Senatore Francesco Boccia, il congresso Pd sta entrando nella fase cruciale. Cosa viene prima, il dibattito sui nomi degli aspiranti segretari o quello sui programmi?

«Era inevitabile che, una volta aperto il congresso e la fase costituente, i nomi avrebbero monopolizzato l`attenzione. il congresso è la stella polare su come si diventa alternativi alla destra, non un rodeo sui nomi!».

Il congresso indica la linea…

«Dovrà chiarire una volta per tutte che la questione meridionale è una questione nazionale, servirà a dirci tutto con estrema chiarezza: dall`identità del Pd al nostro ruolo in Europa, dall`idea di lavoro nella società aperta e digitale al perché qualcuno ha rinnegato le cose fatte nel governo Conte 2; dal perché siamo entrati in un governo con Lega e Forza Italia, al perché non è stata fatta l`alleanza con il M5S alle ultime elezioni politiche. Dobbiamo anche chiederci perché gli ultimi o non sono andati a votare o hanno preferito votare Fdi al Nord e M5S al Sud. Infine, dobbiamo sciogliere nodi centrali sulla politica estera, sull`autonomia e sulle alleanze».

I primi candidati per il post Letta sono tutti del centro-Nord. C`è così il rischio che sia marginale il dibattito sul Mezzogiorno?

«Sarebbe l`errore più grande. Le politiche perse hanno detto con chiarezza che il Pd è bicefalo ma con la testa del Nord che decide per tutti. Eppure le necessità del Mezzogiorno per la lotta alle diseguaglianze coincidono con quelle delle aree interne e di montagna anche del Nord. La questione meridionale è una priorità nazionale, che merita delle risposte preventive dai candidati: il Sud non può essere ridotto ad un paragrafo di una mozione, a partire proprio dall`autonomia differenziata. Il governo di destra, con Calderoli, ha subito provato a spaccare il Paese in due: noi non lo abbiamo permesso grazie al lavoro di squadra fatto con i Gruppi Pd e con i presidenti di Regione guidati da Emiliano. I candidati dovranno dare al Mezzogiorno delle risposte chiare. Prima di qualsiasi forma di autonomia, che per noi è attuazione del principio di sussidiarietà, come ci ricorda il presidente Mattarella, è necessario definire i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni), da Nord a Sud, nelle aree interne e nelle aree di montagna su scuola, sanità, trasporto pubblico locale e assistenza. Chi si candida a guidare la comunità dem non può dire cose diverse a Venezia e Bari».

Stefano Bonaccini, intanto, contesta l`attuale gruppo dirigente e la scelta di quasi tutti i leader di rifuggire dalle sfide negli uninominali.

«Una premessa: chi si candida deve garantire che si batterà per far passare la proposta di legge elettorale presentata da tanti di noi: preferenze con proporzionale e sbarramento al 5 %. Ma se abbiamo perso le elezioni è evidente che qualcosa non ha funzionato: è stato incarnato un draghismo che forse non apparteneva neanche a Draghi; altrimenti staremmo vivendo un`altra storia. La destra è maggioranza in parlamento, ma minoranza nel Paese. Le critiche? Facciamo una battaglia seria per il ritorno alle preferenze, così tutti potremo finalmente misurarci con il consenso».

Il Pd, nel Sud, deve fronteggiare la concorrenza “a sinistra” del M5S di Giuseppe Conte, legittimato da qualche leader dem come “punto di riferimento di tutte le forze progressiste”…

«Non devo essere certamente io a difendere Conte, ma se al Sud e nelle periferie del Nord continuano ad avere tutto questo consenso forse un motivo ci sarà, o no? Se non siamo più percepiti come il partito degli ultimi, dei lavoratori, dei fragili, forse abbiamo sbagliato qualcosa o no? Parte della classe dirigente del Pd è stata condizionata dalla “governite”, malattia pericolosa che contagia chi non mette il naso fuori dai palazzi. Con Nicola Zingaretti avevamo ricominciato a ridurre le fratture tra mondo reale e partito: le Europee 2019 e le Regionali 2020 avevano confermato la validità di questa impegno, così come le amministrative con Letta del 2021 e del 2022. Poi il buio: il draghismo senza Draghi. Il Pd, la sinistra, deve tornare a vivere lì dov`è nata e dove deve risiedere: sui marciapiedi, in piazza, per strada. Altrimenti non servirà né un congresso, né una costituente né un nuovo segretario o segretaria».

C`è poi la concorrenza dell`area riformista Renzi-Calenda, forte soprattutto nel Nord.

«Riformista? Mi sembra un`area di potere. I due leader offendono quotidianamente il Pd e corteggiano il governo per provare a prosciugare quel che resta di Forza Italia. E non parlo dell`incontro con Giorgia Meloni che, in un`ottica di dialogo istituzionale ci può anche stare, ma del continuo strizzare l`occhio alla maggioranza. Il loro populismo in giacca e cravatta non è diverso da quello che postulavano i grillini che si dichiaravano “né di destra e né di sinistra” per
andare al potere».

Cosa risponde a chi profetizza per í democratici un declino simile a quello dei socialisti francesi, superati dalla sinistra radicale?

«Beh, qualcuno non aspetta altro… ma rimarrà deluso. Il Pd prima di tutto è una comunità di militanti che sta attraversando un momento difficile: con coraggio, riscoprendo la coerenza delle scelte e abbandonando le ipocrisie, torneremo ad avere il ruolo di magnete del centrosinistra. I dirigenti passano ma la comunità resta. E oggi siamo ancora il primo partito in Europa tra i socialisti».

Antonio Decaro chiede una sintesi tra le anime che provengono dalle amministrazioni, «dove il Pd sí è confrontato con la preferenza unica e ha vinto». È la strada giusta?

«I sindaci sono il nostro valore aggiunto. Ogni tanto qualcuno tende a dimenticarlo ma il Pd amministra il 65% dei comuni italiani. Evitiamo però l`esaltazione del `locale è bello` e `centrale è cattivo` perché il Pd non viene da Marte, molti di noi vengono dai territori. Gli ultimi due segretari, Renzi a Zingaretti, erano uno sindaco e l`altro governatore. Quello che conta è la visione politica: non da dove vieni, ma cosa sei in grado di fare».

L`asse Emiliano-De Luca, forte di un consenso radicato nei territori, che impatto può avere sul congresso?

«Sono due presidenti di grandi Regioni del Sud, rieletti per il secondo mandato, con un bacino elettorale cospicuo in territori non semplici come Puglia e Campania. E, soprattutto, sono due dirigenti del Pd che conoscono molto bene il Mezzogiorno, tra criticità e punti di forza. Sicuramente potranno dare un contributo serio di idee e proposte, evitando che il Sud sia un tema residuale in questa fase congressuale».

Pd Puglia: con che tempi e regole si sceglieranno í nuovi dirigenti pugliesi?

«Stiamo ultimando la bozza di regolamento per il congresso pugliese che presenteremo in Assemblea regionale. Qui si dovrebbe celebrare entro fine gennaio o comunque prima delle primarie nazionali. Sabato ne parleremo a Bari ma prima abbiamo il dovere di “aprire” anche il partito regionale alle tante energie che, grazie alla fase costituente, possono arricchirlo e rigenerarlo».


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