«Di errori ne abbiamo fatti tanti, ma stiamo per apprendere la lezione». Enrico Borghi, senatore dem, supporter di Stefano Bonaccini nelle primarie per la segreteria, fa autocritica. Il voto alle regionali di Lazio e Lombardia e la nuova leadership, imprimeranno una svolta al partito: è la sua convinzione. Però sul Pd, partito oggi “a porta vuota”, contrattacca: «Se il Pd dà l’idea di un partito “a porta vuota”, è perché stiamo scegliendo il nuovo leader, cosa che la Lega ad esempio, dopo essere passata dal 34% all’8%, non sa fare».

Borghi, il Pd anche in queste regionali è penalizzato dalle alleanze spurie in Lazio e in Lombardia: perché continuate a sbagliare?

«Queste regionali sono la coda delle politiche. È espressione di fragilità pensare di trovare nelle alleanze la propria strada. Ma è solo una scorciatoia. In realtà è vero l’opposto: se hai una capacità politica forte, costruisci alleanze forti. Se no, è solo governismo, cosa che abbiamo già pagato. Sono questi gli errori da non ripetere».

Salvini dice che nel Pd non si sa più chi comanda.

«Salvini è il nulla rivestito di niente, e cerca un nemico per tentare inutilmente di sottrarsi al suo destino, che è quello di essersi reso vassallo della Meloni. Il Pd fa quello che il leader leghista non conosce: si chiama democrazia interna. Lui invece prende esempio dai suoi amici russi: perde e sì rinserra».

Lo ammetta però, il Pd oggi è un partito “a porta vuota”?

«È un partito che si sta ricostruendo: dal congresso emergerà una nuova linea politica e la nuova leadership. Tutti imparino a rispettarci. Se però qualcuno punta sulla nostra scomparsa, allora resterà deluso».

I 5Stelle scommettono sulla vostra scomparsa?

«La partita delle regionali si gioca sugli equilibri di forza tra i partiti dell’ex campo largo. Il risultato mostrerà questo. Se Conte ha rotto con il Pd nel Lazio, è per portarci allo sfarinamento. Per lui l’obiettivo è picchiare al fegato l’avversario, che è, guardacaso, il Pd e non la destra di Giorgia Meloni. Il capo del Movimento 5Stelle, in versione neo bertinottiana, punta a colpirci per assumere l’egemonia dell’opposizione».

Gara con Conte, sfida con Calenda: poi piangete sempre sul latte versato?

«Per questo serve un Pd forte, e non subalterno. Altrimenti ci prendono per un bottino da spartire. Conte e Renzi faranno la loro corsa così di qui alle Europee. Ma se troveranno un Pd attrezzato, e anche orgoglioso di sé, capiranno che su questa strada sbagliano, perché senza il Pd semplicemente non esiste nessuna alternativa alla destra e, senza il Pd, loro il governo lo vedono col binocolo».

Quale eredità queste regionali lasceranno al vincitore delle primarie, al nuovo segretario?

«La posta in gioco è assumere con decisione la guida del centrosinistra, nella chiarezza delle posizioni e su una linea politica precisa, per dare al Paese una alternativa vera a una destra che sta producendo danni ogni giorno. Per un centrosinistra di governo, che non diventi vittima della sindrome di una sinistra parolaia, autoreferenziale e inconcludente».

È questo che lei, sostenitore di Bonaccini, teme di Schlein?

«La suadente declamazione di uno slogan tanto fatuo quanto facile, “il cambiamento”, è un rischio. In Italia sono 30 anni che si dice che il nuovo avanza. Sono 30 anni di rivoluzioni ogni quarto d’ora e di rottamazioni annunciate, di giacobinismo facile, dietro il quale si cela sempre il Gattopardo. Servirebbe tornare al pensiero e alla cultura politica, e alle competenze, dismettendo gli slogan che non hanno prodotto nulla».

Non è invece necessario rompere i vecchi schemi per dare respiro a un Pd in crisi profonda e che potrebbe rivelarsi irreversibile?

«Non è tempo di rotture a chiacchiere, ma di coerenza con il nostro “dna” democratico. Bisogna farlo davvero il Pd, magari iniziando a risolvere i nodi di democrazia interna ora basata su leadership verticali e liste rigorosamente bloccate alle elezioni, che producono oligarchie e cooptazioni dall’alto. Se vuoi essere riformista nel Paese, iniziamo a esserlo su noi.


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