Nei giorni scorsi il Pd ha presentato una mozione in Senato per la rimozione dell’applicazione TikTok dai dispositivi governativi. Una scelta che gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’India, e vari paesi europei (recentemente anche Commissione e Parlamento Ue si sono espressi in tal senso) hanno già fatto, motivando la decisione in termine di “rischi” per la privacy e la sicurezza nazionale. Il senatore del Pd Enrico Borghi, spiega a Rainews.it le ragioni di questa iniziativa parlamentare. La decisione di rimuovere la app dai device dei dipendenti pubblici, o di vietarne l’installazione “spetta al governo, ma il Parlamento può e deve agire in termini di impulso e indirizzo”.

Come è stata accolta la mozione? Lei è stato il primo firmatario.

“Nel gruppo Pd al Senato molto bene. L’iniziativa è stata sottoscritta da sedici colleghi, e si ha la consapevolezza che l’Italia tra i paesi occidentali è quello che sta affrontando con maggiore ritardo una questione di tale portata e delicatezza. Se Unione Europea, Stati Uniti, India, Taiwan, Lettonia, Danimarca, Belgio, Nuova Zelanda e Regno Unito stanno disponendo divieti di installazione e obbligo di rimozione della app dai dispositivi governativi evidentemente qualcosa sta accadendo, ed è il caso di aprire una riflessione e un confronto democratico anche in Italia “

Nei giorni scorsi il Pd ha presentato una mozione in Senato per la rimozione dell’applicazione TikTok dai dispositivi governativi. Una scelta che gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’India, e vari paesi europei (recentemente anche Commissione e Parlamento Ue si sono espressi in tal senso) hanno già fatto, motivando la decisione in termine di “rischi” per la privacy e la sicurezza nazionale. Il senatore del Pd Enrico Borghi, spiega a Rainews.it le ragioni di questa iniziativa parlamentare. La decisione di rimuovere la app dai device dei dipendenti pubblici, o di vietarne l’installazione “spetta al governo, ma il Parlamento può e deve agire in termini di impulso e indirizzo”.

Come è stata accolta la mozione? Lei è stato il primo firmatario.

“Nel gruppo Pd al Senato molto bene. L’iniziativa è stata sottoscritta da sedici colleghi, e si ha la consapevolezza che l’Italia tra i paesi occidentali è quello che sta affrontando con maggiore ritardo una questione di tale portata e delicatezza. Se Unione Europea, Stati Uniti, India, Taiwan, Lettonia, Danimarca, Belgio, Nuova Zelanda e Regno Unito stanno disponendo divieti di installazione e obbligo di rimozione della app dai dispositivi governativi evidentemente qualcosa sta accadendo, ed è il caso di aprire una riflessione e un confronto democratico anche in Italia “

Il Copasir, di cui è membro, nei mesi scorsi ha avviato un’indagine conoscitiva sui possibili rischi della app in merito alla sicurezza nazionale. Cosa ha spinto il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ad approfondire la questione? L’indagine è ancora in corso?

“Già tre anni fa, il Copasir guidato all’epoca da Raffaele Volpi dispose una verifica sul tema. Il punto chiave è verificare l’uso che il governo della Cina fa dei dati sensibili dei cittadini italiani. Pochi mesi dopo questa verifica, il Garante della privacy italiano inviò una lettera al Comitato europeo per la protezione dei dati personali in cui si evidenziavano una serie di dubbi sulla gestione e il trasferimento dei dati degli utenti che si iscrivono e interagiscono sulla piattaforma. Della questione ne discutemmo anche nel corso della nostra visita istituzionale a Washington con le autorità governative statunitensi a giugno dello scorso anno, e anche con i livelli pertinenti della Commissione europea e con la commissione Inge del Parlamento Europeo. In Italia non abbiamo ancora recepito il Digital Service Act approvato proprio dal Parlamento europeo e ciò ci rende permeabili ed esposti. Da qui l’esigenza di proseguire il lavoro di verifica e approfondimento”.

Quali gli obiettivi del Digital Service Act e perché non è stato ancora recepito? 

“Il Digital Service Act punta a creare uno spazio digitale più sicuro in cui i diritti fondamentali degli utenti sono protetti e a creare condizioni di parità per le imprese. Alcune grandi piattaforme controllano importanti ecosistemi nell’economia digitale. Sono emersi come gatekeeper nei mercati digitali, con il potere di agire come governanti privati. Tali norme talvolta comportano condizioni ingiuste per le imprese che utilizzano tali piattaforme e una minore scelta per i consumatori. Pertanto, l’Unione europea ha adottato un quadro giuridico moderno che garantisce la sicurezza degli utenti online, stabilisce una governance con la tutela dei diritti fondamentali in prima linea e mantiene un ambiente di piattaforma online equo e aperto. La caduta del governo Draghi ha bloccato il processo interno di adeguamento, anche se va detto che in ogni caso dal 1 gennaio 2024 la norma varrà in automatico anche in assenza di interventi statuali. Però prima ci si uniforma a questo processo, e prima si innalza il livello di sicurezza interno”.

