‘Vanno ricostruite le regole della nostra vita interna, il rapporto tra le scelte del partito e come votano i gruppi ‘
Luigi Zanda, nocchiero di I un gruppo di 113 senatori democratici, ha già mandato in porto la Buona scuola e nelle prossime settimane lo aspettano prove altrettanto difficili. A partire dalla riforma costituzionale, «che sarà approvata nel giro di 40-50 giorni». Ma l’Italicum, avverte «non si cambierà».
La sinistra interna oggi si è rimessa in cammino. Ha visto l’assemblea di Speranza?
«Mi chiede della vita interna al Pd? Tema certamente importante, anche se la nostra attenzione oggi è sul possibile default della Grecia, sull’offensiva degli islamisti in tre continenti, sui segnali inquietanti di un ritorno alla guerra fredda, sulla crisi economica. Ma se vuole parliamo del Pd».
Insomma, la minoranza si starebbe guardando l’ombelico senza pensare al contesto mondiale?
«Non dico questo e, come vedono tutti, in un anno e mezzo di Renzi c’è stata necessariamente un’attenzione riservata soprattutto ai temi di governo, con una minor cura alla vita interna di partito».
È da mesi che parlate di come si deve stare nel partito e non è cambiato ancora nulla. Non è arrivato il tempo di fare qualcosa?
«Dobbiamo assolutamente ricostruire le regole della nostra vita intema: come si prendono le decisioni, quale rappoto deve esserci fra quello che stabilisce il partito e come votano i gruppi, l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione».
Ma?
«Ecco il punto: i contrasti interni possono essere un’occasione di crescita, oppure possono essere agitati come una coper-tura per cercare un posizionamento politico».
La sinistra dem accusa Renzi di non tener in alcun conto il parere delle minoranze, di guardare solo al centro perdendo per strada milioni di elettori. Non è cosi?
«Guardando al Pd io vedo tre realtà diverse. C’è una parte maggioritaria che ha sempre sostenuto Renzi fin dalle primarie e lo ha portato alla segreteria. C’è un’altra parte che non lo ha sostenuto all’inizio ma ne riconosce la legittimità come segretario e vive una forma di collaborazione politica, senza per questo essere diventata renziana. E c’è infine una terza parte che non solo non lo ha votato, ma conduce una battaglia politica interna di opposizione. E che va benissimo, ma i partiti non reggono senza un patto politico che leghi maggioranza e opposizione».
E questo patto è quello che manca secondo lei?
«In una parte temo di sì. E mi faccia aggiungere, da uno che non lo ha votato alle primarie e non è renziano, che trovo scandaloso che l’aggettivo ‘renziano’ possa essere usato come un insulto all’interno del Pd».
Alfredo Reichlin, pur criticando il segretario, invita la minoranza a non trasformarsi in una «setta» e a dotarsi di un progetto politico. Alla sinistra interna manca un progetto?
«Se lo dice Reichlin…Quando le minoranze hanno un buon progetto possono anche guidare un partito: mi viene in mente Aldo Moro nella Dc».
Si chiedono anche dove Renzi stia portando il Pd. Lei lo ha capito?
«La scommessa di Renzi è quella di mettere sul piatto un pacchetto di riforme ispirato alla famosa lettera della Bce del 2011, uno shock che possa rendere credibile l’Italia in Europa, favorire gli investimenti, una drastica riduzione delle tasse e fare una reale politica di sinistra».
Destra e sinistra per Renzi sembrano posizionamenti superati. Cos’è per voi la sinistra?
«Una politica di sinistra è quella che dà risposte ai bisogni grandi dei ceti più deboli: anzitutto lavoro, sviluppo, qualità della vita. E senza risanamento economico non è possibile alcuna politica di sviluppo».
Le minoranze chiedono di rivedere l’Italicum appena approvato. Ci sono margini?
