Un salto di specie su cui ora costruire un nuovo Pd. Con un`apertura di credito verso Elly Schlein. Sperando non si fidi troppo di Conte, e non si affidi troppo a Zingaretti e alla sinistra dem – errori da non ripetere. Se non fosse cresciuto nella sinistra Dc, se non fosse novarese come Scalfaro (condividendo con lui la passione per gli apparati), Enrico Borghi, 55 anni, dieci in Parlamento e altri venti in politica (Ppi, Margherita, Pd), vicino a Lorenzo Guerini e già uomo chiave nella segreteria di Letta, la direbbe coi nomi. Si esprime con un linguaggio più felpato, per spiegare perché resta nel Pd pur avendo appena perso il congresso.
Se lo aspettava?
«Non immaginavo la diserzione al Nord dell`elettorato riformista, che non è stato mobilitato. Bonaccini ha fatto come Bersani nel 2013: ha dato la partita già per chiusa».
E Schlein?
«Rappresenta un salto strutturale, direi quantico per il Pd: è l`affermazione per la prima volta in Italia della cultura woke, quella anglosassone, ancorata ai temi dei diritti, delle minoranze, del politically correct».
È la fine del Pd?
«È un salto di fase rispetto alle sue culture originarie. Il ramo degli ex popolari è stato sconfitto, e gli eredi del Pci si sono arresi a questa cultura che fa della radicalità la propria cifra, ma non concordo con chi dice che ora finalmente il Pd può interpretare la sua natura vera, di sinistra. E nemmeno credo si tratti di un ritorno all`antico: il punto vero è il nuovo equilibrio che si può trovare».
C`è ancora l`ipotesi di una scissione?
«Il Pd è a un bivio, le chiavi sono in mano a Schlein, che ha acceso una speranza. È il motivo per cui io ed altri restiamo. Se questa cultura nuova, formata nelle primarie, è in grado di fare sintesi con la cultura più istituzionale che noi rappresentiamo, abbiamo la chiave per un Pd moderno e competitivo. Dopotutto Biden e Ocasio-Cortez sono nello stesso partito. Se invece prevalessero le tendenze settarie, ci sarebbe il rischio di una minorità».
Per lei Schlein ha una idea maggioritaria o no del Pd?
«I primi passaggi – la linea sull`Ucraina, la visita silenziosa a Cutro, la richiesta di dimissioni di Piantedosi – sono stati giusti, equilibrati. Raccontano di una persona che sa suonare i tasti, alternando idealità e pragmatismo».
Fa bene a parlare con Conte?
«La politica è movimento: se il Pd torna a esercitare una funzione di leadership, significa che può anche tendere a svuotare il M5S. Quanto a Conte, è così camaleontico che, dovesse capire che il recupero del Pd è strutturale, si trasformerà nuovamente nell`epigono di Padre Pio. Per ora saluto il superamento dell`eresia di accostarlo a Berlinguer, dopo la bestemmia di paragonarlo a Moro».
Quali rischi deve schivare la neosegretaria?
«Sotto la superficie si muovono dinamiche molto tradizionali. Per rompere cordate e correnti deve esercitare una azione politica forte, o si consegna a chi ha solo questo, nel software. Né andrebbe lontana con un`idea tipo arrivano i nuovi renziani. Altra dinamica malata».
C`è chi dice che fare peggio di Letta è impossibile.
«Il tempo dimostrerà che ha svolto un compito essenziale. Nel marzo 2021, coi sondaggi al 14 per cento e Conte al 25, sembravamo i commissari liquidatori del partito. E ci sono amici e compagni che, grazie al fatto che noi abbiamo preso due anni il vento in faccia, si sono ricostruiti una verginità e ora sono a fianco di Elly dicendo di essere il nuovo, ma avevano già vinto nel 2019. Spero che Schlein ne abbia contezza. Ma penso che tra qualche anno si dirà che siamo stati noi a salvare il Pd».


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