Nei giorni scorsi il Pd ha presentato una mozione in Senato per la rimozione dell’applicazione TikTok dai dispositivi governativi. Una scelta che gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’India, e vari paesi europei (recentemente anche Commissione e Parlamento Ue si sono espressi in tal senso) hanno già fatto, motivando la decisione in termine di “rischi” per la privacy e la sicurezza nazionale. Il senatore del Pd Enrico Borghi, spiega a Rainews.it le ragioni di questa iniziativa parlamentare. La decisione di rimuovere la app dai device dei dipendenti pubblici, o di vietarne l’installazione “spetta al governo, ma il Parlamento può e deve agire in termini di impulso e indirizzo”.

Come è stata accolta la mozione? Lei è stato il primo firmatario.

“Nel gruppo Pd al Senato molto bene. L’iniziativa è stata sottoscritta da sedici colleghi, e si ha la consapevolezza che l’Italia tra i paesi occidentali è quello che sta affrontando con maggiore ritardo una questione di tale portata e delicatezza. Se Unione Europea, Stati Uniti, India, Taiwan, Lettonia, Danimarca, Belgio, Nuova Zelanda e Regno Unito stanno disponendo divieti di installazione e obbligo di rimozione della app dai dispositivi governativi evidentemente qualcosa sta accadendo, ed è il caso di aprire una riflessione e un confronto democratico anche in Italia “

Il Copasir, di cui è membro, nei mesi scorsi ha avviato un’indagine conoscitiva sui possibili rischi della app in merito alla sicurezza nazionale. Cosa ha spinto il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ad approfondire la questione? L’indagine è ancora in corso?

“Già tre anni fa, il Copasir guidato all’epoca da Raffaele Volpi dispose una verifica sul tema. Il punto chiave è verificare l’uso che il governo della Cina fa dei dati sensibili dei cittadini italiani. Pochi mesi dopo questa verifica, il Garante della privacy italiano inviò una lettera al Comitato europeo per la protezione dei dati personali in cui si evidenziavano una serie di dubbi sulla gestione e il trasferimento dei dati degli utenti che si iscrivono e interagiscono sulla piattaforma. Della questione ne discutemmo anche nel corso della nostra visita istituzionale a Washington con le autorità governative statunitensi a giugno dello scorso anno, e anche con i livelli pertinenti della Commissione europea e con la commissione Inge del Parlamento Europeo. In Italia non abbiamo ancora recepito il Digital Service Act approvato proprio dal Parlamento europeo e ciò ci rende permeabili ed esposti. Da qui l’esigenza di proseguire il lavoro di verifica e approfondimento”.

Quali gli obiettivi del Digital Service Act e perché non è stato ancora recepito? 

“Il Digital Service Act punta a creare uno spazio digitale più sicuro in cui i diritti fondamentali degli utenti sono protetti e a creare condizioni di parità per le imprese. Alcune grandi piattaforme controllano importanti ecosistemi nell’economia digitale. Sono emersi come gatekeeper nei mercati digitali, con il potere di agire come governanti privati. Tali norme talvolta comportano condizioni ingiuste per le imprese che utilizzano tali piattaforme e una minore scelta per i consumatori. Pertanto, l’Unione europea ha adottato un quadro giuridico moderno che garantisce la sicurezza degli utenti online, stabilisce una governance con la tutela dei diritti fondamentali in prima linea e mantiene un ambiente di piattaforma online equo e aperto. La caduta del governo Draghi ha bloccato il processo interno di adeguamento, anche se va detto che in ogni caso dal 1 gennaio 2024 la norma varrà in automatico anche in assenza di interventi statuali. Però prima ci si uniforma a questo processo, e prima si innalza il livello di sicurezza interno”.

Il tema dei dati e della loro condivisione è un tema sensibile, in particolare per quel che riguarda la cybersicurezza. Nelle settimane scorse il ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo non ha escluso un possibile blocco del social per i dipendenti pubblici, sulla scia dei provvedimenti presi da altri paesi. Poi però non se ne è più parlato. A chi spetta la decisione?

“La decisione spetta certamente al governo, ma il Parlamento può e deve agire in termini di impulso e indirizzo. E di fronte a vicende come queste, è indispensabile un livello di dibattito pubblico e di confronto nell’opinione pubblica e tra le forze politiche. Debbo dire che mi ha sorpreso il repentino silenzio di Zangrillo, dopo le sue prime uscite. Anche per questo chiediamo un dibattito parlamentare: se i nostri principali alleati e le istituzioni europee di cui facciamo parte stanno agendo, non possiamo rimanere indifferenti”.

