Sull’idea di istituire un consiglio per la sicurezza nazionale, rilanciata dal direttore di Repubblica Maurizio Molinari, il senatore del Pd Alessandro Alfieri ci va cauto. Specie perché “già abbiamo meccanismi di coordinazione e sicurezza e una legislazione che prevede lo scambio di informazioni”. Nella sua conversazione con Formiche.net il vicepresidente del gruppo dem in Senato allarga lo sguardo anche alle sfide della politica estera, alla complessa fase congressuale che sta affrontando il Pd e ai rigurgiti filo-putinisti riaffiorati nella polemica sulla presenza del presidente Zelensky al Festival di Sanremo.

Il consiglio per la sicurezza nazionale rischia di essere un “doppione”?

Quello che dico io è che abbiamo già meccanismi di difesa e di coordinazione, oltre a istituzioni che lavorano in questo senso. Dal Cisr al Copasir, passando per il coordinamento dei servizi. Con tanto di protocolli che prevedono un’attività di coordinamento. Tutt’al più se si volesse istituire una figura di coordinamento tra queste realtà incardinata a Palazzo Chigi, ci si potrebbe anche pensare. L’unica mia preoccupazione è che si vada ad appesantire un ambito nel quale gli equilibri sono molto delicati. Insomma, con buone intenzioni, si rischia di complicare il funzionamento della “macchina”.

L’esperienza americana, che Molinari ben conosce, ha inciso in questo senso. 

Certo che ha inciso. Tuttavia, alla luce del diverso assetto costituzionale, credo che in Italia occorrerebbe rafforzare gli apparati che già ci sono e lavorano.

L’indirizzo della politica estera ormai parte sempre più da Palazzo Chigi. Anche in questo governo si sta configurando una strettissima collaborazione tra Presidenza del Consiglio e Farnesina.

Diciamo che in questa fase la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha voluto condurre in prima persona alcune iniziative anche perché aveva una sorta di “prova internazionale” da superare. Il premier doveva costruire una sorta di legittimazione europea e non solo. Peraltro il ministro Antonio Tajani ha già un’esperienza consolidata sul versante internazionale, figlia anche del suo incarico al Parlamento europeo.

Che idea si è fatto del piano Mattei?

Anche qui mi sento di dare un suggerimento metodologico: la politica deve avere un ruolo preponderante. Ci deve essere, insomma, un ruolo ben definito di coordinazione da parte della Farnesina. Eni è senz’altro un asset strategico, ma le scelte ad esempio sul Nord Africa devono avere un taglio politico oltre che economico. L’azione di Mattei aveva un’ispirazione politica. Una visione. E questa può essere impressa solo dal ministero.

Lei coordina la rete che sostiene Bonaccini al congresso del Pd. Perché ha intrapreso questa sfida?

Bonaccini ha il merito di voler ridare orgoglio alla comunità del Pd, offre una prospettiva di riscatto tornando ai fondamentali. Parlando di lavoro, salute, identità e sviluppo sostenibile. Il modo di fare politica del governatore emiliano-romagnolo è quello riformista. Un amministratore che si sporca le mani e che si pone in discontinuità (anche in termini di dirigenza), con una sinistra elitaria e distaccata dai problemi reali delle persone.

Questo governo ha il merito di non aver mai avuto tentennamenti sul conflitto scatenato dalla Russia ai danni dell’Ucraina. Anche il Pd si è schierato dalla parte degli aggrediti. Questo, però, potrebbe essere un elemento che ostacola eventuali alleanze con alcuni partner di opposizione. Movimento 5 Stelle su tutti.

Sono abituato a fare un passo alla volta. Noi abbiamo dato un segnale chiaro e il posizionamento del Pd sul conflitto è molto chiaro: dalla parte delle democrazie liberali e del popolo aggredito. Sosteniamo la necessità di arrivare a un negoziato di pace, vero, ma di pari passo sosteniamo la necessità di garantire all’Ucraina il necessario per potersi difendere.

Resta il nodo delle alleanze. 

Ora pensiamo al partito e a impegnarci affinché dal congresso esca un segretario con una forte legittimazione popolare. La prossima grande sfida per il Pd è quella delle elezioni Europee nel 2024. Nel frattempo, vediamo su quali versanti – anche nelle aule parlamentari – riusciremo a trovare eventuali convergenze.

Nel frattempo Giarrusso bussa alla porta del Pd.

Sì, ma prima deve chiedere scusa come peraltro ha già ben detto Bonaccini. Noi non siamo un tram sul quale si sale quando conviene e si scende quando non conviene più. Ma questa è una regola che vale per tutti.

Cosa ne pensa della polemica innescata dalla partecipazione di Zelensky a Sanremo?

Mi interessa relativamente. Francamente mi preme molto di più capire quali sono le strategie che l’Europa, in maniera compatta, vuole mettere in campo per riaffermare la vicinanza al popolo ucraino e per far partire un’iniziativa vera per arrivare alla pace. Il tributo di vite umane, anche di civili, è davvero intollerabile.


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