«Sono preoccupato per la tenuta delle istituzioni», dice Enrico Borghi, parlamentare del Pd e membro del Copasir, il Comitato che vigila sulla nostra Intelligente, di cui Giovanni Donzelli è vicepresidente.

Perché è preoccupato senatore?

«Dopo un precedente simile, con quale stato d’animo gli apparati di sicurezza italiani, o quelli dei Paesi alleati con cui abbiamo consuetudine di rapporti, potranno venire al Copasir, a riferirci notizie sensibili per la sicurezza nazionale? Il timore che possano essere rivelate per ragioni di lotta politica sarebbe troppo alto, con danni potenzialmente irreparabili».

Per questo avete le chiesto le dimissioni di Donzelli?

«Quanto accaduto è gravissimo. E mi meraviglio che un ex magistrato come Nordio abbia offerto copertura a Delmastro e Donzelli. Un sottosegretario alla Giustizia che svela a un collega di partito informazioni nell’esclusiva disponibilità della magistratura e del ministero, per essere poi utilizzate come una clava contro l’opposizione, è uno scempio dello stato di diritto. Che fra l’altro pone un interrogativo inquietante».

Quale?

«Da oggi in avanti la maggioranza di governo potrà usare il lavoro di indagine di corpi dello Stato per colpire le minoranze parlamentari? Vorrei ricordare che in Italia è già successo, purtroppo».

Sotto il fascismo.

«Non si può neppure per un momento alimentare il dubbio che notizie classificate, oggetto di attività connesse alla sicurezza della Repubblica, possano essere diffuse o peggio ancora strumentalizzate per fini politici».

Pensa che Donzelli possa fare lo stesso con i dossier del Copasir?

«Sarebbe un atto contra legem, ma visto quanto è accaduto – in attesa del pronunciamento del Giurì d’onore e dell’inchiesta interna
disposta dal Guardasigilli – credo che Donzelli si debba quanto meno autosospendere e non partecipare alle sedute. Se proprio non si vuole dimettere sarebbe un gesto di responsabilità per evitare di compromettere la credibilità e il corretto funzionamento dell’istituto che ha compiti di vigilanza e di indagine, fondati sulla segretezza assoluta».

Non è un po’ poco? Salta qualche seduta e poi amici come prima?

«Ripeto, di fronte all’enormità del fatto la via maestra sono le dimissioni. In alternativa, questo aiuterebbe a risolvere un problema generale di affidabilità e di autorevolezza: costruirsi un’aura di propagatori di informazioni delicate è oggettivamente incompatibile, al di là di una lettura leguleia delle norme, con la presenza in un organismo con caratteristiche simili».

La premier Meloni dovrebbe intervenire?

«La responsabilità dei servizi segreti è in capo al presidente del Consiglio, avrebbe già dovuto farlo. Questo non è uno scherzo: c’è in ballo l’equilibrio fra poteri dello Stato, la tutela della sicurezza nazionale. Tutto può fare tranne che fischiettare. Altro discorso è se lei sapeva cosa stavano combinando i suoi uomini, entrambi di Fratelli d’Italia, il partito di cui è leader. E ha lasciato fare».


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