«Durante la segreteria Bersani sono stato nel gruppo che ha cercato di cambiare il Porcl-lum. Non ci siamo riusciti. Abbiamo impiegato un anno a po¬tare a casa l’Italicum: ci penserei molto prima di rimetterci le mani. Né si può dire che se non lo cambiamo allora può vincere Grillo! Le leggi elettorali non si fanno contro qualcuno».
La sinistra interna oggi si è rimessa in cammino. Ha visto l’assemblea di Speranza?
«Mi chiede della vita interna al Pd? Tema certamente importante, anche se la nostra attenzione oggi è sul possibile default della Grecia, sull’offensiva degli islamisti in tre continenti, sui segnali inquietanti di un ritorno alla guerra fredda, sulla crisi economica. Ma se vuole parliamo del Pd».
Insomma, la minoranza si starebbe guardando l’ombelico senza pensare al contesto mondiale?
«Non dico questo e, come vedono tutti, in un anno e mezzo di Renzi c’è stata necessariamente un’attenzione riservata soprattutto ai temi di governo, con una minor cura alla vita interna di partito».
È da mesi che parlate di come si deve stare nel partito e non è cambiato ancora nulla. Non è arrivato il tempo di fare qualcosa?
«Dobbiamo assolutamente ricostruire le regole della nostra vita intema: come si prendono le decisioni, quale rappoto deve esserci fra quello che stabilisce il partito e come votano i gruppi, l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione».
Ma?
«Ecco il punto: i contrasti interni possono essere un’occasione di crescita, oppure possono essere agitati come una coper-tura per cercare un posizionamento politico».
La sinistra dem accusa Renzi di non tener in alcun conto il parere delle minoranze, di guardare solo al centro perdendo per strada milioni di elettori. Non è cosi?
«Guardando al Pd io vedo tre realtà diverse. C’è una parte maggioritaria che ha sempre sostenuto Renzi fin dalle primarie e lo ha portato alla segreteria. C’è un’altra parte che non lo ha sostenuto all’inizio ma ne riconosce la legittimità come segretario e vive una forma di collaborazione politica, senza per questo essere diventata renziana. E c’è infine una terza parte che non solo non lo ha votato, ma conduce una battaglia politica interna di opposizione. E che va benissimo, ma i partiti non reggono senza un patto politico che leghi maggioranza e opposizione».
E questo patto è quello che manca secondo lei?
«In una parte temo di sì. E mi faccia aggiungere, da uno che non lo ha votato alle primarie e non è renziano, che trovo scandaloso che l’aggettivo ‘renziano’ possa essere usato come un insulto all’interno del Pd».
Alfredo Reichlin, pur criticando il segretario, invita la minoranza a non trasformarsi in una «setta» e a dotarsi di un progetto politico. Alla sinistra interna manca un progetto?
«Se lo dice Reichlin…Quando le minoranze hanno un buon progetto possono anche guidare un partito: mi viene in mente Aldo Moro nella Dc».
Si chiedono anche dove Renzi stia portando il Pd. Lei lo ha capito?
«La scommessa di Renzi è quella di mettere sul piatto un pacchetto di riforme ispirato alla famosa lettera della Bce del 2011, uno shock che possa rendere credibile l’Italia in Europa, favorire gli investimenti, una drastica riduzione delle tasse e fare una reale politica di sinistra».
Destra e sinistra per Renzi sembrano posizionamenti superati. Cos’è per voi la sinistra?
«Una politica di sinistra è quella che dà risposte ai bisogni grandi dei ceti più deboli: anzitutto lavoro, sviluppo, qualità della vita. E senza risanamento economico non è possibile alcuna politica di sviluppo».
Le minoranze chiedono di rivedere l’Italicum appena approvato. Ci sono margini?
«Durante la segreteria Bersani sono stato nel gruppo che ha cercato di cambiare il Porcl-lum. Non ci siamo riusciti. Abbiamo impiegato un anno a po¬tare a casa l’Italicum: ci penserei molto prima di rimetterci le mani. Né si può dire che se non lo cambiamo allora può vincere Grillo! Le leggi elettorali non si fanno contro qualcuno».