Gerardo D’Ambrosio ha sempre camminato diritto. Con ostinazione
Quando alla scomparsa di una personalità pubblica, in questo caso un magistrato, i giornali dedicano intere pagine per fare l`elogio della sua vita è buon segno.
Gerardo D`Ambrosio si è conquistato un elogio così franco e diffuso perché «per quanto t`ingegni di camminare diritto guai a non guardare dove metti i piedi!». Sono parole sue, me le disse in una pausa dei nostri impegni senatoriali nella piccola, ma accogliente mansarda dell`ex hotel Bologna, in cui chiedemmo che i nostri uffici da senatori fossero contigui. Una volta parlammo delle tante interviste su un`Italia che offriva scenari miserandi nella sua corsa verso la fine della prima Repubblica. Fu allora che alla temperie di Mani pulite D`Ambrosio dedicò (qui è il procuratore Borrelli a dirlo) «la saggezza di un uomo incline a trattenere la parte più ardente del suo carattere»; e quando il Csm lo liberò dall`accusa, infondata, di avere screditato l`ex ministro di Grazia e Giustizia, Filippo Mancuso, l`ormai coordinatore del Pool milanese (su incarico di Francesco Saverio Borrelli facevano capo a D`Ambrosio Davigo, Colombo e Di Pietro) mi autorizzò a trascrivere su un mio volume una dichiarazione, in quei termini, Medica: «Noi non abbiamo inda- gato su un singolo caso di corruzione, ma su un sistema di collusione che aveva un`omertà molto simile a quella della criminalità organizzata; tant`è vero che uno dei segreti dei successi delle nostre indagini è stato quello di aver adottato sistemi di indagine molto vicini a quelli che si usano contro ogni forma delinquenziale proprio perché era necessario rompere un`omertà insita proprio nella natura stessa del reato di corruzione. E se la si estende va a toccare anche politici, imprenditori, burocrati; tutta insieme una complicità difficilissima da combattere».
D`Ambrosio aveva dato l`anima, per dir così, perché Maní pulite fosse solo una sia pur brillante operazione giudiziaria, e non anche una sorta di ‘rivoluzione per via giudiziaria’: ecco un`anomalia italiana che poneva il problema cruciale del potere delle toghe, in particolare quelle indossate dai pubblici ministeri, e degli equilibri da tutelare nell`ambito del quadro istituzionale. Eppure parlare di sistema di collusione irritò molti e sollevò, per esempio, il fermo rifiuto di Andreotti della tutt`altro che simulata ‘assimilazione criminogena’ tra il delinquere organizzato e il tradizionale finanziamento dei partiti. In Senato, quante volte l`ho sentito ripetere le sue geremiadi, ma era ostinato; come quando d`altronde manifestò dolore, commiserazione e ripulsa, ad esempio, per il suicidio del presidente dell`Eni Gabriele Cagliari. Pietà, prima luce della giustizia.

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