“Iniqua e misogina”. La senatrice del Partito Democratico ed ex segretaria della Cgil, Susanna Camusso, non ha dubbi nel definire così la manovra del governo Meloni. Dalla reintroduzione dei voucher all’abolizione del reddito di cittadinanza, passato per il taglio del cuneo fiscale e la mancata riforma delle pensioni, la parlamentare dem spiega in un’intervista a Fanpage.it tutti i motivi per cui la legge di Bilancio – dal suo punto di vista – è profondamente sbagliata e tende a stigmatizzare i poveri e chi è in difficoltà.

Onorevole Camusso, c’è grande agitazione nel sindacato e nell’opposizione del Partito Democratico per questa prima manovra targata Meloni. Presto si tornerà in piazza. Avete definito questa legge di Bilancio “iniqua”, perché?

Questa manovra è iniqua perché distribuisce risorse dai poveri ai poveri. Qui sta la profonda iniquità, oltre che la profonda disattenzione, è una manovra in cui non c’è nulla che ricordi che in questo Paese abbiamo attualmente un’inflazione intorno al 12%. E per poche categorie di lavoratori, quelle che sono riuscite a rinnovare i contratti, c’è un aumento dei salari intorno all’1,3-1,7%. Mi pare che il differenziale sia assolutamente chiaro ed evidente. I provvedimenti contro il caro energia e la compensazione per le imprese e, un pochino, anche per le famiglie, sono provvedimenti che valgono tre mesi. Non ci sono investimenti in energia, come lo sblocco delle rinnovabili o gli interventi sul dissesto idrogeologico. Di quelle cose che danno il segno che metti in moto il Paese, di quelle non c’è nulla.

Sulle pensioni non è arrivata l’abolizione della legge Fornero, storica promessa della destra. C’è però Quota 41, ma soprattutto una modifica sostanziale a Opzione donna, che ne pensa?

È l’ennesima finestra costruita dopo quelle precedenti, la 100 e la 102, adesso siamo alla 103. Sono tutte concepite sull’idea di un lavoro strutturato, maschile, stabile. Questa manovra è una manovra misogina perché tutte le volte che si incrocia il problema della differenza tra uomini e donne, le donne sono sfavorite. La previdenza è uno di questi temi, perché mentre si immagina la finestra che può essere utilizzata da pochi uomini in realtà, per le donne la norma, che era già discriminatoria perché permette di andare in pensione con perdite dell’assegno tra il 30 e il 35%, viene ulteriormente peggiorata. Tutto ciò viene fatto esattamente in una logica di ruoli femminili.

Ti permetto di accedere a Opzione donna se sei un caregiver, se ti occupi di sostenere persone in difficoltà, oppure se non sei più abile al lavoro o se sei stata licenziata. È sempre una dimensione per cui bisogna ricordare che le donne è bene che stiano a casa, facciano figli, punto, stop. Questo vale per tutte le norme. C’è una cosa che sfugge all’attenzione di molti: la decontribuzione per le assunzioni, che viene da proroghe di provvedimenti precedenti, prevede per giovani e uomini il vincolo al fatto che siano assunzioni a tempo indeterminato. Non è così per le donne, perché l’assunzione a tempo determinato può portare a un allungamento, ma intanto il primo anno puoi anche assumere con contratti a termine. Sono tutti piccoli segni sparsi qua e là nella manovra, che dicono che il tetto di cristallo si sfonda solo per se stessi e non perché le donne stiano meglio.

Meloni in generale ha detto che in questa manovra c’è tanto per i redditi medio-bassi, anche sul lavoro, dov’è arrivato un taglio del cuneo fiscale ulteriore. È abbastanza?