Lei si è confrontato con Zangrillo o con altri esponenti della maggioranza a proposito della questione?

“Credo che la sede naturale e appropriata sia il Parlamento, e spero che si giunga al confronto scevri da pregiudizi ed inerzie per assumere una decisione a favore della nostra comunità nazionale”.

Il ministro e vicepremier Salvini si è detto perplesso e contrario ad ogni tipo di censura. Impedire l’utilizzo della app può essere effettivamente una scelta eccessiva, una limitazione di libertà?

“Qui non si parla di censura, ma di sicurezza nazionale. Più in generale, non possiamo chiudere gli occhi davanti a un nuovo fenomeno, quello della “infocrazia”. La digitalizzazione penetra profondamente nella sfera pubblica e in quella politica, e produce sconvolgimenti sia alle nostre vite che al processo democratico. La persona viene trasformata in una miniera di dati da estrarre, e nella infocrazia libertà e sorveglianza coincidono. Si parla ormai di “microtargeting”, con la profilazione psicometrica dei cittadini che vengono classificati sulla base della loro personalità mediante l’impiego di algoritmi e intelligenza artificiale. Quando scoppiò il caso Cambridge Analytica, essa fece mostra di possedere gli psicogrammi di tutti i cittadini statunitensi adulti. Siamo di fronte ad uno scenario di rischio in cui i cittadini, che trasferiscono ogni giorno montagne di informazioni su se stessi, vengano ridotti ad una massa di votanti manipolabili attraverso le “darks ads”, pubblicità manipolative basate spesso su fake news e costruite ad hoc per ciascun elettore sulla base del proprio psicogramma. In questo contesto, la nostra libertà rischia di trasformarsi da facoltà di scelta in inconsapevole alimentazione di uno strumento che ci soggioga, che ci lascia una apparente libertà a condizione che io continui a cliccare e postare rendendomi incapace di discutere e confrontarmi. Ecco, penso sia maturo il tempo di una riflessione profonda sul tema. La mozione serve anche a questo, ad aprire una riflessione per capire davvero ciò che sta accadendo”.

Eppure i vertici di TikTok hanno dichiarato più volte: “I dati degli utenti italiani, così come quelli europei, non sono conservati in Cina ma negli Stati Uniti e Singapore e presto all’interno dell’Unione Europea nel data center irlandese. Il Governo cinese non ha mai chiesto l’accesso ai dati dei nostri utenti e laddove dovesse non li condivideremmo”. Una rassicurazione sull’utilizzo dei dati, non crede?

“La legge sulla sicurezza della Repubblica Popolare Cinese stabilisce che qualora le attività di trattamento dati possano ledere la sicurezza nazionale, la giurisdizione è estesa a persone o entità all’estero, e che è fatto obbligo a ogni persona fisica o giuridica cinese di trasferire ogni informazione alle autorità cinesi. Il fatto che il governo cinese non abbia mai chiesto l’accesso dei dati non pregiudica il fatto che lo possa chiedere, o meglio pretendere, in futuro. Abbiamo già visto cos’è accaduto ad Hong Kong, con le censure fatte in occasione delle rivolte. In India ci sono stati problemi rilevanti per la diffusione di materiale sensibilissimo, vista anche la fascia delicata di età di moltissimi utenti. E proprio sull’impiego illegale dei dati sui minori, la piattaforma è stata multata negli USA. Se assommiamo il tema del sorveglianza statuale a quello della sorveglianza commerciale, in assenza di garanzie e di contrappesi, capiamo che il tema è ben più ampio della già rilevante questione della raccolta, archiviazione, elaborazione e divulgazione dei dati”.

Il Pd presenterà una mozione anche alla Camera dei Deputati?

“I colleghi del gruppo democratico alla Camera stanno lavorando sul tema, e la nuova capogruppo Chiara Braga è avvertita sulla questione. Poi le modalità e linee di azione in materia spettano alla loro autonomia operativa”

Quella dei Dem è una battaglia solitaria o c’è una convergenza con altre forze di opposizione: M5s, Terzo Polo?

“Siamo di fronte ad una questione epocale, in quello che viene definito il capitalismo della sorveglianza che rischia di declassare la persona a strumento di puro consumo e controllo. Se non apriamo oggi gli occhi, rischiamo una sottomissione eutanasica della società, che mentre si crede libera e creativa in realtà produce e performa per chi la controlla. Se al controllo commerciale aggiungiamo il controllo politico, da parte di soggetti autocratici, il rischio corto circuito è dietro l’angolo. Voglio credere che su questo tutti coloro che credono alla libertà e alla democrazia, a prescindere da dove si siedono in Parlamento, troveranno un punto di convergenza che rappresenti anche il risveglio del primato della politica”.


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