Sono passati quasi dieci anni dal varo della legge delega denominata “jobs act” forestierismo ora sanzionabile. Nonostante il tempo trascorso, la norma è ancora uno spartiacque del valore che si dà al lavoro. Lo è ancora di più perché fu il prodotto di un governo che proclamava sé stesso di centrosinistra. Il jobs ad rappresenta quindi non solo una legge contenente scelte sbagliate, ma una cesura nel rapporto tra mondo del lavoro e una sinistra che fino a quel momento ambiva a rappresentarlo. Una prima evidenza della rottura furono le elezioni dell`Emilia Romagna, con l`affluenza che si fermò al 37%. A conferma, ricordo il senso di solitudine del mondo del lavoro e la sua crescente distanza dalla politica come tra gli elementi più chiaramente emersi durante le assemblee nei luoghi di lavoro e nella successiva raccolta firme per i referendum abrogativi e la proposta di legge di iniziativa popolare sulla Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, che raccolsero più di un milione di firme. Non è questo il tema dell`articolo, ma il giudizio sul jobs ad resta tuttora una discriminante tra le attuali forze di opposizione e credo sia stato un momento di svolta nella sua storia politica. Ne avevamo bisogno? Secondo me no, e tuttora non vedo come si possa considerare quella controriforma del mercato del lavoro necessaria, o peggio ancora un successo, come fu presentata allora. Ricordo ancora la campagna promozionale costruita sui giovani precari Marta e Giuseppe, raccontati come vittime dei “vecchi” lavoratori e delle loro “troppe” tutele, in particolare in tema di licenziamenti illegittimi, che facevano fuggire le imprese. Ma dopo il Jobs act, e tante e tanti Marta e Giuseppe sono diventati lavoratori stabili? No. Dopo anni e numerosi interventi legislativi dominano ancora le molteplici forme di precarietà, continuano a crescere i tempi
determinati, i part-time involontari, gli stage e i tirocini gratuiti, le collaborazioni il cui cambio di nome non ha arricchito di diritti e tutele i lavoratori, e l`elenco
potrebbe continuare. Per quanti sono invece riusciti a ottenere un lavoro stabile, la situazione è comunque peggiorata. Invece di estendere universalmente i diritti, si è infatti
raccontato che la soluzione per i giovani precari fosse introdurre il doppio binario del nuovo contratto a tutele crescenti per le future assunzioni. Nome ingannevole, perché le tutele crescenti in realtà non ci sono, salvo l`aumento delle mensilità risarcitone in caso di licenziamento illegittimo. L`idea che un licenziamento illegittimo possa essere “legittimato” attraverso un risarcimento rivela una concezione del lavoro come una qualunque delle voci di costo della produzione, rimuovendo la relazione tra le persone. Letto in questi termini, il lavoro ha un prezzo, viene meno la connessione tra lavoro e dignità, l`equilibrio fondante dello Statuto dei lavoratori e della legislazione lavoristica che introduceva dei contrappesi nel rapporto di forza sbilanciato tra datore di lavoro e lavoratore. Si è svalorizzato il lavoro, scaricando su di esso i problemi della qualità di sviluppo del paese. Si è ridimensionato e impoverito il lavoro pubblico con un blocco delle assunzioni più che ventennale, si è rinunciato alle politiche industriali, a orientare le grandi scelte e strategie di sviluppo. Inoltre, imboccando la scorciatoia degli incentivi indiscriminati sarà forse aumentato il numero degli occupati ma non si è contrastata la precarizzazione né inciso sui nodi strutturali di qualità del sistema produttivo e soprattutto dei servizi. Non voglio trascurare le grandi promesse sulle politiche attive, nei fatti un riordino del sistema, ma le modalità di inserimento e reinserimento nel lavoro restano altrove. Vorrei sottolineare un ultimo aspetto, ripreso dall`attuale governo nel recente decreto lavoro. Si tratta delle modi che all`articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, che prevedeva il divieto di controllo a distanza attraverso mezzi tecnologici, in nome della libertà dei lavoratori, che non può essere limitata. Il jobs act ne ha ridotto i divieti. Certo, dieci anni fa il dibattito sull`intelligenza artificiale non era certo quello attuale, ma già si discuteva molto sulla tecnologia, in Europa era già partito l`iter del regolamento generale sulla protezione dei dati, le piattaforme si di, fondevano e già usavano i nostri dati e gli algoritmi già regolavano le vite dei lavoratori, ci si divideva tra entusiasti e preoccupati. Il controllo dei dati riguarda la libertà dei lavoratori: sappiamo che esistono forme di condizionamento importanti. Certo, non si discuteva ancora di contrattare l`algoritmo, ma degli e , etti della tecnologia, a partire da automazione e robotizzazione sì, e molto. Il Jobs Act, quindi, compresa quella norma che oggi si vuole ulteriormente peggiorare, ha consolidato le tendenze in corso ampliando la disparità di potere tra datore di lavoro e lavoratore, riportando indietro le lancette della storia fingendo di fare innovazione.