Da un lato c’è una conferma della norma della manovra precedente del governo Draghi, che prevede due punti. Era già poco allora, continua a essere poco. Non è che è diventato tanto perchéc’è l’aggiunta di un punto per i redditi fino a 20mila euro. Stiamo parlando di qualche decina di euro all’anno con un’inflazione tra l’11 e il 12%. Quelle sono retribuzioni già povere, siamo di fronte a un divario tra ciò che si considera utile e ciò che servirebbe davvero. Peraltro è l’unica cosa: non ci sono le risorse per i contratti, non c’è alcuna attenzione e non ci sono neanche fondi sociali che potrebbero compensare. C’è un taglio alla sanità, non ci sono risorse sulla casa, non c’è nulla che dica “sappiamo di avere una popolazione lavorativa che in parte è povera, in parte sta impoverendosi di fronte all’inflazione”. La risposta è: “Peccato, aspetteranno”. C’è una totale disattenzione al lavoro.

Sul lavoro tornano anche i voucher, che furono aboliti dopo una lunga battaglia condotta da lei alla guida della Cgil. Come si sente?

Molto arrabbiata e molto avvilita. È proprio la concezione che c’è in quella norma che dice: “Il tuo lavoro non vale niente”. Faccio un esempio: si prevede la possibilità di avere fino a 45 giorni di lavoro in agricoltura, attuato attraverso i voucher, e poi si parla di una giornata di lavoro. In italiano una giornata di lavoro vuol dire una giornata piena, che può essere pagata con il valore di 3 ore delle somme pattuite. È vero che ai tempi del secolo scorso, quando c’erano le chiamate in piazza, si pattuiva lì la retribuzione, ma noi siamo un Paese moderno che ha i contratti, ha delle regole, cos’è ora la somma pattuita? Detto in un testo di legge poi, non in un generico ragionamento.

Siamo davanti a un disprezzo del lavoro, magari perché lo si considera un lavoro umile. Quello che altri chiamavano i “lavoretti”. Siamo di fronte invece ad attività essenziali, perché poi parliamo di tutta la ristorazione. E siccome c’è questa follia di permettere di usare i voucher anche per gli appalti di opere e servizi, vuol dire che stiamo parlando di tutto il sociosanitario, di tutte le forme di accudimento. Quando si parla delle persone e del loro modo di essere improvvisamente tutto viene svilito. Siamo un Paese che viene da una lunga pandemia, che non so se è finita. Forse un’attenzione al lavoro di cura sarebbe meritevole per tutte e tutti.

Nel frattempo, però, il governo ha sostanzialmente abolito il reddito di cittadinanza, anche se ci sarà una riforma strutturale l’anno prossimo. E poi c’è questo fondo da mezzo miliardo per la Carta risparmio spesa per le famiglie più povere…

Io ho la sensazione che in questo governo ci sia molta nostalgia. Perché se pensiamo a questo fondo, che poi potremmo chiamare col suo vecchio nome, cioè la social card, o se pensiamo ai voucher siamo al replay delle norme dei governi Berlusconi di nota memoria, che la Bce ci segnalò stessero portando il Paese al default. E ricordo che di quel governo faceva parte anche l’attuale presidente del Consiglio. Sul reddito di cittadinanza non siamo di fronte alla correzione di errori, che però indubbiamente c’erano. È una norma che sostiene giustamente chi è in difficoltà, ma non è inclusiva, cioè non ti permette di uscire da quella situazione di povertà.

Per farlo avresti bisogno di risposte sociali e di risposte di lavoro. Qui invece puniamo. Lo schema è: “È colpa tua se sei povero, è colpa tua se non lavori e quindi ti tolgo anche il sostegno”. Io non so più in che lingua dire che tra i percettori del reddito di cittadinanza ci sono anche molti lavoratori il cui reddito da lavoro non permette di vivere dignitosamente e li mantiene in povertà. Vogliamo farci queste domande e provare a immaginare come si include? Il principio che guida questa manovra è lo stigma: ti devo colpevolizzare perché sei povero, ti devo togliere i sostegni, devo immaginare che la disoccupazione non esista, non sia mai esistita, come i divari territoriali. Così si parla di un Paese che non c’è.

 


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