Il “nuovo Pd”, un cantiere delle idee aperto. Con un confronto interno che non si è esaurito con le primarie che hanno portato Elly Schlein alla guida del Partito democratico. Il Riformista ne discute con Enrico Borghi, senatore Dem, membro della Direzione nazionale.
Senatore Borghi, partiamo dalla strettissima e inquietante attualità. Il governo ha annunciato lo stato di emergenza nazionale sui migranti. Una stretta autoritaria titola questo giornale.
Mi scusi, ma la Meloni che durante la pandemia urlava alla dittatura sanitaria per lo stato d`emergenza è la stessa che ora è alla guida del governo? E nello specifico, in cosa consiste esattamente il problema, che è puntuale e non coinvolge l’intera collettività nazionale? La realtà è che la destra persevera nell`errore, e cioè affrontare il tema migratorio con una logica securitaria. Il tema si affronta con la politica: diplomazia e relazioni in Europa, alleanza con i comuni, terzo settore e associazionismo in Italia. Invece qui si continua a pensare che l`Italia si governa con i Prefetti, come se fossimo tornati a Giolitti.

Il “nuovo Pd” di Elly Schlein ha mosso i suoi primi passi e compiuto i primi atti politici e parlamentari. Un bilancio?
È certamente presto per tirare conclusioni, ma alcune linee sono già marcate. Sul piano politico, denota la volontà di intestarsi direttamente l’opposizione e l’alternativa alla destra. Sul piano dei contenuti, ribadisce lo slancio verso la modernità di una agenda “woke”. Sul piano interno ha fatto “strike”, aiutata in ciò da una certa afasia prospettica e negoziale di noi riformisti. Con il 33% degli iscritti e il 53% degli elettori ha scelto i due nuovi capigruppo, ha fatto una segreteria con una logica fortemente maggioritaria a sua immagine e somiglianza e ha finalizzato l`operazione “occupyPd”. Ora che ha tutte le redini in mano, è chiamata alla fase più complessa, ossia costruire un progetto per l’Italia nel quale si evinca chiaramente cosa sia il Pd e come si costruisca una coalizione potenzialmente vincente sul piano elettorale. Metaforicamente potremmo dire che Elly ha vinto la prima cronometro e ha conquistato la maglia rosa, ma il giro d`Italia è ancora lungo e le montagne sono ancora tutte da scalare.
C’è chi sostiene che la segretaria Dem sia particolarmente attenta e partecipe alle battaglie per i diritti civili ma meno sensibile e attiva sulle questioni sociali e del lavoro.
C’è una grande attenzione a tutti i temi della discriminazione, e sull’esigenza di combatterla. È un tema della contemporaneità, insieme con una forte assertività sui temi del clima e della transizione ecologico-ambientale. Resta il fatto che, essendo noi una società organica come insegnava Durkheim, abbiamo bisogno dalla politica di risposte organiche e non frazionate sui temi. Insomma, una grande idea di futuro, in quest’era caratterizzata dalla crisi della democrazia e dal rischio dell’avvento di una infocrazia asfissiante e illiberale, che produce diseguaglianze di cui i colpiti non si avvedono delle cause. Per fare questo, nel Pd c’è bisogno di una capacità di sintesi tra le culture. Se si procede così, si fa quel salto in avanti di cui ha bisogno anzitutto l’Italia per uscire dal lungo inverno meloniano. Se invece si pensa semplicemente ad una eredità sostitutiva, alla fine si finisce in un vicolo cieco.

La guerra d’Ucraina è entrata nel suo secondo anno e non se ne intravede la fine. L’Occidente continua a rifornire di armamenti Kiev. Ma la politica, l’Europa, possono ridursi a questo?
No. Però usciamo dal generico appello alle buone intenzioni. E guardiamo in faccia alla realtà. Cos’è quella che definiamo Europa? Noi pensiamo a una Ue federale, sogniamo gli Stati Uniti d’Europa (che potrebbero davvero dare vita alla diplomazia e all’esercito comune). Ma le destre europee, forti e insorgenti, sostengono che solo gli Stati-nazione sovrani sono la salvaguardia del futuro, e l’Europa deve essere tutt’al più mercato comune e moneta. La Meloni è il fulcro di questa politica, che mira ad espellere il PSE dal patto col PPE e a creare una maggioranza conservatrice e sovranista in Ue. E per questo sposta l’Italia in sede Nato dalla postura comunitaria a quella baltico-anseatica, creando di fatto un fronte iperatlantista quanto euroscettico dentro l`alleanza. Noi dobbiamo costruire una alternativa a questo, non limitarci a dire che vogliamo mettere fiori nei nostri cannoni. E ‘`alternativa è il rilancio dell’integrazione europea, per risolvere il problema della nostra dipendenza da altri che in trent`anni ci ha portati ad appaltare alla Russia la nostra domanda di energia, agli Stati Uniti il nostro bisogno di sicurezza e alla Cina la nostra esigenza di manifattura. L’Ucraina è solo la scintilla che innesca il nuovo status quo delle dinamiche geopolitiche globali, nelle quali al dominio terrestre si sommano le nuove sfide sul cyberspazio e nell’aerospazio, e per le quali il soft power di una generica e indefinita Europa non basta più. Per cui o si fa davvero un salto in avanti nella costruzione europea o l`effetto rimbalzo all`indietro propugnato dai nazionalisti è dietro l`angolo, con tutte le conseguenze del caso”.

