un altro a scrutinio segreto. Non era necessario. Non ho neppure condiviso accuse che, quando ci sono state, hanno travalicato una misura che dovrebbe essere sempre rispettata, accuse di tradimento della Costituzione, di rischi per la democrazia. Questo è stato un passaggio molto delicato del dibattito. In una grande democrazia europea del XXI secolo come l’Italia, ci si può dividere su tutto, distinguendosi nel merito dei problemi o sulle posizioni politiche. Quel che non possiamo fare e non dovremmo mai fare, è separarci evocando la Corea del Nord, il regime stalinista, gli attentati all’integrità costituzionale. Eppure questo è stato detto! Quando si parla di Costituzione, controllare il linguaggio è molto importante. Sono tempi nei quali le democrazie di tutti i Paesi avanzati dell’Occidente mostrano fragilità di varia natura. Ma questi pericoli non dipendono certo dalla trasformazione del Senato in una Camera non politica, che non darà la fiducia al governo, che disporrà di poteri legislativi molto circoscritti. Oggi i pericoli per le democrazie, anche per la nostra, vengono da una globalizzazione senza regole e da mercati senza controlli, dai trafficanti in droga, armi ed essere umani, vengono dai paradisi fiscali. Le democrazie sono in difficoltà per le diseguaglianze, per la corruzione, per troppi media poco indipendenti. E per l’impotenza dell’ONU che non riesce a garantire l’ordine mondiale, come in queste ore dimostra la terribile e vile persecuzione dei cristiani in Iraq. Su tutto questo dobbiamo riflettere. Quando una democrazia si mostra incapace di far crescere l’economia, dare lavoro ai giovani, farli studiare, garantire le famiglie, far rispettare la legge, allora diventa possibile che in tanti finiscano con l’aspirare a regimi diversi, a soluzioni oligarchiche antidemocratiche e a prassi autoritarie. In molti c’è l’idea che la democrazia non sia adatta a governare la complessità del mondo contemporaneo. Io non lo credo. Ma è da questi pensieri che vengono i pericoli per la tenuta democratica, non da questa riforma del Senato o da un’elezione di secondo grado che è presente in molte democrazie europee, oppure dai 100 senatori indicati tra consiglieri regionali e sindaci (tutti eletti direttamente dal popolo) o dall’immunità prevista nella forma molto ridotta del 1993.
Ancora due considerazioni. La prima. I senatori del Partito Democratico hanno sempre ricercato il confronto e, se possibile, la convergenza con tutti i Gruppi della maggioranza e dell’opposizione. Le difficoltà di rapporto hanno riguardato solo chi si è autoescluso dal dibattito e dal confronto. Ci sono state fasi del nostro lavoro rudi e turbolente. Debbo sottolineare come i senatori del Partito Democratico abbiano mantenuto un comportamento d’Aula sempre corretto, anche davanti agli eccessi (non solo verbali) che hanno determinato gravi interruzioni del lavoro dell’Aula. Mi è parso, lo dico con franchezza, che i segni di intolleranza nascessero da un livore politico nei confronti del governo e della maggioranza più che da un dissenso su punti della riforma. Le riforme saranno approvate da un consenso più largo della maggioranza di governo. Così deve essere perchè le regole del gioco non si modificano senza interpellare tutti, senza chiedere a tutti di partecipare. Il centro sinistra nel 2001 e il centro destra nel 2005 fecero da soli e sbagliarono. Il Partito Democratico è impegnato a non ripetere l’errore e, in questo spirito, intende anche operare sottoponendo le riforme ad un referendum confermativo. La seconda considerazione riguarda il governo. Ho sentito protestare perchè la riforma nasce da un disegno di legge governativo, quasi che fosse la prima volta che un Governo propone modifiche costituzionali. Dal 1979 ad oggi, gli atti parlamentari testimoniano di ben 25 modifiche alla Costituzione che governi di varia composizione e varia maggioranza politica hanno presentato all’esame del Parlamento. E’ un dato che si illustra da solo. Concludo. Il cammino della riforma è ancora lungo. Il Parlamento continuerà a lavorare secondo il dettato dell’art. 138 della Costituzione che non è stato mai messo in discussione. I senatori che oggi approveranno la riforma lo faranno nella convinzione d’aver fatto un lavoro onesto. Ma servono quattro letture, quattro approvazioni parlamentari del medesimo testo. Se la Camera dei Deputati valuterà necessario apportare modifiche, lo farà ma, alla fine, terminato il percorso, la riforma sarà approvata. Questa legislatura avrà assolto al compito di aver posto fine al bicameralismo paritario, aver ridisegnato le competenze di Stato e Regioni, aver abolito le Province e il CNEL. Non è poco.
