Sono le parole d`ordine che abbiamo sempre ribadito, quelle che ci hanno orientato nel corso dei trentadue incontri di trattativa e hanno sostenuto l`impegno di Parlamento e governo fino all`emanazione del dpcm e poi alla gara europea:l`Ilva è una priorità nazionale che interessa l`intero sistema-Paese e la sua competitività europea e globale; non ci sono siti di serie A e di serie B; tenere insieme lavoro di qualità, occupazione, ambiente, salute è un obbligo; priorità del Piano ambientale sul Piano Industriale; mai più un`altra Bagnoli; un futuro di qualità per l`Ilva significa un futuro di qualità non solo per il comparto manifatturiero ma anche per quello dei servizi.
Parole d`ordine che adesso vengono confermate, come indicatori di una strategia complessiva, dallo studio che Svimez ha inviato al ministro Di Maio quale viatico per gli incontri separati che dovrebbero tenersi con parti sociali e azienda. Lo sintetizzo in questo modo: il piano industriale presentato da Mittal vale in termini di contributo al Pil 3.1 miliardi annui fino al 2023 (in totale 19 miliardi) e 3.9 miliardi annui negli anni successivi; questi 3,1 miliardi annui di Pil sono spalmati sia al Sud che al Centro-Nord (tecnicamente, ogni euro di fatturato realizzato a Taranto «ingloba» quasi 30 centesimi di beni intermedi e servizi prodotti nel resto d`Italia; nell`intero periodo di attuazione del piano la produzione potrà sostenere 51mila posizioni lavorative (unità lavorative annue) fra aggiuntive e consolidate di cui circa 42mila in Puglia, 9mila nel resto d`Italia con il Centro-Nord ampiamente interessato.
In Puglia circa la metà dell`occupazione che verrebbe complessivamente creata o salvaguardata si localizza nel comparto industriale, incluse costruzioni e personale impegnato nella produzione elettrica, con 20mila posizioni lavorative in altri settori, soprattutto servizi privati. Nel resto d`Italia, invece, 6mila posizioni su 9mila dovrebbero essere create o consolidate al di fuori dell`industria. Luca Bianchi, il direttore di Svimez, ha ottime ragioni nel ribadire come quello che emerge dallo studio è «un tema molto più ampio rispetto all`economia del Mezzogiorno» perché l`Ilva dimostra, numeri alla mano, di essere una questione nazionale di politica industriale.
Ecco perché in questi mesi, rifuggendo da polemiche e guerriglie mediatiche, ho scelto di tenere fissa la barra sulla trattativa tra azienda, parti sociali e amministrazione straordinaria (trattativa in cui il governo non era parte in causa ma garante della qualità del confronto), ho ripetuto più e più volte come l`obiettivo prioritario fosse «mettere in sicurezza il confronto al tavolo», ho stigmatizzato
il conflitto istituzionale che su quel tavolo si è rovesciato in modo improprio e nocivo, ho ritenuto la proposta avanzata nelle ultime settimane dal governo un «addendum» qualificante e meritevole di molta attenzione, ho sollecitato, fino alla fine, il riavvio del confronto per un`intesa.
Oggi questa è, e non può essere diversamente, una delle priorità non solo del ministro Di Maio ma dell`interno governo. Lo è per i punti di sintesi indicati in premessa e poi per un`altra questione, non meno centrale, che qui accenno soltanto. Si fa un gran parlare di contrasto alle delocalizzazioni come se fosse possibile, con multe o sanzioni, bloccare una dinamica globale che ha bisogno, per essere governata e non subita, non di ingiunzioni ma di un di più di governo e di politica, in Italia come in Europa: industriale, economica, negoziale. In tempi non sospetti ho indicato come sia necessario spostare anche sul terreno comunitario una riflessione sulla rappresentanza, che oggi è evidentemente vulnerabile e in crisi, e sulle forme di dumping interno all`Unione europea. Sarebbe però ben schizofrenica un`azione di governo che da un lato punta a sanzionare chi delocalizza se ha precedentemente ottenuto risorse pubbliche per investimenti comunque effettuati (magari riducendo a questo il raggio delle politiche industriali…) e dall`altro blocca e impedisce, azzera, il più grande insediamento industriale d`Europa. Un pessimo segnale depressivo alle nostre imprese d`eccellenza, agli investitori, ai territori che sul made in Italy di qualità hanno investito, a quel manifatturiero che nel 2017 ha registrato un balzo del 7.8 per cento e che nel prossimo triennio, secondo Sace, crescerà a un tasso medio annuo del 4.5 per cento per raggiungere, nel 2021, 540 miliardi. I battibecchi tra Grillo e il ministro Di Maio sono, a questo proposito, solo la ciliegia sulla torta, la conferma dell`assenza di visione strategica del governo che si traduce in vulnus gravissimo per il sistema-paese. Allo stesso tempo è assordante il silenzio al riguardo della ministra per il Sud e del ministro dell`Economia.


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