Dal revisionismo storico alla guerra alle Ong e ai migranti, passando per gli impegni inevasi sul Pnrr e il Mes. Che destra è quella che sta governando l’Italia e perché le opposizioni non riescono a trovare un punto d`intesa per contrastare il governo Meloni?
Quella italiana è una destra corporativa e revanscista, che fa dell’impronta ideologica la propria ragione d’essere. Questo la rende tanto competitiva sul piano elettorale, quanto ansiogena sul piano del governo, perché quando sei a Palazzo Chigi con la realtà i conti li devi fare. Se ci aggiungiamo un evidente gap di classe dirigente, abbiamo un governo che finora non riesce a mettere in campo nulla che non sia un “day-by-day” infarcito di dottrine reazionarie e di scaricabarile. Per costruire l’alternativa, noi non dobbiamo seguirli su quel terreno. Non serve un’opposizione delle dichiarazioni di un minuto dopo, ma la costruzione di una propria agenda, da imporre sul piano della politica. È su questo che si costruiscono le ragioni di una coalizione. Ed è per questo che serve un Pd forte e capace di quella sintesi cui facevo riferimento, perché è la premessa per la costruzione di quello che lei chiama punto d’intesa. Spiegando a Conte e Calenda che la legge elettorale non cambierà, per cui se non vogliono stare anni all`opposizione è bene che capiscano che la bipolarizzazione del sistema è un dato di fatto, e solo da una convinta e leale scelta di campo potranno goderne frutti elettorali e politici, mettendo fine alla stagione delle rispettive ambiguità”.

Tornando al Pd. Schlein ha promesso un profondo cambiamento interno, di classe dirigente e di organizzazione. Ma la strada resta in salita.
Cos’è il cambiamento? Alcune scelte sono forse anticipatrici del futuro, ma altre sembrano il ritorno di un passato che ha da tempo smesso di dare i suoi frutti. Il tema del partito è la chiave del discorso. Schlein sinora ha sposato un impianto anglo-sassone, anzi direi americano, in cui la politica è fatta di quattro cose: leadership, Parlamento, piazze e comunicazione. In questi quattro elementi, sta giocando all’attacco. Ma negli Usa i partiti non esistono, sono comitati elettorali dei leader, organizzati attorno alla personalizzazione della proposta politica. In Italia il Pd è forse l’unico, (ed ultimo?), partito che resiste all`idea della personalizzazione leaderistica. Quando timidamente ci hanno provato Veltroni, e più robustamente Renzi, a costruire una stagione sulla leadership assertiva si sono generati anticorpi anche furibondi a colpi di scissioni.

Che cos’è oggi un partito politico?
De Gasperi diceva che se vogliamo avere un’idea della qualità della democrazia di un Paese, dobbiamo guardare i meccanismi di democrazia interna dei partiti che in esso esistono. E un partito che si chiama “Democratico” non può eludere questa riflessione, profonda, sul senso e la natura della forma-partito. Quello che è certo è che il modello con cui oggi il Nazareno opera non funziona più. Chi lo ha scalato, se ne accorgerà presto. Ma in sé la personalizzazione non basta a risolvere tutto. E l’idea di un partito-movimento sfiorisce in fretta, dentro la mutevole e cangiante stagione effimera degli stati d’animo emotivi che viviamo. E qui torniamo alla sintesi tra culture, per generare davvero ciò che i tempi nuovi richiedono. Che riguarda anche noi riformisti, e la necessità di ridare freschezza alle nostre proposte e al nostro profilo politico, troppo confinato dentro una dimensione autoconservativa e priva di ossigeno. Ora che si è chiusa la stagione degli organigrammi, durata fin troppo tempo, concentriamoci sugli argomenti e sulle proposte. L’illusione che i problemi siano risolvibili con il richiamo alle alternative secche, infarcite di genericità e artifici retorici, rischia di mostrarsi presto come tale, se non leghiamo la novità della proposta con la solidità dell’azione concreta. Senza preoccuparsi troppo degli assetti, perché in politica si conta per ciò che si ha da proporre, non per ciò che si pensa di rincorrere. La sfida vale per tutti, e il lavoro non manca.


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