Il voto dei senatori del Partito Democratico poggia sulla consapevolezza che la soluzione della drammatica crisi italiana è così lunga e così complessa perchè abbiamo non solo un’economia debole, ma anche istituzioni vecchie, un sistema politico malato, amministrazioni pubbliche inadeguate. In una parola, il nostro Stato è fragile e sono fragili le sue articolazioni, dal Parlamento al Governo, dalla giustizia al fisco, dai lavori pubblici alla scuola. Dobbiamo passare dalla recessione allo sviluppo e battere la disoccupazione. Ma non lo potremo mai fare se non saremo capaci di difendere la nostra democrazia e, insieme, renderla più efficiente, se non ci doteremo di una macchina pubblica in grado di competere sul piano internazionale. Alla stretta relazione che lega l’efficienza istituzionale alla incapacità competitiva non è stata data sufficiente attenzione. Dicono che alla Merkel, a Cameron, Hollande e Juncker non interessi nulla della riforma del Senato. E’ un’affermazione discutibile. L’Europa ha molti gravi limiti, primo fra tutti il ritardo nella costruzione dell’unità politica. Ma non ha mai interferito sull’assetto delle istituzioni delle singole nazioni. E’ però sbagliato pensare che i leader europei non sappiano che l’Italia è l’unico paese dell’Unione ad avere ancora un bicameralismo paritario e che questa condizione è un ostacolo serio alla nostra capacità decisionale! Potere legislativo efficiente e durata dei governi sono le precondizioni minime per lo sviluppo. Questo è il punto. Non è un caso che il Senato, dove non è mancato il dissenso, sia unanime su un punto fondamentale: il bicameralismo perfetto deve finire! Su questo passaggio, che è il cuore della riforma, ci siamo ritrovati pressocchè tutti e non è poco! Con posizioni presenti in tutti gli schieramenti, ci siamo divisi sul ‘come’ il bicameralismo paritario debba essere cambiato, non sul ‘se’! Su molte questioni il nostro dibattito d’Aula è stato profondo e fecondo. Ed è un peccato che alcuni parlamentari, sul medesimo argomento, abbiano votato in un modo a scrutinio palese e in un altro a scrutinio segreto. Non era necessario. Non ho neppure condiviso accuse che, quando ci sono state, hanno travalicato una misura che dovrebbe essere sempre rispettata, accuse di tradimento della Costituzione, di rischi per la democrazia. Questo è stato un passaggio molto delicato del dibattito. In una grande democrazia europea del XXI secolo come l’Italia, ci si può dividere su tutto, distinguendosi nel merito dei problemi o sulle posizioni politiche. Quel che non possiamo fare e non dovremmo mai fare, è separarci evocando la Corea del Nord, il regime stalinista, gli attentati all’integrità costituzionale. Eppure questo è stato detto! Quando si parla di Costituzione, controllare il linguaggio è molto importante. Sono tempi nei quali le democrazie di tutti i Paesi avanzati dell’Occidente mostrano fragilità di varia natura. Ma questi pericoli non dipendono certo dalla trasformazione del Senato in una Camera non politica, che non darà la fiducia al governo, che disporrà di poteri legislativi molto circoscritti. Oggi i pericoli per le democrazie, anche per la nostra, vengono da una globalizzazione senza regole e da mercati senza controlli, dai trafficanti in droga, armi ed essere umani, vengono dai paradisi fiscali. Le democrazie sono in difficoltà per le diseguaglianze, per la corruzione, per troppi media poco indipendenti. E per l’impotenza dell’ONU che non riesce a garantire l’ordine mondiale, come in queste ore dimostra la terribile e vile persecuzione dei cristiani in Iraq. Su tutto questo dobbiamo riflettere. Quando una democrazia si mostra incapace di far crescere l’economia, dare lavoro ai giovani, farli studiare, garantire le famiglie, far rispettare la legge, allora diventa possibile che in tanti finiscano con l’aspirare a regimi diversi, a soluzioni oligarchiche antidemocratiche e a prassi autoritarie. In molti c’è l’idea che la democrazia non sia adatta a governare la complessità del mondo contemporaneo. Io non lo credo. Ma è da questi pensieri che vengono i pericoli per la tenuta democratica, non da questa riforma del Senato o da un’elezione di secondo grado che è presente in molte democrazie europee, oppure dai 100 senatori indicati tra consiglieri regionali e sindaci (tutti eletti direttamente dal popolo) o dall’immunità prevista nella forma molto ridotta del 1993.
Ancora due considerazioni. La prima. I senatori del Partito Democratico hanno sempre ricercato il confronto e, se possibile, la convergenza con tutti i Gruppi della maggioranza e dell’opposizione. Le difficoltà di rapporto hanno riguardato solo chi si è autoescluso dal dibattito e dal confronto. Ci sono state fasi del nostro lavoro rudi e turbolente. Debbo sottolineare come i senatori del Partito Democratico abbiano mantenuto un comportamento d’Aula sempre corretto, anche davanti agli eccessi (non solo verbali) che hanno determinato gravi interruzioni del lavoro dell’Aula. Mi è parso, lo dico con franchezza, che i segni di intolleranza nascessero da un livore politico nei confronti del governo e della maggioranza più che da un dissenso su punti della riforma. Le riforme saranno approvate da un consenso più largo della maggioranza di governo. Così deve essere perchè le regole del gioco non si modificano senza interpellare tutti, senza chiedere a tutti di partecipare. Il centro sinistra nel 2001 e il centro destra nel 2005 fecero da soli e sbagliarono. Il Partito Democratico è impegnato a non ripetere l’errore e, in questo spirito, intende anche operare sottoponendo le riforme ad un referendum confermativo. La seconda considerazione riguarda il governo. Ho sentito protestare perchè la riforma nasce da un disegno di legge governativo, quasi che fosse la prima volta che un Governo propone modifiche costituzionali. Dal 1979 ad oggi, gli atti parlamentari testimoniano di ben 25 modifiche alla Costituzione che governi di varia composizione e varia maggioranza politica hanno presentato all’esame del Parlamento. E’ un dato che si illustra da solo. Concludo. Il cammino della riforma è ancora lungo. Il Parlamento continuerà a lavorare secondo il dettato dell’art. 138 della Costituzione che non è stato mai messo in discussione. I senatori che oggi approveranno la riforma lo faranno nella convinzione d’aver fatto un lavoro onesto. Ma servono quattro letture, quattro approvazioni parlamentari del medesimo testo. Se la Camera dei Deputati valuterà necessario apportare modifiche, lo farà ma, alla fine, terminato il percorso, la riforma sarà approvata. Questa legislatura avrà assolto al compito di aver posto fine al bicameralismo paritario, aver ridisegnato le competenze di Stato e Regioni, aver abolito le Province e il CNEL. Non è poco.