‘La riforma del Titolo V non può essere la Cenerentola della riforma costituzionale. Deve essere fatta con l’obiettivo di migliorare il funzionamento della pubblica amministrazione, senza posizioni precostituite e percorsi illusori, realizzando un giusto equilibrio tra accentramento e decentramento’, lo dice la senatrice Nerina Dirindin, capogruppo Pd in commissione Sanità, intervenendo nel dibattito sulle riforme in corso nell’Aula di palazzo Madama.
‘Già la riforma del Titolo V del 2001 è stata affrettata – sottolinea Dirindin – una nuova revisione per quanto indispensabile, deve evitare di riaprire una nuova stagione di cambiamenti complessi e poco chiari. Un Paese in crisi non può permettersi una seconda stagione di riforme illusorie e con esiti incerti.
‘I miei timori – continua – riguardano questioni importanti che mi auguro possano essere emendate in Aula, a partire dal tema del superamento della competenza concorrente. Critica è la nuova formulazione prevista per le materie che passano alla competenza esclusiva dello Stato, “disposizioni generali e comuni”, una categoria giuridica ad oggi inesistente e non definita, che si aggiunge a quelle note (“norme generali” e “principi fondamentali”) e sulle quali si è più volte espressa la Corte Costituzionale. La nuova categoria richiederà tempo, pronunciamenti della Corte e sarà fonte di sovrapposizioni e contenzioso. Anche sul tema del Regionalismo differenziato, la proposta di riconoscere forme ulteriori di autonomia alle Regioni può essere condivisibile, ma il bilancio di pareggio non può essere l’unico requisito richiesto: l’esperienza insegna che è possibile far quadrare i conti riducendo i servizi garantiti servizi ai cittadini; l’esercizio della responsabilità non può implicare solo il bilancio in pareggio.
‘Andrebbe poi prevista una clausola di salvaguardia di tipo simmetrico; non solo – precisa Dirindin – lo Stato può intervenire in materie a lui non riservate quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica ed economica del Paese (oltre che la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali), ma anche le Regioni possono intervenire, con norme cedevoli, quando lo Stato è inerte. ‘Insomma – conclude Dirindin – condividiamo la necessità di una riforma, ma non dobbiamo rifare l’errore di chi ci ha preceduto intervenendo in modo parziale, frammentario, poco coordinato, magari con mere logiche di risparmio: il Titolo V attiene a materie che incidono sulla qualità della vita dei cittadini del nostro Paese. Norme chiare e di garanzia devono essere il nostro obiettivo irrinunciabile’.
‘Già la riforma del Titolo V del 2001 è stata affrettata – sottolinea Dirindin – una nuova revisione per quanto indispensabile, deve evitare di riaprire una nuova stagione di cambiamenti complessi e poco chiari. Un Paese in crisi non può permettersi una seconda stagione di riforme illusorie e con esiti incerti.
‘I miei timori – continua – riguardano questioni importanti che mi auguro possano essere emendate in Aula, a partire dal tema del superamento della competenza concorrente. Critica è la nuova formulazione prevista per le materie che passano alla competenza esclusiva dello Stato, “disposizioni generali e comuni”, una categoria giuridica ad oggi inesistente e non definita, che si aggiunge a quelle note (“norme generali” e “principi fondamentali”) e sulle quali si è più volte espressa la Corte Costituzionale. La nuova categoria richiederà tempo, pronunciamenti della Corte e sarà fonte di sovrapposizioni e contenzioso. Anche sul tema del Regionalismo differenziato, la proposta di riconoscere forme ulteriori di autonomia alle Regioni può essere condivisibile, ma il bilancio di pareggio non può essere l’unico requisito richiesto: l’esperienza insegna che è possibile far quadrare i conti riducendo i servizi garantiti servizi ai cittadini; l’esercizio della responsabilità non può implicare solo il bilancio in pareggio.
‘Andrebbe poi prevista una clausola di salvaguardia di tipo simmetrico; non solo – precisa Dirindin – lo Stato può intervenire in materie a lui non riservate quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica ed economica del Paese (oltre che la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali), ma anche le Regioni possono intervenire, con norme cedevoli, quando lo Stato è inerte. ‘Insomma – conclude Dirindin – condividiamo la necessità di una riforma, ma non dobbiamo rifare l’errore di chi ci ha preceduto intervenendo in modo parziale, frammentario, poco coordinato, magari con mere logiche di risparmio: il Titolo V attiene a materie che incidono sulla qualità della vita dei cittadini del nostro Paese. Norme chiare e di garanzia devono essere il nostro obiettivo irrinunciabile’.